Wall-e

Foreign contaminant.

In assenza di fotosintesi clorofilliana avevo dimenticato una cosa.

Di essere umana.  Nella spirale fotovoltaica delle mattine milanesi il neon sostituisce il sole e lo sguardo il respiro. Yo soy Woll-e, il nervodolce robottino della Pixar di origini aragonesi. Torero, torero, olè. Non si guardano gli esseri umani da quando lo sguardo ha smesso di suscitare obblighi, ma io li spoglio questi esseri umani che non guardano, assorti negli ultimi best –seller , nelle cuffiette degli mp3 e dei cellulari, nelle cuffie anni ’80 che si portano assai, nei raggi delle bici coi cestelli rosa shocking che sbrodolano buste Upim e Oviesse. Li violento spremendo il senso dell’individualismo inconsapevole e del cocco sulla fronte, come quelli che si portavano negli anni ’80, ma con i capelli più morbidi, senza lacca, per comunicare un idea di finto spettinato sintomo di esistenze geometriche, sbiadite come gli skinny jeans lavati a 90 gradi, appesantite come il tacco a rocchetto,  scandite dal  ritmo un semaforo. Velocissimo, ansimante, orgasmico,  beato lui.

Riassuma brevemente le sue esperienze.

Foreign contaminant, foreign contaminant, scatta l’allarme dell’autodifesa e  una voce metallica racconta a cantilena la tecnofavola di Cappucetto Rosso.

La testa cerca spasmodica sacche di emozione, per risciacquarsi dallo smog come risciacquano i lavaggi degli ospedali . Lo sabe, yo soy pesado, un pesaturo, una suocera senza figli, un’ iconoclasta. Per questo non suono il citofono di Alda Merini, non ho il coraggio.

Milano è come la melanzana fuori tempo. La desideri, te la compri, la paghi il doppio, ma il suo sapore non lo acchiappi. Nun ce sta niente a fà.

Però quando non le chiedi niente, ti regala le casette immobili da guardare attraverso la tela di un ombrellino rosso,il silenzio monumentale di Sant’Ambrogio la domenica mattina, un raggio di sole inaspettato sotto un abete al Parco Sempione che ti fa ossigenare e ti salva dalla cacata di un cane. E poi, foreign contaminant, non ci resta che piangere, guardare, buttarci e contaminarci.

 

 

8 comments

  1. anonimo

    …finché poi scopri che forse tutti i posti – e nessuno – saranno sempre una melenzana fuori tempo. 😀

    Ti mando un bacio da questo luogo dove non esistono foreign contaminations ;D

    Michele

  2. anonimo

    Riferendomi alla mia personale esperienza milanese, posso dire che, invece, a me, un sapore la città l’ha lasciato. E’ il sapore di un caffè espresso bruciato e amaro. E’ il sapore del caffè che fa il bar della stazione centrale, quello che sta di fronte ai binari 20-21. Durante i miei viaggi trascorsi, prima di tornare a napoli, pur consapevole del fatto che il caffè fosse uno schifo, facevo sempre una sosta lì prima di partire. Se non avessi avuto questa stupida abitudine, per me, la città avrebbe avuto l’inafferrabile e indefinito sapore da te descritto. Questo saporaccio, poi, di solito mi ha accompagnato almeno fino a Firenze. Mi ci vogliono sempre più di due ore per assorbirlo. Arrivato a destinazione nella bocca non ne avverto più alcun sapore, ma l’anima, purtroppo, di quel caffè bruciato e si è, ormai, indelebilmente, impregnata.

    P.S. Se mi trovo di passaggio da quelle parti, t’accompagno io dalla Merini. Tutt’al più, nun ce fa trasì! 😀

    luigi

  3. anonimo

    milano!? per me è l’alternativa intentata… cosa sarebbe successo se avessi preso il treno, sola andata per Milano piuttosto che per Roma?!

    Vivo nella Capitale da pochissimo, eppure me lo chiedo perchè da questa scelta dipendono tante, tante cose. Banalmente:la mia vita e quella di qualcun altro…

    Ross

  4. francescobis

    mi devo dare una regolata.AVEVI RAGIONE TU:sto impazzendo con fb.Come stai, so tutto ma tuo padre non mi ha saputo dire bene dove stai lavorando. Aspetto notizie un bacio.

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