Category: Arts

@La Scala

Esperienze eccezionali in tempi di crisi

Andare a vedere uno spettacolo alla Scala di Milano era una di quelle cose che volevo fare nella vita. Il problema è che non avrei mai speso 200€ per andare a sentirmi Le Nozze di Figaro di Mozart. Non per Mozart, ma proprio perché non fa parte della mia filosofia di vita, come la Louis Vuitton, per capirci.

 Alla fine ci sono andata. Gratis.

Col cappotto buono della laurea e una mise non troppo elegante perché ci entravo col biglietto della consulta dei lavoratori per giovani precari.

 Eggià, pure a fare il precario ci vuole stoffa.

 Fatto sta che appena ho letto la notizia su un newsletter che in genere cestino, ho scritto al sindacato una mail strappalacrime e neanche troppo falsa sul mio stadio in-occupazionale e il mio sogno di entrare alla Scala. Anche se la cosa mi metteva un po’ ansia perché l’opera non l’avevo mai vista e neanche uno spettacolo di 3.45h, roba che i polpettoni di Clint Eastwood sono un cartone animato a confronto.

Comunque dicevo che mi sono risparmiata la collana di perle perché non volevo sembrare agli atri precari Miss Disoccupazione, ma comunque mi sono difesa con un vestito a palloncino che è sempre troppo elegante per una semplice serata tra amici.

 E ho fatto bene, perché ci hanno destinato l’ante prova generale insieme agli studenti delle scuole medie. Cioè in parole povere la prova precedente alla prova generale senza luci e con l’orchestra della Scala ridotta e che può permettersi pure uno sbadiglio ogni tanto. E soprattutto, le maschere della Scala con il medaglione d’oro al collo non ci hanno chiuso a chiave dentro il palchetto, cosa che alla prima si fa per etichetta, roba da sfiorare un attacco di panico. Però Giorgio Strelher era seduto lì, nel palchetto più vicino al palco.

Il risultato di tutto ciò è stato che ora li spenderei i 200€ per vedere le Nozze di Figaro di Mozart. E se li meritano tutti i 200€ gli attori, i musicisti e tutta la banda. Ma voi avete capito farsi quattro ore di sgolata con una presenza scenica impeccabile e gli abiti così fruscianti e sontuosi da sembrare davvero il settecento?

 E poi se la storia non la capisci proprio tutta, basta chiudere gli occhi e sentire i violini e volare sempre più in alto, sollevati dal braccio di qualcosa che senti, ma non capisci. Qualcosa che ha il potere di farti sentire leggero. Qualcosa che altrove accade solo nel sogno.

Come cenare alle 17.30. Se no come ci arrivi alle undici.

 

Non solo Amici

La scoperta di Scala e Kolacny Brothers

Non vado particolarmente matta per i cori. Faccio eccezione per Sister Act e le voci bianche della processione del venerdì santo. Non ho mai pagato per un musical e l’unico film da cui mi sia mai alzata a metà è stato Moulin Rouge. Certo, a quattordici anni un mio amico mi ha fatto fare la corista e con Adb mi divertivo a improvvisare controcanti sgangherati e distorti, ma sono cose della giovinezza, come imitare Ambra Angiolini davanti allo specchio batte forte il cuore primo piano in ascensore.

Non vado particolarmente matta per i cori, dicevo, ma non conoscevo Scala & Kolacny Brothers.

Immaginatevi quattordici ragazze belghe che cantano tutti i successi della musica rock internazionale con le voci d’angelo. Quattordici ragazze alte, faccia pulita, culo grosso, abiti neri a sacco, nulla di quella impostazione di Amici di Maria de Filippi, occhi negli occhi, sguardo contro sguardo.

Ma con le voci d’angelo che quando hanno fatto And you give yourself away di With or Without you e Sere Nere di Tiziano Ferro con la erre tedesca appena sussurrata e soffiata io vi giuro che mi si è accapponata la pelle nonostante i chili di Nivea alle mandorle per pelli secche.

Io penso che per fare dei cori così, i cori li devi fare di mestiere e non le puoi schifare troppo le altre del gruppo. Penso che un coro sia davvero una cosa psicologica perché io per quanto mi sforzassi di guardarle in bocca a una ad una non capivo chi faceva gli alti chi i bassi chi gli acuti e chi i gravi.

Menomale che il direttore d’orchestra con camicia rossa da teatrino londinese mi distoglieva con i suoi movimenti acchiappamosche dai miei ragionamenti sul ruolo della corista in un coro.

Me le immagino queste ragazze belghe che escono dalle loro case piatte con il cielo grigio, la bici, le aiuole curate e la vicina bambina che gioca nel giardinetti verdi. Me le vedo fare le prove con le All Star consumate e la felpa col cappuccio, comunicare a maman e vicini col coro facciamo due date in Italia, un piquet alla violetta in una mano e un toast al burro e granella di cioccolata nell’altra.

Tra le note setose aleggiano i ricordi del mio viaggio in Belgio, diabolico assai, come que viaggi fatti per dimenticare qualcuno, però ho visto in quella compostezza, il ritratto di Liege della mia amica Aline con le scarpe da tap sul vialetto di casa, prima di andare a scuola.

Soir bleu

soir bleuC’è sempre un tempo in cui si spengono le televisioni e si pensa di scrivere a qualcuno e poi si scrive solo qualcosa. Le mattine sono fatte per i buoni propositi e le sere solo per i cattivi pensieri.

Ci sono tre tavoli. Tavolini che affacciano su una terrazza sospesa, ma nessuno è interessato al paesaggio. Tutti, tranne un uomo rivolto di spalle, guardano sul tavolo centrale, dove succedono di quelle cose che cambiano il mondo: eccitanti giochi d’azzardo o noiosi vuoti di parole.

A noi non è dato sapere, ma lei, lei non è una cameriera o una puttana e neanche una che è arrivata lì per caso. Lei guarda sul tavolino e sa perfettamente cosa vede. Quanti pensieri, quanto trucco, quanta stanchezza, quante menzogne. Dimostra più anni di quelli che ha. Forse arriva direttamente da Palazzo Grazioli. ( Impossibile, Hopper è nato alla fine dell’800 e il pierrot somiglia più a Signorini che a Berlusconi).

Fuori dal quadro c’è la gente. Coppie affannate, litiganti,  amiche saccenti, rumorosi,  esperti di tutte le opere che non ci sono, sorveglianti annoiati, sorveglianti ignoranti e splendido! Bellissimo! Bravissimo! a gogò,  signore impellicciate tre ore davanti a un’ acquaforte.

Fuori dalla gente, ci sono io, dentro la mostra,ma fuori, come sempre, con in corpo la nausea di Sartre all’ennesimo pezzetto d’arancia ricoperto di cioccolato fondente. Io di oggi troppo poco infelice per piangere, come con Magritte e la milanesità di un altro tempo. Con Hopper non funziona, con tutta la buona volontà, anche col Vix Sinex nella ghiandola lacrimale, come fanno le attrici delle soap opera.

C’è sempre un tempo per tutto. Per le Sere Nere di Tiziano Ferro e per le soir bleu, illuminate da lampioni di carta, che avvolgono morbidamente, come se non vivessimo  questa vita, ma il suo specchio nel Sol Levante.