Tagged: vita da precaria

Monoglobale

Intro infelice con metafora. Trovare casa a Milano è  come combattere i peli incarniti: un’ impresa  (quasi) impossibile. Poi a furia di scrub e bacheche, di esfolianti e “ci penso un attimo…” eccomi nella mia mansarda armata di cacciavite, una sfinge antisesso con le spalle di Mastro Lindo e la gambe di Renato Gattuso (eliminato il problema dei peli incarniti subentra quello della doppia ricrescita).

Al monolocale e alla sua sanguinolenta solitudo-solitudinis, si arriva dopo un rituale di step obbligati:

  1. lunga condivisione di letto matrimoniale
  2. altrettanto lunga permanenza in “sala”, il porto di mare, il soggiorno da cui tutti passano, su un divano che si apre di notte sprofondando nell’abisso dandy del neo- precariato

Ma soprattutto, al monolocale e alla sua fagocitante solitudo-solitudinis, si arriva dopo essersi imbattuti in un’allegra schiera di potenziali coinquilini, che, usciti dal serial "non varcare quella porta", hanno distrutto ogni speranza di condivisione con la stessa “cazzimma” del cugino che ti dice che Babbo Natale non esiste.

L’artista: gonna zebrata asimmetrica, la sua casa puzza di chiuso, trine e merletti. E’ un’accozzaglia di oggetti strani e polverosi in cui a malapena distingui una renna di peluche da un vassoio a decupage. Il letto dell’artista vintage è faraonico, a baldacchino, dorato e le pantofole sono con le piume, col tacco, Defonseca, di tutti i tipi. La casa dell’artista è decadente come la proprietaria, che dimostra settant’anni anche se ne ha 35.

La neo-separata: dolcissima, carinissima, issima. La neo separata ha una vera casa con una vera televisione a plasma e un vero tavolo di cristallo trasparente. Ha tutti gli elettrodomestici, piumoni nuovi di zecca non Ikea, lo spremiagrumi elettrico,  i pistacchi e il succo d’arancia come aperitivo. La casa della neo-separata è precisissima come la proprietaria, che ti sfila e rinfila il cappotto, ti offre un piatto caldo, pronta a dirottare sulla nuova arrivata tutte le coccole di geisha troncata.

L’alternativa: va in bici, non si capisce che lavoro fa, ha le Converse strappate e i capelli unti. Si dice vegetariana, ma pronta a lavare i tuoi piatti sporchi di carne. Ti offre pistacchi (ancora?) e un buon bicchiere di vino. In un minuto già ha programmato la vostra amicizia, le vostre cene insieme e non vede l’ora di presentarti il suo fidanzato che spera non essere un problema tra voi due. La casa dell’alternativa  porta nel posacenere tutti i segni delle notti brave.

L’incinta: (…).

Escluse queste e le soluzioni gay-friendly, i baratti, i sud-americani di Corso Buenos Aires, il quartiere Pasteur e i sette indiani, l’invisibilità del quartiere cinese, eccomi in un monolocale che sta stretto pure a se stesso, ma che è stato mio fin da subito, per il sogno comune di trasformarci da rottami vintage in monoglobali di successo.

Long Island Iced Tea

Al mio paese un Long island non è un cocktail imbevibile che ti fa ubriacare assai ma una folle circumnavigazione delle isole del Golfo di Napoli, un rave tra le onde Iced Tea.

In un Long island Tour non esiste un abbigliamento consono, ma il bagaglio deve essere attrezzato con la mutanda pulita per il tuffo cufaniello dalle stalagmiti della Grotta meravigliosa a Capri e un costume per il bagno notturno nella piscina riscaldata dell’ hotel a sorpresa di Ischia .

In un Long island Trip si dorme massimo 50 min. di fila in un letto vero e non più di due ore a notte in preda ad ansie del giorno dopo, eiaculazioni Rem e corse in taxi finalizzate a respirare il caldosmog  della nave delle 2.30, tratto Ischia-Pozzuoli, accartocciati su un divanetto 20X30 insieme agli autisti arrapati dei camion della munnezza.

Senza un mago per davvero, 1 colazione di lusso, 32154 merende, 4 risate, 1 intestino di ferro, 2 cene stile fotografo del matrimonio, un libro di Mauro Corona sugli alberi da leggere assolo in un anfratto vestita dalla Dea Minerva che fa svolazzare il tulle mentre le barche dal mare gridano “nuda, nuda!”, il Long island Tour sarebbe davvero insostenibile.

Poi però ci sono le albe Iced Tea con i gabbiani, i delfini e la luce glicine del primo mattino. Da gustare su un gommone con lo skipper chiattulillo in k-way rosso, che aggredisce il mare in silenzio, mentre  la schiuma delle onde si increspa e canteresti, ma non vuoi disturbarti il paesaggio. Gli attimi di un Long island sono così, da buttar giù in one short, alla goccia. E subito dimenticar in un ottobre che è caldissima estate e freddissimo inverno.

Lemon Free

C’è chi al suo matrimonio fa recitare la poesia allo zio ubriaco e chi, come Silvia&Marco regala una pennina usb a forma di braccialetto con le foto della festa scattate dai migliori reporter di moda sulla piazza.

C’è chi, poi, in questi matrimoni dei rampolli clonati della milanodabere, si infizza per fare l’acqua e limone. Merincontraria, la ragazza dell’acqua e limone sull’isola Li Galli, off limits.

Limonata per il signore lentigginoso in lino. Et voilà.

Orange juice? You’re welcome!

Si, limoni di Sorrento freschissimi.

Sono abiti da tarantella.

Facciamo teatro-eventi.

Frasi scheggia mentre le unghie si riempiono di terreno e un semino spunta dal bicchiere dell’ex amante di Tronchetti Provera.

 

Glielo cambio subito.

 

Il resto è scogli a strapiombo, mare grigio, mare verde, mare azzurro, lucertole grasse, un coro gospel ascoltato dietro al velo di un letto a baldacchino, uomini di mare abbronzati e scalzi, sguardi sotto la pioggia, intenzioni, canti liberatori e la bellezza dei sedici anni. Rigenerante. Solidarietà con le maestranze che ti sembra di stare in campeggio in Calabria con il falò a cantare “Acqua azzurra…Na na na na na”…

 

Il resto è abiti di Vogue, tessuti preziosi, cappelli di paglia, pr in lino e superga bianche, cambi scarpe, tagli di etichette, abbronzatura dorata, pelle invecchiata, occhi tirati, bocche gonfiate. Bellezza? Ricchezza che ti appara, i miei studi antropologici “come sembrare una ragazza ricca con 30€”.

 

Il bello della ragazza dell’acqua e limone è che la gente si innamora di te perché sei la ragazza dell’acqua e limone con il vestito antico e il culo chiatto. Quando ti togli il vestito e te ne metti uno buono per dire che nella vita fai altro, quando esci dal momento dell’acqua e limone, il gusto si perde e o’ limone va’ acit’ (va in putrefazione e fa acido).

Fisciano 2/bis

Due anni fa a quest’ora Merin si sfilava il suo primo tailleur per incellofanarsi in un vestito di Pinko ovviamente comprato in stock e festeggiare la sua laurea in un posto cafonissimo ma ripulito con amici e parenti. Cento. Come la ruota di Iva Zanicchi.

Merin era una dottoressa con menzione accademica e tutto di lei, anche i capezzoli e i peli sull’alluce – che aveva diligentemente estirpato per l’occasione -inneggiavano alle scienze della comunicazione.
Merin festeggia il bianniversario tornando all’ovile che non è una metafora, perché Fisciano, sede della sua università, è proprio un ovile e gli studenti sono tante pecorelle smarrite e la location è una campagna dove negli anni ’70 si poteva girare con discreto successo il lungometraggio di là sui monti con Annette dove il cielo è sempre blu.Ma due anni dopo:
 
il cielo di Fisciano è grigio
la pioggia batte insistemente sui vetri dell’autobus
il biglietto dell’autobus è aumentato di 44 centesimi
Annette è un caso di diossina
i monti sono coperti da ruspe e trattori perché le scienze della comunicazione hanno sempre più iscritti  grazie a Simona Ventura e Maurizio Costanzo
le studentesse di Scienze dell’Educazione sono sempre più zingare
il conducente dell’autobus con le schiocche rosse ha di sicuro la cirrosi epatica
il bar ha subito un restyling di mantrice Ike- ese
i prezzi sono welfare: caffè, chewing gum e acqua naturale per 60 cent
il mio cappotto a tweed continua ad essere troppo freak per gli standard del luogo
Sono dimagrita 4 kg ma sono comunque più grassa di quando mi sono laureata
Ma soprattutto rosicchiando le belle speranze degli studenti impegnati a calcolarsi i crediti e trovarsi uno sfigato per la correlazione mi sono sentita felice.
Lontana da quel mondo e così meravigliosamente a casa.
La giornata finisce col rituale pizzeria Le Volte e caffè al caffè Atena con la collega di tesi. Quasi un’iniezione di dolcezza. Ma quasi, però. Perché nel frattempo noto che la barista che suonava nella banda della Basilicata si è fatta la cresta punk.
 
Ma tu te lo vedrai il film? – chiede la collega.
Qua film?
Quello di Sex and the City…
Ovvio. Anche se secondo me è una stronzata.
Già.
Mi arriva l’autobus- dice la collega.
Ciao.
Cià.
 
Ci vediamo l’anno prossimo.
O tra due.
O Chi lo sa.
 

Regina del Bluff

E hai voglia di incoronarti reginetta del bluff, ma m’è costato.

Eccome se m’è costato. Il colloquio Ryan Air mi ha fatto sentire come quando a sedicianni per cinquanteuro ho fatto la rappresentante di lista per forza Italia. Come quando dopo quattranni di no global mi sono fatta il  Menù Big nel Mc Donald di San Pietroburgo.  Come la ceretta quando hai il ciclo e fa freddo e la spatola (n.b non il rullo!) ti scuoia la pelle. Insomma s’è capito. Nei trenta minuti di tram sulla Prenestina mi scorreva davanti il fotogramma della vita di Merincontraria, sezione re-find a job . Merin, rampante corrispondente del giornaletto locale, Meringiornalista, Merin iettata in tutti i teatri della Regione Campania con il block notes, Merin in una fredda stanzetta di Soccavo a fare la velina della formazione, Merin masterina, Merin storyliner, Merin dei cartoni animati che vuole sdoganare a tutti i costi South Park,  Merin double stage alle mandorle, Merin nei treni. Salerno. Napoli. Napoli. Salerno. Quanti treni. Mamma mia.

Che a confronto la canzone dei Gemelli diversi Mary è andata via l’hanno vista piangere correva nel buio di una ferrovia è una campagna mal riuscita del Ministero delle Politiche sociali.

Ottime doti di trasformista, anyway. Zippo il mio inglese e dico che mi possono anche mandare nella base di Stoccolma in mezzo alle conifere e alle renne. Tanto se i contenuti saranno lontani dalla mia vita, meglio ibernare le frustrazioni a meno diciotto.  E meglio la Scandinavia che il porto con le ali di Pisa. Fare uno chignon perfetto con i capelli ricci sarà il mio stimolo quotidiano.  Content manager? What’s that? Mi chiede l’intervistatrice gallese ex hostess finita al recruitment almodovarianamente: sull’orlo di una crisi di nervi. Se glielo spiego finisce il bluff e allora tergi-verso, versandomi ad alta quota in un sorriso da hostess.

 

 

Tra_vesti e menti

Travesti_menti fino a pensare che in un’altra vita ero un transessuale.

O una costumista. Perchè rendere le idee con gli abiti mi viene facile e soprattutto guadagna piccioli. Vedi Mauro, ex Platinette, che attira miliardi col suo naso da dinosauro transgender per il solo fatto di esseri spogliato. E lì tutti gli amici di Buona Domenica e dell’Italietta dell’avanspettacolo a dire che persona speciale e profonda che è Mauro. Non che non lo sia. Ma montarci un intera striscia televisiva dell’ Italia su due mi sembra davvero maleducato rispetto a chi, come me, nel travesti_mento conserva l’ identità di genere. Perchè mi vesto da ancella pompeiana e non da centurione, da popolana e non da contadino, da ragazza della paranza quando vado alle feste popolari con tanto di nacchere perchè se dico castagnelle nessuno mi capisce e gonna a balze che ti rende una femmina con la effe maiuscola. E che dire di Minnie?
Ma non perchè è Carnevale e ogni scherzo vale. Ma per ricordarmi a cosa servono la laureaconmenzione, la tesseradigiurnalista, il master e il corsodiformazione.
Minnie. Con la testa di gommapiuma come quelle dell’Edenlandia. Che non vedi se non attraverso il buco della bocca. E puzza, puzza, madonna quanto puzza di piscio di cane. Perchè prima di te qualche altro animatore in cerca del posto al sole ha splattato la sua saliva nell’impossibilità di respirare.
E ti va bene se il giorno dopo non ti svegli con le afte in bocca e la boccarola come ce l’aveva la buonanima del mio fruttivendolo.
Minnie. Dopo un due ore a salutare bambini viziati con la festeggiata di sei anni italoinglese che continua a ripetere seat minnie, seat! dance minnie! It’s enough dancing ho pensato di fare uno strascino con i capelli della principessa vestita da principessa. I  miei compari Mickey Mouse e Winnie the Pooh, mi hanno trattenuto con la camicia di forza. Winnie ha addirittura buttato la maglietta tanto che era sudata. Tieni duro, Minnie! 
E comuqnue i bambini viziati hanno avuto come bomboniera due mega giochi della clementoni e caramelle e dolci che si vedono solo nella Fabbrica del Cioccolato e candy flow che le mamme si ingozzavano con la scusa di aiutare i figli piccoli a mangiare. Fine primo tempo.
Anche Brad Pitt ha fatto il ragazzo pollo. Questo mi ripetevo mentre il cellofan con cui avevo riempito le orecchie per tenerle dritte mi strozzava uso cordone ombelicale.
Anche Brad Pitt ha fatto il ragazzo pollo. Chissà se gli è rimasta la voglia di mc nuggets come a me di gelato allo strawberry.

Chiamatemi Jones

… Perché mi sento molto Bridget.

 

Fotogramma 1. Baia Domizia.

Meri Jones, molare del giudizio incuneato, si ritrova dopo due ore d’auto a Baia Domizia, landa del casertano dimenticata da dio. A farle compagnia, lunghi canneti tra caseifici di bufala, africani che spaccano pietre al sole e il tenero babbo. Tra le ville blindate di questo paese che fece fortuna negli anni 70 come stazione balneare di camorristi e  napoletani arriccuti, oggi deserto, spunta un essere umano. Il contadino del litorale domizio.

“ Cerco il centro di produzione televisiva di Baia”- faccio.

“ Non c’è”- lui.

“ Come non c’è, il programma televisivo di Gaetano Cerr…”- insisto.

“ Aaaaah, Aitan’ (ndr. Dialetto per Gaetano)… Al semaforo a destra.”

 

Fotogramma 2. Centro di produzione.

Lo studio televisivo è  un ex ristorante in pompa magna. Tappeto rosso per gli ospiti, girasoli, puttini, pareti salmone e poltrone in vimini per le interviste. Su tutte le pareti c’è lui: Gaetano C., il Presentatore, che ha costruito una piccola Mecca fotografica immortalandosi insieme a soubrette grassottelle e politici sudati. Mi accoglie con una stretta di mano calda, una dentiera sull’orlo del precipizio, calvizie tinta su una cravatta a bandierine gialle. La sua assistente ha i camperos coi brillantini. Voglio andare via.

Fotogramma 3. Colloquio.

500 euro da lunedì a sabato e alloggio da condividere eventualmente con una collega (quella dei brillantini?!?). Co.co. pro per 4 mesi, eventualmente rinnovabile. Poi ci sono le pubblicità…

Mansioni: giornalista, redattrice, pr, assistenza agli ospiti e  pure una mano a rifarsi la tintura prima di andare in onda. Eventualmente.

Sorriso finto e freddezza.

"Puoi restare due ore a lavorare così vediamo se c’è feeling tra noi?"- lui

"Si..No".- io. (Che dobbiamo trombare?)

"Poi sai, mi serve qualcuno che sappia parlare davanti alla telecamera… Qualcuno spigliato come te" – lui.

Sorriso finto e freddezza 2.

"Proviamo, dai, guarda in camera e fammi un’intervista" – lui.

 

Fotogramma 4.The end. 

La storia finisce che Meri Jones, guardando in una finta camera e simulando un finto microfono, chiede a un presentatore che si sbatte come se la camera ci fosse veramente e che cinque minuti prima le ha detto che ha l’autista da quando aveva 25 anni, quali sono i rapporti con gli enti locali.

Primissimo piano sugli occhi sbarrati di Meri Jones. Dissolvenza e titoli di coda.

 

StRagista

Io mangio cibi caldi.
Il mio caffè è ristretto.
Non sarò mai come la capa della mia cumpagnella che mangia solo cibi crudi e quando chiede il caffè dice che lo vuole lungo e amaro come la sua vita.
Io canto ad alta voce quando scendo dal treno e quando tengo l’i pod nelle orecchie sotto la metropolitana ogni tanto sbatto pure le pacche.
Io sono intelligente.
Io volo con la mente.
Non mi suiciderò mai dopo un colloquio di lavoro come ha fatto oggi quello al centro direzionale.
Io sono intelligente, io volo con la mente.
Volo oltre la cappa di smog, sul nuovo ordinamento, sulle facce allo sbando degli stranieri nelle stazioni, sulle patine, sui silenzi forzati, sui computer senza cache, sul ciclo mestruale autunnale, sul brufolo duro, su quelle che vanno a lavoro con le borsette portacibo della Liu jo. Oltre, oltre, sempre oltre.
Pizzico sulla pancia? Se se.
Peli sullo stomaco? No honey, e’ sbagliat palazz’.
Volo con la rotula sinistra infiammata col sampietrino.
Volo di una grassezza leggera
Volo con indosso una busta di patatine San Carlo.
E sotto il vestito? Niente. Pecchè ije so spontanea.
E non mi avrete mai come volete voi. Da grande il mio sogno è fare strage di stage.
Sarò stRagista senza contratto.
Perché Signora Italia, voi state impazzendo. Vi dò il voi alla napoletana per non mandarvi affanculo come Beppe Grillo. Pecchè sò na guagliona educata.
Signora Italia quando sarete capoluogo del Terzo Mondo Provinciale io smetterò di cagare a progetto.
Questo mondo puzza di candida e mi dimeno tra alitosi a tempo determinato. E se metto una foto così grande sul mio blog vuol dire che sto veramente incazzata.

 

Stagista

Sono una donna sociale e ho un ruolo nel mondo.

A 14 mesi dalla laurea e una montagna di pali so finalmente rispondere alla domanda che stai facendo senza incarnarmi nel manga di Lamù e fulminare l’Ataru Moroboshi di turno.

Sono stagista. (Vaffanculo).

Sta -g i -sta. Du iu anderstend o vuoi lo spell? Si si, la divisione in sillabe è sbagliata, hai ragione tu fratello. Ma non me ne frega niente. Perché io sono staggista. Con due g.

Stagista. Di una importante società di produzione che non ti sto qui a spiegare frà perché tanto a te il teatro non ti piace e al cinema ti sei andato a vedere al massimo commediasexy con Bonolis. Invece a me il teatro mi piace. E pure assai. E sono contenta di iniziare la giornata tra locandine e manifesti di spettacoli che non conosco. Mi stimola, come dire, il clitoride cerebrale.

Stagista. Che è molto diverso da masterina o velina della formazione. E’ un’evoluzione.

Stagista. Vita vissuta a botta di fax, telefonate da smistare agli interni, fotocopie in A3, rassegna stampa, col dramma dei fogli spillati, frà. Con l’ansia dello scacciapuntine. Io le puntine non le so togliere, buco sempre i fogli. I fogli che vanno nel riciclo perché il mio capo non butta niente e se tu butti qualcosa è capace di calarsi nel  cestino e raccogliere fino all’ultima pallottola di giornale.

Ma tu che ne sai. Ho rischiato l’amputazione delle dita  con  le tenaglie che uniscono i fogli nei faldoni.

Stagista. So cos’è un plastichino, una window, un master, un toner. Aggiorno il calendario con Microsoft Excel. E ho un quaderno dei messaggi. Altro che emergenza rifiuti. Buco i fogli con la macchinetta che fa i buchi. Che meraviglia.

E imparo un sacco di nomi. Nomi importanti, mica nomi così. Nomi per cui sono la segretaria scema con cui lasciano le figlie a fare i disegnini. Fantastico.

E ho le colleghe del Mulino Bianco che apparano tutti i guai miei in faccia al boss.

Stagista. A cui qualcuno dice che devo essere più allegra al telefono. E io vorrei spiegargli che sono burrosa e pacata, ipersensibile ai rumori, dolcemente intollerante, ma passami la capa tua che non ho tempo.

Stagista. Con il portapenne zebrato, il calendario dell’artista e la guida di sopravvivenza di Wlemetafore.

Stagista. Che si atteggia ad andare a pranzo con i vecchi buoni tutor della formazione e a sentirsi dire Aldafù, stai nella zona più vip di Napoli, chi sta meglio di te.

Stagista. In ostaggio.

Stagista. Che si dicestag indugiando mollemmente sulla sdrucciola e non steig all’inglese come se ti dondolassi sulla seggiola.

Stagista. Già nostalgica della scrittura creativa e dei brainstorming con quelle buontempone del master.

Stagista. E me la godo finchè dura. Senza em, um, e pause di riflessione.

Perchè che stai facendo?

Stagista.

 

Cuore zippato

Che poi la cosa più bella sono le curve.

Togliere e mettere regole…Cambiare.

Il look, i sogni, le abitudini.

Prima leggevo quotidiani ora non guardo neanche più i telegiornali.

Prima scrivevo articoli ora scrivo sitcom. E ogni tanto anche articoli.

Prima giravo con la birra in mano e mi mettevo la fascia…Ora…

Prima non lavoravo, adesso neanche. Però so cosa è un team di lavoro.

Le notti come questa sempre.

In cui voglio fare tutto e sono nessuno e centomila.

Pignola e asistematica, brutalmente romantica.

Penso ai viaggi, volo a Tokyo e a Berlino, che mi stancherò presto del mare, che dovrei curare la mia ovaia pigra, mangiare meno junkee, farmi un cd per l’auto, stampare un milione di foto digitali, farmi ricrescere i capelli, imparare l’html, tenere la camera in ordine perché questa casa non è un albergo, dicono.

Mi piacerebbe un po’ di freddo secco e un po’ di silenzio.

Perché c’è troppo movimento dentro e fuori.

Idee, telefonate, mail, messaggi, appuntamenti, strategie, posti in macchina nell’attesa di quagliare. Ma poi perché. Sono così belle le rose, le spremute d’ arancia, i sogni sotto alle coperte, gli slanci senza regole. Slanci…Ne sono ancora capace? Mi vedo piuttosto allegramente automatizzata. Qualcuno diceva cuore qualcosa. Ah si, era una canzone di un neomelodico: cuore zippato.