Category: Insalata mista
Desperate Housewife
www mi piaci tu
Stagista
Sono una donna sociale e ho un ruolo nel mondo.
A 14 mesi dalla laurea e una montagna di pali so finalmente rispondere alla domanda che stai facendo senza incarnarmi nel manga di Lamù e fulminare l’Ataru Moroboshi di turno.
Sono stagista. (Vaffanculo).
Sta -g i -sta. Du iu anderstend o vuoi lo spell? Si si, la divisione in sillabe è sbagliata, hai ragione tu fratello. Ma non me ne frega niente. Perché io sono staggista. Con due g.
Stagista. Di una importante società di produzione che non ti sto qui a spiegare frà perché tanto a te il teatro non ti piace e al cinema ti sei andato a vedere al massimo commediasexy con Bonolis. Invece a me il teatro mi piace. E pure assai. E sono contenta di iniziare la giornata tra locandine e manifesti di spettacoli che non conosco. Mi stimola, come dire, il clitoride cerebrale.
Stagista. Che è molto diverso da masterina o velina della formazione. E’ un’evoluzione.
Stagista. Vita vissuta a botta di fax, telefonate da smistare agli interni, fotocopie in A3, rassegna stampa, col dramma dei fogli spillati, frà. Con l’ansia dello scacciapuntine. Io le puntine non le so togliere, buco sempre i fogli. I fogli che vanno nel riciclo perché il mio capo non butta niente e se tu butti qualcosa è capace di calarsi nel cestino e raccogliere fino all’ultima pallottola di giornale.
Ma tu che ne sai. Ho rischiato l’amputazione delle dita con le tenaglie che uniscono i fogli nei faldoni.
Stagista. So cos’è un plastichino, una window, un master, un toner. Aggiorno il calendario con Microsoft Excel. E ho un quaderno dei messaggi. Altro che emergenza rifiuti. Buco i fogli con la macchinetta che fa i buchi. Che meraviglia.
E imparo un sacco di nomi. Nomi importanti, mica nomi così. Nomi per cui sono la segretaria scema con cui lasciano le figlie a fare i disegnini. Fantastico.
E ho le colleghe del Mulino Bianco che apparano tutti i guai miei in faccia al boss.
Stagista. A cui qualcuno dice che devo essere più allegra al telefono. E io vorrei spiegargli che sono burrosa e pacata, ipersensibile ai rumori, dolcemente intollerante, ma passami la capa tua che non ho tempo.
Stagista. Con il portapenne zebrato, il calendario dell’artista e la guida di sopravvivenza di Wlemetafore.
Stagista. Che si atteggia ad andare a pranzo con i vecchi buoni tutor della formazione e a sentirsi dire Aldafù, stai nella zona più vip di Napoli, chi sta meglio di te.
Stagista. In ostaggio.
Stagista. Che si dicestag indugiando mollemmente sulla sdrucciola e non steig all’inglese come se ti dondolassi sulla seggiola.
Stagista. Già nostalgica della scrittura creativa e dei brainstorming con quelle buontempone del master.
Stagista. E me la godo finchè dura. Senza em, um, e pause di riflessione.
Perchè che stai facendo?
Stagista.
Felice low cost
Il corpo vibra e non ha paura. Danza, urla.
E mentre mi espando c’è la luna piena.
Decomprimo il cuore.
Ma tu lo sai com’è la felicità?
Ha i cerchi d’oro e i fuseaux viola.
Ha il ventre piatto e un vestito smeraldo.
La pelle scura e gli occhi da cerbiatta.
E’ piccola e maniarella. Ti giuro.
Ha il profumo di vaniglia e caffè e il sapore del cioccolato.
Il colore dell’alba.
Balla sul mondo e nuota in una caletta che sembra un fiordo.
Joujoux
Quello che mi piaceva non era la ribalta. Era camminare sulle tavole. Era quello specchio davanti a cui mi truccavo. Erano quelle scale dove i grandi si andavano a fumare la sigaretta. Quanto avrei voluto fumare in quei momenti. Avrei fumato col bocchino e il portasigarette d’argento. Ma la paura della la voce era più forte. Non andare via. Non andare via. Era quell’applauso. Non quello che ti facevano. Quello che tu facevi. E’ finito. Quel senso di pienezza che ti restava attaccato addosso. Quell’energia canalizzata. Quello spazio occupato dal corpo. E le pause, quelle sì che mi piacevano. Mi piacevano gli altri. Mi piaceva quel tempo in cui le età non contano. Mi piaceva dire la mia compagnia. Mi piaceva trasformarmi. Anche se ero sempre un po’ cattiva e un po’ pazza. Perché avevo i capelli ricci ricci. E i talloni sporchi. E tutti quei trucchi sugli occhi vivi. E i vestiti appesi col nome sopra. In culo alla balena. Speriamo che non cachi. Merda merda merda. Mani strette strette. Sguardi al vetriolo. Delle locandine non me ne è mai fregato niente. E sentirsi, camminando avanti e dietro, in quell’inchino che non è mai a tempo. Fai sparire quel cappotto viola. Nostalgia nostalgia canaglia. E’ un po’ che ci penso. All’affollamento della blogsfera. Blog come funghi, polposi e velenosi. Blog tamagochi: da accudire, da curare, da sfamare. E ora il link, ora la foto, mò la canzone di sottofondo e il post che è una vita che non aggiorno e fammi controllare i Pvt, che magari qualcuno scrive quanto sobbrava e poi shinystat, l’account su flickr e le categorie, per quando farò un sito. Ma questa sono io. Un caso disperato. L’orticello virtuale è solo l’ultima delle dipendenze consolidate. Le mie rote da web. Odio parlare al cellulare ma non riesco a starne senza. Dicesi nokiadipendenza. Msn mi sfianca. Ma al callo dello scrittore aggiungo quello del polpastrello. Shatcallo. Ho quattro caselle di posta. Una casella job anche se lavoro ma non guadagno dove ci sono tutti i progetti che diventeranno guadagni. Lo sento. Una casella young, a cui si accede solo per invito e che fa tanto figa col giornalista di turno e per le minchiate con gli amici. La casella suomy è ultimo baluardo di un Erasmus in Finlandia e la casella di Alice per la bolletta telefonica on line puntualmente me la dimentico. Quindi in ordine casuale ogni giorno accendo cellulare entro in due mailbox e controllo di cambiare il pannolino a Parola di Merincontraria. Tornando a quello che penso sull’ affollamento della blogsfera, penso che esistono blogger e blogger. Ci sono i caposcuola e ci sono i pacchi. Esempio di caposcuola: Pulsatilla. Pulsatilla è come la mela colta dall’albero. Un po’ aspra, ma vera. Generazionale e mai scontata, leggera come una piuma. Si legge bevendola. E si ride, di lei e di noi stessi. Esempio di pacco: Pornoromantica. Pornoromantica è come lo zabaglione alle sei del mattino. Stucca. Non basta fare un ossimoro e mettere le foto di due cazzi di gomma. Periodi troooppo lunghi, dritte sul sesso che mangiano le emozioni come Pac Man le palline. Entrambe hanno pubblicato. Esempi di codici binari che diventano scrittura. Brave. Ma nel mio sangue di blogaholic se circola qualcosa è la ballata delle prugne secche. Se proprio dobbiamo parlare di romanticismo allora preferisco essere cinromantica. Pornoromantica no. Decisamente. Dedicato a wlemetafore. Che poi la cosa più bella sono le curve. Togliere e mettere regole…Cambiare. Il look, i sogni, le abitudini. Prima leggevo quotidiani ora non guardo neanche più i telegiornali. Prima scrivevo articoli ora scrivo sitcom. E ogni tanto anche articoli. Prima giravo con la birra in mano e mi mettevo la fascia…Ora… Prima non lavoravo, adesso neanche. Però so cosa è un team di lavoro. Le notti come questa sempre. In cui voglio fare tutto e sono nessuno e centomila. Pignola e asistematica, brutalmente romantica. Penso ai viaggi, volo a Tokyo e a Berlino, che mi stancherò presto del mare, che dovrei curare la mia ovaia pigra, mangiare meno junkee, farmi un cd per l’auto, stampare un milione di foto digitali, farmi ricrescere i capelli, imparare l’html, tenere la camera in ordine perché questa casa non è un albergo, dicono. Mi piacerebbe un po’ di freddo secco e un po’ di silenzio. Perché c’è troppo movimento dentro e fuori. Idee, telefonate, mail, messaggi, appuntamenti, strategie, posti in macchina nell’attesa di quagliare. Ma poi perché. Sono così belle le rose, le spremute d’ arancia, i sogni sotto alle coperte, gli slanci senza regole. Slanci…Ne sono ancora capace? Mi vedo piuttosto allegramente automatizzata. Qualcuno diceva cuore qualcosa. Ah si, era una canzone di un neomelodico: cuore zippato.
Teatral canaglia
1,2,3…stella!
Web – aholic.
Cuore zippato