Category: No woman no cry

I giorni della Merla

Arrivano senza bussare. Ti avvolgono la testa di nebbia e ti fanno tirare il colletto più insù. Gracchiano vestendosi di nero e urlano tutti i colori dell’inverno. Formano brina, stalattiti, aurore mentali, scie ghiacciate, stelle ibernate, pensieri nostalgici. Ti catapultano verso un passato di luci vespertine.

Confondono. Io sono qui a dirti che non ho più paura.

Brancolano, guaiscono, latrano, combattono contro le nubi dei termosifoni, le gondole, i cerchi di sigarette fumate nell’ atrio all’aperto.

AppannanoAnnebbiano.

For’ o’ cielo è scuro e saglie l’onna ‘ra malincunia…

Ubriacano di pensieri e desideri oscuri, prepotenti, eterei, inafferrabili. Scatenano le forze del Male e stingono i buoni propositi tirandoti indietro anziché spingerti avanti.

You’re frozen when your heart’s not open


Dicono che sono i più freddi dell’anno. Sono i giorni della Merla.

Carry my joy on the left, carry my pain on the right.


Napoli solo andata

E di un campeggio durato tre anni e mezzo

Ed eccoci qua, la porta chiusa alle spalle, i lacrimoni come nei meglio film, in tasca un biglietto di sola andata e la sensazione che il campeggio è finito. Si, perché l’ “ultimo” ha lo stesso sapore della vacanza al camping. I saluti, gli abbracci, la promessa di rivedersi e i tanto si sa che tornerai. Perché nessuno ama gli strappi. Piuttosto ci si sfilaccia.

L’ultima lezione di flamenco, l’ultimo tramonto sui tetti con la candela accesa in direzione di Santa Maria dei Navigli, il ricordo di tante tazze sporche e nottate accovacciata su una lavatrice a inventarsi un orizzonte oltre il cemento.

Tante facce ed espressioni negli occhi da mettere a icona per sempre su un divano che è stato anche un letto, un monolocale in cui si sono consumati 3 anni e un mese di scomoda Devozione.

Ciao Milano, odiata e oltremodo amata. Vissuta, pedalata. Bevuta come si desidera l’acqua alla fine di una corsa. Milano che mi ha fatto redattore, managèr e regalato l’adrenalina di una Vita in Diretta. Milano che mi ha mandato in trasferta e tolto la possibilità di ogni viaggio. Milano che mi ha fatto femmina e femminile e mi hai ridotto a guardare le stagioni su una panchina. Milano che ho affascinato tavoli, Milano che non volevo più salire neanche nel tram. Milano della domenica mattina, che ti spiazza nella sua bellezza inafferrabile nel tratto che va da Parco delle Basiliche a piazza Sant’Alessandro. Mille Milano, cascata di rivoli e crocevia di mondi. Milano che mi ha accolta e respinta, abbracciata e schiaffeggiata e mi ha fatto fare la vita che si fa al Nord. Grazie Milano. Di avermi donato qualcosa da raccontare. Milano che ti dà tutto e ti toglie tutto, mi dissero il primo giorno a Milano.

E così fu.

Scivolo via perché non voglio nuotare più come i salmoni, contro corrente. E il flusso interiore mi butta direttamente a mare. Almeno per.

Ma come tutti i cerchi che si chiudono, la geometria è perfetta. Un salto al naviglio in quel locale che ci piace, un concerto in una sera piovosa, quante risate sul lettino delle terme, le incursioni a sorpresa in Via Tortona, il blocco del traffico, il vento che soffia sulle pizze napoletane nelle prime sere d’estate.

Il setting dei saluti finali è sempre un tavolo fuori di una pizzeria napoletana. Chissà perché poi.

http://www.youtube.com/watch?v=Qf4PfhCeCIs

Santo sia Valentino!

Storia di due cornetti mai sfor|nati

Se ieri mattina il mio ragazzo mi avesse svegliato con due croissant caldi di forno sussurrando: buon San Valentino amore, allora forse non sarei dovuta ricorrere a tutta la potenza di Milano quando ti metti in testa “stasera voglio davvero fare qualcosa, esco”.

Perché io di questa città dico peste e corna, ma quando vuoi fare davvero qualcosa e ti impegni a stare sul pezzo per le 18.45, allora devo ammetterlo, Milano è proprio una città imbattibile e può regalarti grandi soddisfazioni.

STEP 1 – HAPPY HOUR WITH LOVE

Ancora una coda di saldi e via con l’aperitivo. La panetteria adibita a,non ci va, ci lanciamo su un localino spagnoleggiante con buffet modesto ma ambiente relax. Io e la mia amica finiamo in un tavolo da quattro con una simpatica coppia in cui lei ha portato una rosa a lui e lui a lei niente (è proprio vero che i tempi sono cambiati). All’idea di dividere il tavolo con una non-coppia o coppia lesbica, i due si fanno una gran risata e lei si limita solo a dire: questo San Valentino è iniziato proprio strano. Olè! Vamonos! Salute companeros!

STEP 2- PIT STOP AL BAR PICCHIO

Decidiamo di fare un saluto a Carmen, la simpatica coetanea, precaria, ex praticante, figlia dei gestori del Bar Picchio di Via Melzo, una tabaccheria che fa anche l’aperitivo, un posto che si è fermato nell’arredamento agli anni ’60 e dove vigono solo due regole: disordine e simpatia. Carmen ci offre una mozzarella in carrozza appena sfornata da mammà anche se non volete consumare e ci mostra orgogliosa le recensioni sul locale mentre il papà rovescia le patatine sulle schedine del fantacalcio. Felix il fratello fa il faraone tra le coppie radical che hanno deciso di festeggiare Valentino con uno sprits+ pasta al sugo a 3 euro  e gli avventori si susseguono caoticamente al bancone per ordinare due gocce di flemma decadente: (Carmen) vi chiedo di pagare prima se no ci dimentichiamo!

IT’S THE FINAL COUNTDOWN- PALAZZO PIRELLI

E vuoi che ci facevamo sfuggire la possibilità offerta dal comune di Milano di salire GRATIS per San Valentino sulla terrazzo di Palazzo Pirelli? Eccoci al 39esimo piano, non senza qualche vertigine e ansia da speedy ascensore, ad ammirare il panorama postmoderno di Milano imbiancata, dalla stessa altezza di Oh mia bella Madunina. Le coppie limonano e il piano bar canta, ma io mi sento proprio realizzata di fronte alle lucine, le geometrie dei palazzi e le guglie in lontananza. E’ mezzanotte, mi sento realizzata di fronte alle pareti a specchio e non sono a Berlino.

Menomale che quei cornetti non sono mai arrivati.

La solitudine del TSM

TSM: Time Slot Manager

Il 2010 finisce con un addio alla redazione deserta.
E’ mezzanotte, il neon è acceso e i capi non ci sono.
Ma, già,  è domenica, fuori nevica una neve a palline piccole e fitte e io, rompendo il sacro rituale della domenica, non sono venuta in tuta.
Baci, abbracci, un bicchiere di vino “on air”, anche se non si potrebbe. Voglia di lavorare saltami addosso, ma si sacrifica l’ultimo brandello di adrenalina. In regia manca l’aria, ma ormai siamo abituati a respirarci, riderci e piangerci addosso. A lamentarci, tra un jingle e una macchia, tra un tappeto e un rullo. Ad abbracciarci. Quanto ci siamo abbracciati quest’anno.
A pisciare nei tre minuti di pausa pubblicitaria.
A ordinare e mangiare in 40 minuti. A vivere al neon. Ad avere uno stile pop, smart, glam, ciovane, molto milaneese. A spostare quinte, a cercare sempre quell’ennesima idea che non viene più.
A guadagnarci il grano, perché quelli come noi non si possono mai distrarre.
Lo diceva la mia collega rock and roll: la solitudine del Time Slot Manager. Ma chiamiamolo autore di giochi, se no chi ci capisce. Abbiamo macinato quattordici ore di diretta. Che quando sono diventate sei, talmente che eravamo in simbiosi col vocabolario, ci siamo sentiti quasi in colpa di poterci fare il tè in cucina e scambiare qualche parola tra di noi in area break.
Penso tutto questo mentre mi aggiro nel silenzio e raccatto quelle quattro cose che ho portato: mi rendo conto che sulla scrivania non ho mai avuto il tempo nemmeno di portarci un pupazzetto.
Strano per me sentire le mie emozioni implodere. Gli altri mi sembrano tutti esagitati per questo saluto a tempo determinato.
A ralenti, con la stessa leggerezza di una colonna dorica, mi avvio verso l’uscita.
Qualche ultimo tormentone isterico che ci ha fatto molto divertire e via.
Le auto sgommano sul ghiaccio che si sta sciogliendo.
Che freddo che fa.

O' scarrafone?

Mamma son tanto felice…Ma i figli lo sono altrettanto?

Premesso che non voglio offendere nessuna, compresa me stessa che a 27 anni sono lontanissima da ogni prospettiva definitiva, una donna deve fare un figlio. O almeno provarci, o quantomeno pensarci.

Poi lascia stare che il contratto a tempo indeterminato non arriva, i soldi mancano, i tuoi abitano in un’altra nazione, il tuo lui risulta positivo al test d’infertilità, o peggio, non c’è proprio un lui che ti voglia caricare per il resto dei suoi giorni, una deve quantomeno pensarci.

Ebbene, postami il problema quando non rifaccio il letto la mattina, quando crollo dal mal di testa, quando mi viene la forfora da stress, quando non riesco a togliermi lo smalto, quando vedo i film già inziati perchè devo cucinare, quando al supermercato mi gira tutto, insomma, quando non riesco a pensare nemmeno a me stessa- Merin, noto che comunque per me un figlio non è un pensiero- problema, ma un pensiero felice, associabile a mare, le marionette di Ikea, favole, disegnare, gite della domenica. Almeno idealmente.

Perchè allora ieri e l’altroieri due mamme sbraitavano contro le figlie?

Figlia A: 9anni circa, saltella sul marciapiede.

Iena A: Devi smetterla si prendere la vita come un gioco, cammina dritta, basta!

Figlia B: 12 anni su e giù, in tram colpevole di non si sa cosa.

Iena B: tutti devono sapere quanto sei scostumata e ora faccia al muro!

Ma cosa avranno mai fatto di tanto grave queste bambine?

Perchè incanalarle in uno schema così rigido?

Poi da Santoro si meravigliano come mai a 14 anni si senta già l’esigenza di un acido e si conoscano le droghe come le tabelline. Se noi figlie di mamme non ansiose siamo soggette a micro attacchi d’ansia, cosa succederà a queste figlie del Totalitarismo delle emozioni?

Piccole donne crescono

piccole-donne

Una mia amica vuole andare in Australia, un’altra si è appena licenziata da un’agenzia da cui un tempo mi licenziai anch’io, anzi, staccai solo i fili del pc, perché non so quanto puoi licenziarti se non ti hanno mai fatto un contratto.

Comunque.

La domanda era: partire o restare?

Questa domanda se la fa una che è già partita, che ha lasciato il paesello, ma che comunque si sveglia immaginando che le cornacchie sul tetto sono gabbiani e lo sfrecciare delle auto, onde del mare.

Una che spera di ingrassare “giù alla Marina” mentre i figli giocano con i figli delle amiche e magari si fidanzano pure assieme, omaggio alla comune dei tempi andati.

Ma come si fa a fare questo se tutti se ne vanno e al paesello non c’è più nessuno?

Insomma in un racconto che funzioni bene ci deve essere uno che resta e uno che parte.

Ci si vedrà come ora si sta a telefono?

Un caffè rosicchiato a Pasqua, un prosecco ingozzato a Natale… sempre di corsa, sempre frammenti, dettagli che si perdono…sarà così?

Non sei più te, ma il ricordo di te, dei viaggi insieme, della convivenza in Finlandia, delle notti a teatro, delle risate in un’auto…sarà così?

Io, reduce da un’isola dei famosi domestica, come Sergio Muniz allora sull’isola, non voglio definirmi già nell’idea di una vita che sarà, ma io che sono andata, che sono già andata e che sono sempre andata, fregandomene di Pasque e Natali tutti a tavola, mi viene il prurito solo all’idea di ventidue ore d’aereo.

Cioè il mio concetto è, sono andata, non voglio andare ancora, non più lontano, almeno qui la lingua è la mia, almeno ritorno in giornata, almeno è Italia, bella, brutta, è Italia.

Ma forse è solo un pensiero, una sosta, un pit- stop prima del Sud.

Che poi il Sud delle piccole donne di oggi può anche essere il Tirolo.

Ecchilosa.