Funeral party
E hai voglia di incoronarti reginetta del bluff, ma m’è costato.
Eccome se m’è costato. Il colloquio Ryan Air mi ha fatto sentire come quando a sedicianni per cinquanteuro ho fatto la rappresentante di lista per forza Italia. Come quando dopo quattranni di no global mi sono fatta il Menù Big nel Mc Donald di San Pietroburgo. Come la ceretta quando hai il ciclo e fa freddo e la spatola (n.b non il rullo!) ti scuoia la pelle. Insomma s’è capito. Nei trenta minuti di tram sulla Prenestina mi scorreva davanti il fotogramma della vita di Merincontraria, sezione re-find a job . Merin, rampante corrispondente del giornaletto locale, Meringiornalista, Merin iettata in tutti i teatri della Regione Campania con il block notes, Merin in una fredda stanzetta di Soccavo a fare la velina della formazione, Merin masterina, Merin storyliner, Merin dei cartoni animati che vuole sdoganare a tutti i costi South Park, Merin double stage alle mandorle, Merin nei treni. Salerno. Napoli. Napoli. Salerno. Quanti treni. Mamma mia.
Che a confronto la canzone dei Gemelli diversi Mary è andata via l’hanno vista piangere correva nel buio di una ferrovia è una campagna mal riuscita del Ministero delle Politiche sociali.
Ottime doti di trasformista, anyway. Zippo il mio inglese e dico che mi possono anche mandare nella base di Stoccolma in mezzo alle conifere e alle renne. Tanto se i contenuti saranno lontani dalla mia vita, meglio ibernare le frustrazioni a meno diciotto. E meglio la Scandinavia che il porto con le ali di Pisa. Fare uno chignon perfetto con i capelli ricci sarà il mio stimolo quotidiano. Content manager? What’s that? Mi chiede l’intervistatrice gallese ex hostess finita al recruitment almodovarianamente: sull’orlo di una crisi di nervi. Se glielo spiego finisce il bluff e allora tergi-verso, versandomi ad alta quota in un sorriso da hostess.
Travesti_menti fino a pensare che in un’altra vita ero un transessuale.
O una costumista. Perchè rendere le idee con gli abiti mi viene facile e soprattutto guadagna piccioli. Vedi Mauro, ex Platinette, che attira miliardi col suo naso da dinosauro transgender per il solo fatto di esseri spogliato. E lì tutti gli amici di Buona Domenica e dell’Italietta dell’avanspettacolo a dire che persona speciale e profonda che è Mauro. Non che non lo sia. Ma montarci un intera striscia televisiva dell’ Italia su due mi sembra davvero maleducato rispetto a chi, come me, nel travesti_mento conserva l’ identità di genere. Perchè mi vesto da ancella pompeiana e non da centurione, da popolana e non da contadino, da ragazza della paranza quando vado alle feste popolari con tanto di nacchere perchè se dico castagnelle nessuno mi capisce e gonna a balze che ti rende una femmina con la effe maiuscola. E che dire di Minnie?
Ma non perchè è Carnevale e ogni scherzo vale. Ma per ricordarmi a cosa servono la laureaconmenzione, la tesseradigiurnalista, il master e il corsodiformazione.
Minnie. Con la testa di gommapiuma come quelle dell’Edenlandia. Che non vedi se non attraverso il buco della bocca. E puzza, puzza, madonna quanto puzza di piscio di cane. Perchè prima di te qualche altro animatore in cerca del posto al sole ha splattato la sua saliva nell’impossibilità di respirare.
E ti va bene se il giorno dopo non ti svegli con le afte in bocca e la boccarola come ce l’aveva la buonanima del mio fruttivendolo.
Minnie. Dopo un due ore a salutare bambini viziati con la festeggiata di sei anni italoinglese che continua a ripetere seat minnie, seat! dance minnie! It’s enough dancing ho pensato di fare uno strascino con i capelli della principessa vestita da principessa. I miei compari Mickey Mouse e Winnie the Pooh, mi hanno trattenuto con la camicia di forza. Winnie ha addirittura buttato la maglietta tanto che era sudata. Tieni duro, Minnie! E comuqnue i bambini viziati hanno avuto come bomboniera due mega giochi della clementoni e caramelle e dolci che si vedono solo nella Fabbrica del Cioccolato e candy flow che le mamme si ingozzavano con la scusa di aiutare i figli piccoli a mangiare. Fine primo tempo.
Anche Brad Pitt ha fatto il ragazzo pollo. Questo mi ripetevo mentre il cellofan con cui avevo riempito le orecchie per tenerle dritte mi strozzava uso cordone ombelicale.
Anche Brad Pitt ha fatto il ragazzo pollo. Chissà se gli è rimasta la voglia di mc nuggets come a me di gelato allo strawberry.
Atto primo. Io arsi.
Mi è sembrato tutto il tempo che non ci fosse acme, ma una tensione sottile mi è rimasta tutta la sera, la notte e un giorno ancora. La nevrosi della commedia dell’arte con i colori del glicine e della cipria ed una pulizia polverosa che riconosco sempre in lui e nella sua ragnatela. Teatro di bravure e di meriti ma basta dire teatro. Un’iniezione di fiducia per una venticinquenne idealista.
A seguire, catarsi.
Andare in villeggiatura restando aggrappati al davanzale. Sentire i volti, ogni singola ruga, il fruscio dei vestiti, l’ostacolo ai movimenti, il luccichio delle scarpe dal buco del culo. Perché il loggione è il buco del culo di un teatro e io vorrei fare il volo dell’angelo ma desisto. Sbatterei contro il soffitto. Faccio come Giacinta, copro occhi e anima con un cappello di paglia: ascolto le cicale, i suoni me li faccio bastare. Se tutto è finzione, Goldoni come Servillo, oggi come allora, imbrigliati in calcoli che sembrano desideri, io sono l’ultima fila di un teatro del settecento. Sono il pubblico delle tazze vuote e dei bustini troppo attillati, delle scene geometriche e del mal di schiena. Ma le voci… Fremo! Il diaframma incalza il punto di fine frase e tutto il resto è fiato. Voglio sedermi sullo sgabello a gambe incrociate con la stessa grazia di Eva Cambiale.
Tutti facciamo le valigie per andare in vacanza da noi stessi e consegnarci all’afa dell’altrove. Tutti rinunciamo ad essere e giochiamo a nascondino nei boschi delle emozioni. E se qualcuno ama e dice la verità, come Tonino, gli altri lo chiamano scemo.
Sul finire poiesi e piansi.
Finale asciutto e applausi. Braviiiiiii: il mio urlo dal buco del culo. Un signore inciampa in prima fila perchè non può aspettare neanche la seconda chiamata per andarsene, ma forse non è il Padreterno che è grande, magari lui vuole solo telefonare a casa per chiedere come si gioca a rubamazzetto. Lettura a sorpresa dell’Imputata di Eduardo. Servillo non è più Ferdinando, ma Toni, occhi grandi, Napoli, befana, munnezza, cultura, sassi e ringrazia. Lui a noi. E’ veramente troppo per il mio povero cuore. Le sinapsi resteranno menomate per sempre.
Napoli, Teatro Mercadante, 6/01/2008