Napolì

E allora stop, dimentica. E io avevo dimenticato. Subito, rimosso. L’aria fredda della mattina, la lotta al sediolino, il gomito nello sterno, la fermata Villa delle Ginestre, il finestrino con gli spifferi, i giovani senza soldi e i vecchi senza pensione. Ma quelli per davvero, non quelli come noi. E poi l’ho vista. Di nuovo. Finalmente. L’ho vista quando è più bello vederla: al risveglio, col rimmel sciolto e la spallina della sottana che cade dalla spalla.

E’ una gran puttana, ho pensato.

Ma il suo inconfondibile odore di brioche calda e pesce e acqua sporca, mhmm…quanto mi sono mancati. L’ho spogliata e bevuta tutta, nel rituale di sempre, nella strada che facevo, nelle facce di ogni giorno, come la volevo, come me la ricordavo. Le bancarelle dei cd, i vetri appannati con i crocchè del giorno prima, i marocchini con gli occhi belli, gli sfaccendati con gli sguardi sopra la folla, il casino, le macchine, le due scimpanzè delle sigarette dove stanno, mica sono finite dentro? Le stelle di natale a tre euro, i pantajazz finti dimensione danza a quattr’euro, me lo compro? No, non fa niente, la devo finire di fare la pezzara. Il traffico, esce una testa di marmo porta Nolana, chi è? Non leggo, per mettermi gli occhiali vintage non ci vedo bene… E poi spacca spacca, sali dentro San Biagio, il freddo nelle orecchie, speriamo di trovare qualcuno per il caffè, il fiatone, chissà come sarebbe stato se ci avessi studiato, chissà come deve essere viverci, chissà come deve essere nascerci. Dietro al secchio della munnezza uno specchio gigante: perché? Lasciamo pulito il quartiere. Forcella? E se la camorra mi spara? Nah, cammina. Uh, ho dimenticato di guardare il Trianon Viviani. Quanto costa questa tammorra? 50. Cinquant’. Ma tu si scem’? Ueeeeeè, che abbraccio. Che intenso. Dura 4 anni che sono quattro secondi in cui si prova a raccontare ma cià cià devo andare a lavorare. Mi potrei comprare la tombola, il tamburello, il triccaballacche, la pizza di ceramica, ma non mi compro niente. Sono paralizzata e invisibile. Camomilla, il negozio, mi chiude la saracinesca in faccia, i bambini ridono e mi spingono di qua e di là, i fidanzati si amano e i Natalizi amano il Natale e il popolo fa shopping. E io? Io mi nascondo in una chiesa. E’ quella del Cristo velato? No, è la chiesa con un presepe grande grande, grandissimo, infizzato in una sacrestia retrobottega che devi fare vicoli e vicoletti come un film di Dario Argento per arrivarci. Una testa fa un movimento da dentro una finestrella e mi accende le lucine. Non lo vedo nel buio. Voglio pensare che è un vecchio. Non mi vedo nel buio. Voglio pensare che è il ciclo e che il presepe è troppo grande per mangiarmi meeeglio. Vedo solo lei: la mia città baldracca natalizia. Finalmente.

10 comments

  1. anonimo

    … già… tutto vero… Anche se quando torni a casa non vedi l’ora di togliere i “panni che puzzano di napoli”….

    rossellarù

  2. anonimo

    Da incorniciare!!! Visto che nn sei riuscita a leggerlo, il bassorilievo della porta raffigura Ferrante I d’Aragona. Ma qual’è questa chiesa???:D Buon Natale Merin anche se ce li daremo da vicino paola

  3. francescobis

    Mi intrighi sempre e questo pezzo è molto ben scritto, come tutto quello che scrivi d’altra parte. Ti rispondo con uno mio ( perdona la lunghezza, ma sono un naciso lo sai). A proposito ho scritto per il libro ma non ho avuto ancora niente.Un bacio.

    Si può sempre ed anche sorridere di tutto, ma a lungo andare questo sorriso si trasforma in una smorfia ebete e inespressiva che copre e nasconde complicità aguzzine e brutture sociali. A Piazza dei Martiri, dove una volta c’era la galleria di Lucio Amelio, il salotto buono della città, ora c’è Feltrinelli, non nello stesso palazzo, un po’ più su di fronte. Dalle nove e mezza di sera, il sabato, il megastore e diventato il punto per centinaia di adolescenti che consumano musica, libri: piercing e dred locks alla maniera rasta, ascolti in cuffia, chiacchiere alla caffetteria, figli della buona borghesia.

    Sembrano tanti, solo perché sono lì tutti insieme, altro inganno di questa città. In realtà non è così, dopo circa due ore la città, da Santa Lucia alla Riviera, da Posillipo a via Orazio si ingorga di altri adolescenti e di altri giovani. Hanno look meno raffinati anche se più appariscenti. I libri non li riguardano, la musica solo quella sparata dagli altoparlanti delle loro auto o delle loro moto, i miti: soldi facili non importa come, possibilmente fatti fregando il prossimo. Si gira da un posto all’altro fino alle quattro del mattino a ruota libera, impazziti, bevendo e consumando di tutto. Anche questa è l’umanità di questa città, del tutto simile a quella di migliaia di altre città, anche questo il percorso anomico del carattere di questa città: altro che guide.

    Così, chi si accinge a lavorare in questa città deve superare i suoi possibili inganni e tranelli che essa tende: farsi straniero, e molti sono andati via, oppure guardarne il riflesso in uno specchio. L’inganno della sua storia, il tranello della sua grandeur e del suo passato splendore, ma anche, una giornata di sole a via Caracciolo o nella quiete del chiostro della Certosa di S. Martino o di Santa Chiara o di qualsiasi altro chiostro segreto nel cuore della città.

    Poi ti può venire in mente la voce flebile e ormai malata di Lucio Amelio, poco prima che morisse, in un film di Mario Martone Terrae motus, l’eleganza dei gesti di un signore che dedicò la sua vita all’arte: l’austera eleganza della sua casa, la rarefatta bellezza delle opere fatte per Napoli.Oppure la febbrile attività di Gerardo Marotta, la sua invettiva morale contro l’imbarbarimento della città.

    Dal Calascione a Serra di Cassano, labirinti di sapere storico filosofico, poi ancora il lavoro instancabile e anonimo di ricercatori, fisici, matematici sublimi, insegnanti, artisti, intellettuali, uomini di spettacolo anche questa è Napoli.

    Le chiese sono i luoghi dell’ombra, del ristoro. Fuori la calca e il caldo o a volte la pioggia torrenziale – Napoli è la città forse più piovosa d’Italia – opprimono, confondono stordiscono: improvvisamente entri in una chiesa e resti stupefatto dal silenzio. A Napoli non c’è nessun luogo da cui non si è sorvegliati da una chiesa. Dentro, o trovi la luce e lo spazio puri, come San Lorenzo oppure una semioscurità favorevole alla cospirazione e all’intrigo come nell’opprimente barocco di Santa Patrizia, nella semioscurità caravaggiesca cupa e sensuale.

    In chiese come queste, in mattinate di silenzio, può succedere di tutto. Pregare, ma anche carpire uno sguardo, proseguire un incontro fatto per la strada, essere derubato, godere di uno sfioramento sacrilego. Dai soffitti precipitano stucchi d’oro, trionfi di putti e amorini, troni e generazioni, cupi confessionali accolgono fantasmi terrei che sembrano far capolino da pesanti tendaggi mossi dalla corrente d’aria proveniente da chissà quale porta lontana ed aperta. Molte cappelle sono semiabbandonate e deserte, da queste emana una desolazione e un profondo sconforto.

    Il fuoco sacro, che ormai dagli altari riesce ad inviare solo qualche sprazzo isolato al mondo esterno, alla pazzia e alla disumanità del fuori è contenuto tra scanni ordinati in bagliori di candele elettriche dell’altare maggiore o di quello di qualche santo taumaturgo e guaritore.

    Quando esci di nuovo per strada, tra i vicoli invasi da motorini dai tubi di scappamento aperti, la violenza di quest’universo è peggiore di un lampo nucleare: ci sono scippi, ci sono pestaggi, ci sono aggressioni, c’è il pizzo della malavita. Capisci che se vuoi resistere non puoi sempre fuggire o nasconderti in una chiesa: con tutta la sua cultura umanistica, così nobilmente coltivata,

    Napoli ha troppe amare esperienze per credere col Petrarca che virtù vinca furore; ma, poi anche la santa scrittura trapassa in popolare saggezza, Napoli ricorda che il piccolo Davide ha steso il gigante Golia e la gentile Giuditta ha decollato Oloferne.

    Ma io, diversamente da Argan, preferisco pensare non al testo sacro che diventa saggezza popolare, perché oggi in una metropoli come questa si sono disintegrati popolo e saggezza. Chi resta a lavorare qui, deve fare i conti con Medusa, la sovrana, come si potrebbe anche tradurre il suo nome. La mano di Perseo, dovette essere guidata dal Fato favorevole, dalla fortuna e da Atena, che era una dea dall’intelligenza maschile e femminile fuse insieme: Napoli oggi è come Medusa.

    Ma non è un’immagine mitica, quella alla quale si fa riferimento, bensì quello che è diventata oggi questa città: una metropoli sciatta e disordinata, dove i rapporti umani e professionali, più che in tutte le altre metropoli, sono governati dalla violenza e dall’indifferenza, dal malaffare e dall’mbroglio, dalla oblio della legge.

    E’ una metropoli che puoi guardare solo di riflesso da uno specchio, altrimenti ti pietrifica, con una sensibilità che va al di là del naturalismo descrittivo e oleografico ottocentesco o novecentesco oggi ciò che resta anche di questo si vende sulle bancarelle del cattivo gusto a buon mercato, mentre interi quartieri aggrediscono i poliziotti per difendere i loro delinquenti.

    Franco Cuomo ( da un saggio sulla drammaturgia a Napoli di prossima pubblicazione)

  4. OMBRETTINA

    TU FAI VENIRE FAME. DI CAMMINARE PER I VICOLI, SCOPRIRE I VICOLI, MANGIARE PIZZA, SUONARE LA TAMMORRA, RESPIRARE, VIVERE, BERE IL CAFFè, ODIARE LA FOLLA, SOGNARE, AMARE NAPOLI, IL PRESEPE, IL NATALE E SI, ANCHE STA CAZZO DI VESUVIANA.

    TU PIU’ CHE ALTRO FAI VENIRE FAME DI LEGGERTI, ALDA.

    E SUCCEDE OGNI VOLTA.

  5. anonimo

    una volta hai detto:non hai ma pensato di fare la scrittrice?e io ho pensato:ma sei tu che dovresti!e nn mi ricordo se te l’ho detto… e quindi te lo dico adesso!DEVI!…Superbo…

  6. malaparata

    La prossima volta, se vengo, mi devi portare a vedere la cappella del Principe di Sansevero e io in cambio ti offro una pizza e pure il Caffè del professore alla nocciola.

    Però senza sfastidi.

    cià

    giadim

  7. Sibok

    Hai scritto il post di Natale che non sono in grado di scrivere io…

    Complimenti, ammiratissimi, e immancabilmente…Buon Natale!

  8. mariado

    io ci sono nata, ci ho studiato, ho sgambettato nei vicoli trafficatissimi leggera come 1 farfalla

    allora napoli era una signorina con veletta, misteriosa ma affascinante, e si nascondeva ritrosa aspettando il momento di scoprirsi.

    oggi è una città violentata, senza veli e pudori ormai, e più che una spallina mi sembra di vedere le tette cascanti che ansimano sempre meno.

    Città baldracca? macchè!

    ha sempre pagato lei, nonostate ti assicuro, i servizietti li sapesse fare come Dio comanda!

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