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Cartoline andaluse

In Andalusia si va per l’ultima spremuta di limone milanese. Dal Sud non esistono voli a 45€ a/r e quindi o ora o mai più. In Andalusia si mette il cuore oltre l’ostacolo. Si parte scavalcando 14 colli diretti nel Mezzogiorno, il primo vero trasloco della vita da un monolocale con fiocchi di polvere e sentimento.

In Andalusia le ragazze come me si sentono a casa appena mettono il sandalo fuori dal bus. Di sandali ne ho buttati 3 paia in Andalusia, consumandomi  caviglie e duroni, ginocchia e melatonina. Andando todo el dia con uno spagnolo sgangherato, la faccia gonfia di sonno e gli occhi pieni di sorriso. La gioia delle cose che scorrono sui lunghi campi di olivi, senza perchè. Olè.

A Sevilla amicheggio, l’amica prepara la cena vegana al ritorno dall’Alcazar e un materasso a terra incastrato tra la sua stanza e quella di un tipo a cui piace fare all’amore. Non lo ascolto tatuandomi  nel cervello  azuelos,  negozi di scarpe, il panino con jamon iberico, la tostada, la Lonely Planet, amica di tante mattine in giro come le antropologhe americane. Sola. Sola con me.

Sevilla is flamenco che è uno stile di vita, un sentimiento, una cosa che non si può capire, né spiegare, né ballare, né cantare se non stai tutto il giorno a Sevilla. Il compas non si può contare. Sevilla io me la credevo cafona, perché io quando penso alla Spagna mi viene sempre in mente Napoli invece i Sevillani amano Sevilla, la banda, la pista ciclabile, Triana, oh Triana e la sindrome di Stendhal.

Sevilla  la cammino notte e giorno, una rissa, i tassisti ubriachi, abboffarsi di tinto de verano e di un momento da femmine. Uno scambio d’abiti, un gossip, un concerto, una bailaora sexy, le gnoras. Essere femmine non ce lo  nega mai nessuno e arriccio le ciglia a suon di rimmel e aggrotto le sopracciglia di fronte a sto mondo strano di gente internazionale che non si muove se non fa couch surfing.

A Cadiz ho freddo e caldo e imparo a farmi l’autoscatto e perdo tempo così. A farmi le foto nel vento. Mi perdo tra i barrios e mi faccio una tapas di porco sale e limone alla Manteca, in mezzo alle foto dei toreador. Vago, vago vago durante le ore di siesta, cerco il mare tra vicoli sempre più stretti coperti di hibiscus e jacaranda.

Cordoba è lunga, la amo e la odio. Perdiamo il bus della sera con gli occhi già carichi di meraviglie e balconcini perfetti e vasi dipinti a mano e prendiamo quello della mattina ma io non ho più l’età per sciacquarmi i piedi nel lavandino della stazione e reggere le palpebre con gli stuzzicadenti. Nessun turista si è fatto a Cordoba più tapas di noi e quando anche i bar chiudono ce ne andiamo alla Feria a sognare un abito a balze e a volteggiare nel casino e la musica e le lucine e il freddo del mattino. Ho i piedi tagliati dalle ore e dai chilometri e vorrei solo svenire ma nel bus per Sevilla non dormo, penso solo a cosa mettere nello zaino e dopo un’ora sono già in quello per.

Granada a debito di sonno e scoprire un vecchio amico nel mio stesso ostello di quelli che ti offrono e ti fanno sentire coccolata. La pace dell’Alhambra in cui tutto scorre e si rigenera mi sconcerta: le fontane, il roseto, i giardini perfetti, lo scroscio dell’acqua. Ma non mi basta e vado oltre il limite, oltre la coreana con cui ci scattiamo le foto a vicenda. Su una scia mistica salgo a piedi fino all’ultima chiesa del Sacromonte, fino alle cuevas occupate, perché se non mi faccio una chiacchiera con i gitanos, se non sparlo dei giri che vanno lì a vedere i tablao flamenchi con il pacchetto dell’hotel io è come se in Andalusia non ci fossi mai andata. Rischio e mi va bene. E alla fine riesco pure a vedermi uno spettacolo di un bailaor maschio  sudatissimo e con duende.

Dall’Andalusia si torna con tutta la toletta per il matrimonio dell’amica. Borsa e scarpe sapore iberico contemporaneo. E quando nell’ultimo scorcio di Sevilla, di fronte a un paio di orecchini il commesso gay azzarda

forse un pò troppo flamenchi…

E perchè, io non soy una chica andalusa?