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Vacanze in Salento

Lu focu, Lu mare e lu ientu

Il Salento è stato un patto con la luna, fatto l’ultima sera, prima di andare via. La frutta ancora volteggia e il vino rosè sfuma nel profumo di bucato, su uno stendino silenzioso di teli da mare e parei. I colori dell’estate. La mia pagliarella è sfilacciata dal vento e dalla sabbia che taglia le orecchie. I capelli sono stoppa e lo shampoo è un ricordo volontariamente lontano. Così, al sale di una doccia fugace, rubando l’ultima goccia di acqua dolce e una lacrima di senso, di quelle di quando non potresti volere di più dalla vita, che un lettino su una terrazza silenziosa di fronte al mare. Che quando non c’è foschia, si vede pura la costa albanese, dicono. Un lettino sotto stelle che quest’anno non cadono. Un lettino su cui coronare un sogno: salentina. Salentina andalusa. La Grecia Salentina e i suoi ulivi secolari. Finalmente ipnotizzata da quella radice del Sud che da sempre mi fa scoppiettare l’anima come un ramoscello sulla brace. E di come arrivo a Sant’Eufemia di Tricase, io lo voglio raccontare. Volevo vedere una pizzica prima di andare, ma nel modo in cui vivo adesso: se capita. E si stava pure litigando per questa sagra di Sant’Eufemia che stava solo su un manifesto e il navigatore non ci sapeva arrivare. Proviamo o restiamo a Santa Maria di Leuca,  scolpite come il marmo nel tacco dell’ Italia? Poi la cattedrale, il faro, l’erba della sera. Ma si, proviamo. E la magia di vecchi portoni bianchi che diventano rosa, come a Lecce. Il restauro notturno del mosaico. Le corti aperte, le vecchie che ballano con gli zoccoli, come all’antico tempo, prima che arrivassero i foulard e Non vivo più senza te di Biagio Antonacci. E poi all’improvviso un portone con i suonatori e mi ha morso la taranta. Ma per davvero. E sono stata contenta di quando il prof. Di antropologia ci ha fatto studiare il libro sul tarantismo. Dopo anni ho capito. E non riuscivo più a fermare i talloni e mi sono ricordata che mia nonna era di Taranto e forse è per questo che io sono così. Danzo la vida, a piedi scalzi, in mezzo alla piazza, stringendo un fazzoletto sudato di non so chi e questo è il mio Salento, un acme dopo una Lecce che mi ero bevuta dal film Mine Vaganti, un agriturismo ai laghi Alimini che non si può dimenticare, la Baia dei Turchi, Torre dell’Orso, San Foca, San Nicola, Santa Cesarea e tutti i Santi che ci sono tra Otranto e Gallipoli, tra l’Adriatico e lo Ionio. Ma il Salento è soprattutto il miglior patto che si può fare in una vacanza a tre. Riuscire ad andare d’accordo con la quarta, quella parte che lotta tra te…e te.