Category: Insalata mista

vite parallele

Si dice “ ci vorrebbero due vite”…

Io due vite ce le ho. E non vanno d’accordo.

 

Vita A: è la vita del lunedì, martedì e giovedì (a volte). In questa vita mi sveglio relativamente tardi (7.30) e uso il collutorio. Riesco a truccarmi senza il fondotinta, arricchire il mio look monocromatico con gadget kitsch e finanche spazzolare i capelli a testa allingiù.

Nelle due ore che mi separano dall’ ingresso in Soccavolandia leggo La Repubblica, Lo scherzo di Kundera o tutti e due. Se ho dormito otto ore scambio anche due chiacchiere con il mio amico progressive ma non dò mai confidenza agli sconosciuti.

Il lungo viaggio che passa per circum, metro e cumana e il giornale sottobraccio mi fanno sentire donna in carriera in diritto di lamentarsi. I miei compagni di corso fanno finta di assecondarmi nella parte della Giovanna d’Arco dei pendolari. In questa vita sono un aspirante addetto stampa dello spettacolo specializzata nel settore teatro. Sono circondata da musicisti, attori, filosofi, giornalisti. I posti sono fissi come in classe al liceo e puoi chiamare il tuo prof Igor, Annamaria, Alfredo. Si pranza tutti insieme con i termos e i panini avvolti nella carta stagnola circondati da pc sintonizzati su Youtube. Si torna a casa alle diciotto con l’autostima della prima della classe. Professionale e sociale. E’ la vita che preferisco.

 

Vita B: è la vita del mercoledì, venerdì e giovedì (a volte). In questa vita mi sveglio che è ancora notte, ho freddo e sono di pessimo umore già dalla sera prima in cui mi chiudo in casa a fare la molla di mutanda. A stento mi lavo faccia e denti, ascelle e bidet quando capita. Riciclo i panni del giorno prima o faccio abbinamenti casual, cioè casuali. I capelli depressi in boccoli uniformi alla Shirley Temple sono una costante di questa vita. Alle 7.31 sono in stazione, ultimo vagone, con gli occhiali da sole e l’i- pod che pompa le canzoni di Mina. Ogni 15 minuti, scambio una parola con wlemetafore, se proprio non  siamo riuscite a evitarci.

Arrivo al master dopo aver attraversato il mercato del pesce e graffiato gli stivali nuovi sui sampietrini del centro storico, con il classico motorino che finisce nella pozzanghera e ti schizza quando tu avresti preferito essere investita direttamente. Per i miei colleghi sono una diversa perché non conosco Wim Wenders, David Lynch e non so quanti peli Hitchcock aveva sulla palla sinistra. In questa vita sono un aspirante addetto stampa che fa un master in scrittura per gli audiovisivi perché non si paga e vuole prendersi il titolo di masterizzata. Ma non faccio mai i compiti e i prof. non mi considerano perché non intervengo. A pranzo mangio una pizza con altri tre o quattro reietti come me o con quelli che mi vedono “esotica”. Torno a casa alle diciannove e quindici con l’autostima sotto le scarpe. Litigo con mia madre e guardando i punti neri allo specchio penso che sono in attesa di una terza vita.

 

Alda F.

 

  

volere volare

Volevo, volevo. Volevo dire che.
Volevo dire che volevo nascere uomo.
Non li conosco gli uomini in fondo, ma mi piacciono le loro voci gravi, le fragranze maschili, la solidarietà di gruppo, la linearità del non detto, quella masturbazione da cui, alla bisogna, esce qualcosa invece di entrare.  Non come  per noi donne. Non come per le più fortunate tra  noi che le sanno farle, le donne.
Volevo dire che  la storia della lettera della moglie di Berlusconi non mi va giù. Non passa che La Repubblica la pubblichi in apertura. Mi spiazza pensare che io avrei fatto lo stesso per vendere. Però poi  penso, cazzo Alda F., almeno ci avresti montato un caso. Almeno accanto alla lettera avresti scritto un corsivo provando a motivarla, questa baggianata. Avresti avuto il coraggio di dire che la  storia della dignità femminile ferita è una gran cazzata? Avresti scritto che credi ad un’altra storia, quella del monopolio dell’informazione? Chissà cosa avresti fatto, Alda F. al posto di Michele Serra. 
Complimenti comunque a Veronica Lario, al secolo Miriam Raffaella Bartolini, per il riposizionamento del suo personaggio. Discesa in parabola da moglie assente a moglie ferita. Moglie di Berlusconi, comunque. Tra lei, lui e il loro amore un bell’ufficio stampa. In grado di trasformare la battutina al Telegatto in un polpettone mediatico per riscaldare gli animi  e far salire lo share. Perché tanto c’è la replica del giorno dopo. E quando le scuse arrivano si serve agli italiani  l’icona della  coppia che si ama, un ex premier devoto che senza rinunciare alla sua mascolinità si prodiga per tener su la  famiglia del Mulino Bianco. Dimenticando che gli italiani non sono fessi. O almeno non tutti.
Volevo dire che sarebbe patologico trascorrere il sabato sera a guardare “ La signora della porta accanto” di Truffaut se non avessi avuto un susamiello e un rococò avanzati da Natale che hanno reso il momento davvero indimenticabile. Un grazie speciale alle scaglie di mandorla cadute tra le lenzuola che mi hanno tenuto compagnia tutta la notte.
Volevo dire che chi trova un amico trova un tesoro. Ma questa è una banalità. Anche se bambina prodigio se la merita proprio tutta. La banalità intendo.
Volevo dire che questa fase della mia vita si chiama capitolo napoletano, un capitolo frizzante, bellagente, sorvolando la condizione da pendolare con le scarpe rotte e la valigia con lo spago.
Volevo…ma è meglio non volere più nulla. Almeno per stasera. Stasera che volevo volare.
Alda F. 

mattacchioni d' amore

Niente fatti personali era la premessa ( cfr. post benvenuto autogeno). Ma questo lo devo proprio scrivere.

E’ venerdì sera, piove. Esco da una vineria mezza alticcia e con trucco al secondo strato, riciclato dalla mattina. Col sennodipoi, l’unica cosa che avrebbe potuto attrarre un uomo era il mio cappello a righe che mi dà un’aria da pittrice francese decaduta. Comunque. Sulla porta mi sento chiamare. Alda, Alda. E’ un ragazzo. Carino. Molto carino. Simpatico. Mettendolo a fuoco con la sola lentina dell’occhio sinistro mi ricordo che ci ha già presentato un’amica nel passato remoto. Forse l’estate scorsa. Facendo un’eccezione alle regole d’oro della ragazza retrò, gli dò il mio numero incoraggiata dal suo portamento tra il metrosexual e il gay. Ma il ragazzo si rivela aggressivo fin dal saluto. Stretta di vita e di maniglia dell’amore a cui segue risoluto sms notturno. Non mi dispiace, anzi, mi addormento felice e contenta in attesa di una telefonata che secondo i miei calcoli sarebbe arrivata domenica. E domenica fu. Sembra una telefonata divertente, sono sul punto di pensare " ci esco, che me frega", che il ragazzo carino e simpatico si scopre motociclista sfegatato. E’ vabbè. Passiamo sul racconto di lui che galvanizza la sua ex alla moto fin quando lei dice " perchè non te ne compri una più potente". E vabbè. Passiamo su lui che mi dà lezioni su come trascorrere la domenica  a scorrazzare nei campi invece di stare davanti al pc. Passiamo sulla domanda " ma tu sei laureata". Ma quando, all’ennesima battuta lui si scompiscia dal ridere e dice:

" Sei proprio una MATTACCHIONA, una tipa PARIATIVA", bè qui proprio non passo. 

(divertirsi uguale pariare in napoletano. Pariativo.. lo interpreto come una sorta di gerundivo, ma si accettano suggerimenti)

Il resto è io che applico le regole d’oro della ragazza retrò non rispondendo agli sms e facendo squillare il telefono a vuoto. Ma al ragazzo bello e simpatico, spintosi oltre il messaggio " la vuoi finire di fare la tipa BIT" ( non era beat?!), che nella storia dei miei corteggiamenti segna il punto di non ritorno, almeno la notorietà di un post.

tvb xkè 6 fantastiko…io&te 3MSC, la tua mattacchiona.

Alda F.

bollo in pentola

E tutto intorno è silenzio.

Un silenzio che non è  in dizione e che non fa notizia. Un silenzio che è silenzio e basta. Tu, sola in cucina, mentre butti la pasta, persa. Persa nello shhhhhh che fa il sale sull’acqua bollente. La schiuma si increspa e tu, sola in cucina mentre butti la pasta, ti tuffi nel bianco grumoso al posto della pennetta.Eccoti,  a dondolarti nella  pentola calda, con i capelli che si afflosciano come spaghetti e la schiuma che entra nelle orecchie.  Eccoti, nel glu glu cavernoso di bolle che si infrangono contro la schiena e ti rassodano i fianchi. Riesci persino a girarti a pancia in giù aggrappandoti ai manici d’acciaio. Immergi la faccia nell’aqua densa e salata, acqua panna, argilla, sei contro corrente, ma non c’è vento. In questo mondo liquido non hai più bisogno di respirare tutti i nomi che non ricordi.  Affoghi sul fondo  i registi che non conosci, i libri che non hai letto, il partito democratico, la sigla del Tg, i tanti rumori della tua vita. Ti rigiri, ti arrampichi su una grandebolla, stai in equilibrio liquido. Schizzi acqua fuori dalla pentolavasca irrigando i fornelli con goccioloni bollenti. 10, 100, 1000 te volteggiano in una tempesta i bolle e, in quel momento lì, senti che è davvero bello sgocciolare guardando il panorama all’ombra di un’opacità bagnata.

Alda F.

   

Furbaricco

Alessandro Baricco, sguardo sornione e ricciolo brizzolato, è la prostituta della letteratura contemporanea. Una maitresse d’alto borgo per i fan, una puttanella furba per i critici. Ma sempre una prostituta. Di quelle che il mestiere loro lo sanno fare così bene che ti verrebbe di fare la prostituta anche a te.

E allora, sull’onda del "voglio essere una puttanella anch’io", me ne vado alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri per la presentazione dei Barbari. Entro e chiedo alla prima di faccia di bravo ragazzo che trovo " Dov’è Baricco". Faccia pulita risponde: "Lì!", indicandomi lo stand con la pila dei libri verde acqua e la scritta " I Barbari, l’ultimo successo di Alessandro Baricco". Ringrazio bravo ragazzo della sua purezza/ignoranza e mi faccio ressa tra i veri aguzzini che sgomitano per la Pozzi della letteratura davanti a un figo che fa da security. Guardo il figo dritto negli occhi, mostro con prepotenza la tessera stampa senza neanche sfilarla dal portafoglio e plof sono dentro alla stanza a luci rosse.

Eccolo lo scrittore attore presentatore editore direttore di scuola di scrittura creativa. Il mago dei superpocket, il genio del . scritto Punto e delle E a fine frase, il grande seduttore della parola. Colui che da 100 pagine tira un film di 3 ore su un uomo che porta il nome di un secolo. E dopo Novecento, Seta, il film. Il libro a 16 anni mi fece impazzire e pensare di andare alla Holden a Torino. Ma quando poi ho letto

La Scuola Holden è una scuola privata. Dunque, costa.(www.scuolaholden.it)

senza tuttavia capire quanto, ho cambiato idea. E quando poi ho saputo che il cumpagnello a tutto di Alessandro Baricco è un tale che si chiama Massimo Procacci e che la piccola casa editrice che hanno fondato è la Fandango Libri allora Baricco mi si è fermato sulla bocca dello stomaco, insieme al panino dell’autogrill con i gamberetti che si chiama " Oceano Mare".

Poi su Repubblica leggiucchio stralci dei Barbari, non faccio neanche in tempo a dire "ah bello, Baricco ha rispolverato il feuilletton, riportando in voga il romanzo a puntate" che esce il libro su cui l’autore scrive " Il romanzo a puntate non mi attira per niente. Per cui sarà un saggio, nel senso letterale del termine, cioè un tentativo: di pensare scrivendo".

Il romanzo non ti attira, ma i soldi si, eh? Eh, già, mò i saggi sono "tentativi" in senso letterale, si scrivono a puntate in 5 mesi, con la spada di damocle di Repubblica sulla testa e poi si fa un  copy and paste più copertina cartonata ed ecco qui il libro?  

Caro  Baricco, tu mi dirai che la precarietà e la velocità sono caratteristiche della "mutazione", del lavoro barbarico, ma mia nonna ti avrebbe detto che à canzon a saje long’ tu..

E mentre tento si spiegare tutto questo alle mie amiche, e coltivarmi una ragazza con digitale per le foto per il magazine, nella ressa per gli autografi, mi cade un assorbente dalla borsa. The end.

Con tutto il rispetto per le prostitute e l’ammirazione per Moana Pozzi.

Alda F.

Madrid

Madrid.
Madrid con la testa per aria e gli stivali che scambiano i piedi in una casa originale del dopoguerra spagnolo.
Guardo il telefono a parete con la rotella girevole e il busto del cristo che mi benedice dal soffitto e sono felice. Gli spot pubblicitari su Cuatro augurano feliz navidad ed il riscaldamento centralizzato con la coca light mi fa passare la tosse nonostante  le coperte di nylon impolverate. Mi addormento con un massaggio ai piedi progressive e mi risveglio con disintegration dei cure. Quattro chiacchiere in anglospagnolo e sono la regina del metro. Mi muovo come un pesce nell’acqua, finalmente libera da pippe sedimentate, senza propositi e desideri da esprimere. Semplicemente vivo e vivendo mi fermo davanti all’Enigma di Hitler, la stessa cornetta nera della mia casa in calle Maria de Guzmàn 24. Penso di poter essere amica di Dalì o una potenziale modella di Picasso o magari una  pittrice nascosta . Mentre mi faccio di arte che non conosco i miei sogni aprono un circolo letterario a Vico Equense e mi trasferisco in Spagna per diventare commessa del Cortes Ingles. Non voglio pensare a nessuno. Non voglio comprare niente. Non voglio abbinare i colori alla faccia del botulino italiano e delle fashion victims che non hanno voglia di scrivere un libro. Il giro da H&M è di devozione, ma mi prende di più il mercato della trasgressione codificata di Fuerrancal e il balletto del trans anoressico nella piazza della Chueca. Non sono fatta per la cucina fusion e mi gustano mas jambon, queso e chorido che svegliano il mio spirito resinaro. Lavo i piatti e mi ricordo di Helsinki, quella densa precarietà in cui una candela a forma d’arancia e un dolce da cui escono le sorprese di babbo natale assassino ti ricordano che stai vivendo il tuo tempo al massimo. Un tempo lento, senza muri di cartongesso, di sguardi e di intese dell’amicizia che fu, che poi non è stata e che forse sarà. Con l’ansia volgare di sogni cubisti. Con i resoconti notturni e senza lentine per guardare  i monumenti bassi e grassi con gli occhi che ho. Con il gusto di fare un applauso ammiccante al cubista brillantinato e di dire hasta luego lasciando una t-shirt sgualcita sulla sedia rococò.

Alda F.

zialda

 

Il mio amico diventa papà. Me lo ha detto sorseggiando un caffè alla luce del sole. Me lo ha detto con un biglietto bianco che io credevo un regalo di Natale anche se ci eravamo detti quest’anno niente regali. E invece sul biglietto c’erano un pupazzetto uomo e un pupazzetto donna, come quelli che si trovano sulle porte dei cessi degli autogrill. E accanto a questi omini rossi  il nome del mio amico e quello della sua donna, il gatto no, non c’era, forse perchè non esiste un pupazzetto a forma di gatto, il nome della chiesa si, quello si. Il mio amico diventa papà di un esserino che ora ha tre mesi, pesa sei centimetri e non sappiamo che pupazzetto avrà. Io spero il pupazzetto donna, anche se già si sa che non sarà toro come me e la donna del mio amico perchè nasce a Giugno. Il mio amico ha fatto le cose nel suo stile di architetto buonista minimal. Ma a malincuore mi ha annunciato che non potrà sposarsi con lo smoking e il cilindro come aveva sempre sognato. Io ho fatto finta di consolarlo, ma l’immagine dei suoi capelli Telespalla Bob che fuoriescono dal cilindro mi fa ancora rabbrividire. Gli ho detto che però potrà finalmente piantare un albero insieme a suo figlio, come aveva sempre sognato. Abbraccio e lentine appannate per qualche secondo. Il mio amico mi ha detto che divento zia, una specie di zia acquisita. Io mi sono arrabbiata.  Non volevo ricevere una notizia del genere col riccio depresso. Dovrebbe saperlo che odio essere impreparata e che la prima cosa che il pupazzetto/a saprà di zialda è che quella vigilia aveva i capelli sporchi.

Alda F.

Dormigliosamente Natale

Questo Natale per me sarà…piccole cose.

Disintossicarmi dal fischio della circumvesuviana, fare cacca quando me ne vien voglia invece di aspettare la sera, al rientro a casa.

Questo Natale sarà…senza la sveglia, senza comunicati, senza recall, senza il panino e la borsa del giorno dopo, a scaricare la suoneria di sex&thecity, a mettere le scorze di clementine sulla tombola mentre i cugini piccoli ti fanno cadere tutti i numeri.

Questo Natale sarà senza uomo e senza trucco.

Questo Natale sarà ceretta, maschera nutriente, a farmi vedere i denti del giudizio da mio cugino dentista mentre mangio gli strufoli.

E poi gli amici, qualche compagno di classe finto etero o omoaspirante davanti ad una cioccolata e un pandoro, a progettare Madrid e ad augurarsi tanto sesso x l’anno nuovo con quelli di sempre.

Questo Natale sarà rigorosamente secco, come lo champagne brut, come la frutta che tutti lasciano perchè sono sazi, come il rutto trattenuto, come il regalo riciclato.

Queso Natale sarà felice, dopo la Napoli col cerume nelle orecchie degli ultimi tre mesi, tra chi rimpiange il contrabbando di sigarette e chi si fa le meshes color canarino.

In quella penisola da cui a settembre fuggivo e a cui ora torno … dormigliosamente.

Alda F.  

egoadelio

Se si ascolta, lo si fa solo per poi raccontare.

E mentre si ascolta ci si paragona al nostro interlocutore.

Il dialogo perde consistenza, i nostri occhi guardano gli occhi, ma i pensieri sono altrove, dietro la sua schiena, dentro se stessi, i nostri pensieri.

Se c’è una cosa che ci manda in bestia è che il nostro ego si sgonfi come si sgonfiano i palloncini ad elio.

Spesso non dipende nè da noi, nè dagli altri. Dipende dall’affanno.

L’ego sazio, tronfio di cultura, di letture, di tv, delle colonne sonore di cui infarciamo le nostre esistenze come sacker tort, scoppia, non ce la fa più, prende un ictus diabetico.

Quando scoppia basta non darlo a vedere. Allora ci mettiamo gli occhiali da sole, il fondotinta e proteggiamo le ferite narcisistiche dai raggi del sole aspettando che si formi la crosticina.  

E invece basterebbe solo soffrire all’aria aperta.

E se la tristezza diventasse di moda e sfilasse sulle passerelle, allora faremmo a gara per entrare nella nicchia della felicità.  

Alda F.

tribute

Merincontraria ha avuto il suo primo vero incubo. Un tale vestito di nero voleva soffocarla con un cuscino. Lei ha aperto gli occhi, ma aveva il fiatone e vedeva sogliole viola e triglie pelose. E si era addormentata  da solo mezz’ora e non era come sognare di cadere dalla bicletta, no, aveva proprio sognato di morire e credeva di essere morta. Merincontraria aveva un barista di fiducia che per settanta cent faceva finta di farle dei caffè particolari, ma poi un giorno è andata al bar e il barista in divisa non c’era più. Anche se gli ingredienti erano sempre gli stessi, Merincontraria si divertiva con quei caffè che sembravan strani ma non lo erano. Merincontraria ha giurato di non indossare mai i pantaloni nei camperos e farsi la lampada in segno di protesta al totalitarismo estetico che sta trasformando la gente in mostri imbelletati, elfi ingelatinati, creature con bocche enormi per mangiaarti meeeglio. Merincontraria rivendica il diritto di poter trovare lavoro dopo otto mesi dalla laurea e non avere la sensazione di proferire eresia. Merincontraria è stanca di rispondere alla domanda che stai facendo perchè le verrebbe da rispondere: sai che quando una donna ha il ciclo lascia un puzzo similcipollafritta nel bagno? Merincontraria la deve smettere di fare botte alla macchina sotto il garage e deve cercare di prenderla più lontano da casa una bottarella, almeno per una questione di dignità personale. Merincontraria la deve smettere di fare la cinica dei suoi stivali perchè ci ha proprio rotto i maroni con il suo pessimismo spicciolo e la preferivo di più quando sognava e illudendosi, stringeva gli occhi tra le guance e rideva. 

Alda F.