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Piccole donne crescono

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Una mia amica vuole andare in Australia, un’altra si è appena licenziata da un’agenzia da cui un tempo mi licenziai anch’io, anzi, staccai solo i fili del pc, perché non so quanto puoi licenziarti se non ti hanno mai fatto un contratto.

Comunque.

La domanda era: partire o restare?

Questa domanda se la fa una che è già partita, che ha lasciato il paesello, ma che comunque si sveglia immaginando che le cornacchie sul tetto sono gabbiani e lo sfrecciare delle auto, onde del mare.

Una che spera di ingrassare “giù alla Marina” mentre i figli giocano con i figli delle amiche e magari si fidanzano pure assieme, omaggio alla comune dei tempi andati.

Ma come si fa a fare questo se tutti se ne vanno e al paesello non c’è più nessuno?

Insomma in un racconto che funzioni bene ci deve essere uno che resta e uno che parte.

Ci si vedrà come ora si sta a telefono?

Un caffè rosicchiato a Pasqua, un prosecco ingozzato a Natale… sempre di corsa, sempre frammenti, dettagli che si perdono…sarà così?

Non sei più te, ma il ricordo di te, dei viaggi insieme, della convivenza in Finlandia, delle notti a teatro, delle risate in un’auto…sarà così?

Io, reduce da un’isola dei famosi domestica, come Sergio Muniz allora sull’isola, non voglio definirmi già nell’idea di una vita che sarà, ma io che sono andata, che sono già andata e che sono sempre andata, fregandomene di Pasque e Natali tutti a tavola, mi viene il prurito solo all’idea di ventidue ore d’aereo.

Cioè il mio concetto è, sono andata, non voglio andare ancora, non più lontano, almeno qui la lingua è la mia, almeno ritorno in giornata, almeno è Italia, bella, brutta, è Italia.

Ma forse è solo un pensiero, una sosta, un pit- stop prima del Sud.

Che poi il Sud delle piccole donne di oggi può anche essere il Tirolo.

Ecchilosa.