Category: Insalata mista

Funeral party

Il giorno ideale per un funeral party è marzo quando fuori piove e le case abusive cadono sulle frane. Il cielo è plumbeo e il risveglio lento. L’auto è impastata di un mix di benzina e Mentadent e il tergicristallo lancia l’ultimo pezzo dei Tokio Hotel. Il funeral party è a tema libero ma sono sfavoriti tutti i pantoni. Attenersi alle nuaces dell’ ardesia, ma per gli eccentrici è ammesso eccezionalmente il fiordaliso.
La location di un funeral party è una chiesa, un sagrato, un piatto di pasta alle vongole. C’è chi gioca a risparmio e festeggia il funeral party in una sola lacrima di due vani e accessorio. L’abside è addobbata con piante carnivore e nelle acquasantiere ugole pizzicate d’incenso trovano l’eterno riposo.
Donaloro signore.
In un funeral party c’è un momento in cui rigorosamente si piange. E’ il momento in cui quattro o cinque marinai sollevano la carcassa a piedi scalzi. E’ il momento più bello. I paparazzi sommergono il caro estinto di flash e i vecchi del paese fanno capannello intorno ai parenti per  gli autografi. Se non si raggiunge lo sballo il funeral party fallisce e i parenti del caro estinto saranno costretti a ingaggiare un media planner per un report su ciò che non ha funzionato.
Invece i funeral party passati alla storia sono ellittici. Finiscono senza parole.

Fitness appeal

Gym fash o gym trash? Ash. Qual è il tuo fitness appeal?
 
Gym fash: vai nella palestra più in del quartiere. Lo sport per te è clorofilla. Il fitness non è scolpire. E’ socializzare.Ti trucchi prima della lezione di step. Hai il borsone della palestra e ti cambi. Perché farsi vedere in giro in tuta è reato. No nano? No cardio. L’ i-pod è il migliore amico della pendenza. Hai i guanti per i pesi e i guanti da fit box. Fai stretching regolarmente e almeno una volta pilates. Tra un crunch e l’altro sorseggi un Energrade a limone e scambi una chiacchiera con Mr Creatina. Col telo arancio intorno al collo. E il cellulare sportivo che tieni appeso al gancio della Red Bull. Dimensione danza ti veste. Freddy ti coccola e Nike Silver ti regala la padronanza. Scendi dalla cyclette con passo felino e una punta di perizoma che spunta. Perché tu, gym fash, non sudi in mezzo alle pacche. Non ti screpola la pelle. A te neppure il vapore del bagno turco ti increspa la frangetta. No electricity. Never. Ash.
 
Gym trash: Fai il turno di mattina con le signore. Con la pinza nei capelli di design nipponico: inutile, sempre una pinza è. L’attrezzo non lo sai regolare e quando digiti il peso ti togli sempre due chili. Indossi la tuta acetata e se piove vai in palestra con le scarpe bagnate. Se vai sulla merda, vai in palestra con la merda sotto le scarpe e te ne accorgi solo alla fine, quando l’istruttrice, a cui il brevetto è uscito dalle Kinder Brioss, dice: afferrate le caviglie. Rossa in volto, ti accorgi della merda. Eri passata sulla tetta che spunta dal reggiseno, sull’ascella pezzata, sulla doppia ricrescita che fa ciao con la mano ad ogni sforbiciata e candela, ma la merda no, è troppo. Con la testa china saluti le tue colleghe con il pantajazz skin danza e il brillantino sul culo. Inforchi la tua bottiglietta d’acqua e sulle note di Easy Lady di Spagna skippi gli addominali di coppia per una dolorosissima cisti ovarica.
 
Gym fash o gym…? Fresh. Ash.   

Ciaofranco ciao

E poi ci fu Milano con la casa col parquet e il portiere indiano a Corso Como.
Ma tu te ne sei andato e che te lo dico a fare.
Ciao franco ciao.
Ti porti un motorino bianco e rosso, un pezzo di intonaco ed una grattugia di dialetto.
Che Giotto ti benedica e Cristo ti offra un buon caffè.
I mobili vecchi, le biciclette arrugginite e i cassonetti tutti ti piangono.
I palchi resteranno senza chiodi, i pazzi senza parrucche e polveri condominiali agiteranno gli alberi secchi di questo paese nelle giornate di vento.
Avevi fatto l’ambo franco.
E mò pure la tombola secca.
Ciao franco ciao.
 
 
Bio-note molto personali: Franco Autiero nasce ed è il mio professore di arte a liceo e l’unico che mi ha detto in faccia, durante un’intervista, che il nostro giornalino d’istuto faceva schifo. Ci vuole più impegno politico guagliù. D’altronde quando io facevo Sisma con la bambina prodigio lui se la faceva con Annibale Ruccello ed Enzo Moscato. E’ un pezzo di teatro e di scrittura e di reciproca stima che se ne va e se volete sapere di più cercate su google Franco Autiero.
Nella foto in alto: Isa Danieli in Ferdinando; scene Franco Autiero.

Regina del Bluff

E hai voglia di incoronarti reginetta del bluff, ma m’è costato.

Eccome se m’è costato. Il colloquio Ryan Air mi ha fatto sentire come quando a sedicianni per cinquanteuro ho fatto la rappresentante di lista per forza Italia. Come quando dopo quattranni di no global mi sono fatta il  Menù Big nel Mc Donald di San Pietroburgo.  Come la ceretta quando hai il ciclo e fa freddo e la spatola (n.b non il rullo!) ti scuoia la pelle. Insomma s’è capito. Nei trenta minuti di tram sulla Prenestina mi scorreva davanti il fotogramma della vita di Merincontraria, sezione re-find a job . Merin, rampante corrispondente del giornaletto locale, Meringiornalista, Merin iettata in tutti i teatri della Regione Campania con il block notes, Merin in una fredda stanzetta di Soccavo a fare la velina della formazione, Merin masterina, Merin storyliner, Merin dei cartoni animati che vuole sdoganare a tutti i costi South Park,  Merin double stage alle mandorle, Merin nei treni. Salerno. Napoli. Napoli. Salerno. Quanti treni. Mamma mia.

Che a confronto la canzone dei Gemelli diversi Mary è andata via l’hanno vista piangere correva nel buio di una ferrovia è una campagna mal riuscita del Ministero delle Politiche sociali.

Ottime doti di trasformista, anyway. Zippo il mio inglese e dico che mi possono anche mandare nella base di Stoccolma in mezzo alle conifere e alle renne. Tanto se i contenuti saranno lontani dalla mia vita, meglio ibernare le frustrazioni a meno diciotto.  E meglio la Scandinavia che il porto con le ali di Pisa. Fare uno chignon perfetto con i capelli ricci sarà il mio stimolo quotidiano.  Content manager? What’s that? Mi chiede l’intervistatrice gallese ex hostess finita al recruitment almodovarianamente: sull’orlo di una crisi di nervi. Se glielo spiego finisce il bluff e allora tergi-verso, versandomi ad alta quota in un sorriso da hostess.

 

 

Se telefonando

Ora che sono in-occupata e non posso scrivere un post sulla vita della storyliner posso scrivere che odio il telefono. Lo diceva anche Marshall Mc Luhan: il telefono è un medium invadente. Odio il telefono quando:
 
è inverno, sei sotto la doccia e tua madre ti porta il cordless nella cabina
è inverno, esci dalla doccia e stai per asciugarti i capelli
appena ti alzi dal letto
sul finale del film home video
sul finale del dvd quando le pile del lettore sono scariche e non puoi premere pause
prima di una fetta di tacchino fumante quando sei a dieta
appena torni dalla palestra
cinque minuti prima di un appuntamento per cui non ti sei ancora vestito
mentre cucini
mentre lavi i piatti
 
Odio il telemarketing, i sondaggi,  le lamentele telefoniche, i resoconti dettagliati su quello che hai mangiato, le telefonate di chi ha perso il treno, l’autobus, il tram, la bici, il monopattino e invece dell’attesa ammazza te, le telefonate doppie (quelle in cui l’interlocutore mentre parla con te parla anche con la zia invalida), le telefonate a sorpresa con le brutte notizie. Di qui un odio per il telefono fisso, ancestrale, totalizzante, irreversibile. ET tele-fono ca-sa. 
Salvo le telefonate rosa – cazzeggio al femminile a tema bollente – centellinate a poche elette a cui quando sono over dico liberamente mò mi sono esaurita e ti devo lasciare, le telefonate in inglese, le telefonate flash, le telefonate che chiamo io (rarissime), le telefonate nnammurate (notturne), le telefonate con mia nonna sorda e…basta. Poi a telefono io cambio voce, sembro sempre incazzata, ma forse al momento in quanto ex storyliner ne ho pure il diritto.
Viva viva gli sms. Viva le mail. Viva le lettere con la carta profumata.
Viva la scrittrice francese Amelie Nothomb che vive senza nessun mezzo di comunicazione che inizia o finisce per tele.
Se telefonando io potessi dirti addio, ti chiamerei…
Ma anche no.
 
 

Tra_vesti e menti

Travesti_menti fino a pensare che in un’altra vita ero un transessuale.

O una costumista. Perchè rendere le idee con gli abiti mi viene facile e soprattutto guadagna piccioli. Vedi Mauro, ex Platinette, che attira miliardi col suo naso da dinosauro transgender per il solo fatto di esseri spogliato. E lì tutti gli amici di Buona Domenica e dell’Italietta dell’avanspettacolo a dire che persona speciale e profonda che è Mauro. Non che non lo sia. Ma montarci un intera striscia televisiva dell’ Italia su due mi sembra davvero maleducato rispetto a chi, come me, nel travesti_mento conserva l’ identità di genere. Perchè mi vesto da ancella pompeiana e non da centurione, da popolana e non da contadino, da ragazza della paranza quando vado alle feste popolari con tanto di nacchere perchè se dico castagnelle nessuno mi capisce e gonna a balze che ti rende una femmina con la effe maiuscola. E che dire di Minnie?
Ma non perchè è Carnevale e ogni scherzo vale. Ma per ricordarmi a cosa servono la laureaconmenzione, la tesseradigiurnalista, il master e il corsodiformazione.
Minnie. Con la testa di gommapiuma come quelle dell’Edenlandia. Che non vedi se non attraverso il buco della bocca. E puzza, puzza, madonna quanto puzza di piscio di cane. Perchè prima di te qualche altro animatore in cerca del posto al sole ha splattato la sua saliva nell’impossibilità di respirare.
E ti va bene se il giorno dopo non ti svegli con le afte in bocca e la boccarola come ce l’aveva la buonanima del mio fruttivendolo.
Minnie. Dopo un due ore a salutare bambini viziati con la festeggiata di sei anni italoinglese che continua a ripetere seat minnie, seat! dance minnie! It’s enough dancing ho pensato di fare uno strascino con i capelli della principessa vestita da principessa. I  miei compari Mickey Mouse e Winnie the Pooh, mi hanno trattenuto con la camicia di forza. Winnie ha addirittura buttato la maglietta tanto che era sudata. Tieni duro, Minnie! 
E comuqnue i bambini viziati hanno avuto come bomboniera due mega giochi della clementoni e caramelle e dolci che si vedono solo nella Fabbrica del Cioccolato e candy flow che le mamme si ingozzavano con la scusa di aiutare i figli piccoli a mangiare. Fine primo tempo.
Anche Brad Pitt ha fatto il ragazzo pollo. Questo mi ripetevo mentre il cellofan con cui avevo riempito le orecchie per tenerle dritte mi strozzava uso cordone ombelicale.
Anche Brad Pitt ha fatto il ragazzo pollo. Chissà se gli è rimasta la voglia di mc nuggets come a me di gelato allo strawberry.

Vacanze Romane

Esterno giorno. Sole di capitale in vacanze romane. Per dare una chance all’aria, come dice l’amica bambina prodigio. Protagonisti: la nostra Merin e in-soliti ignoti. Profilo personaggi:
 
Cicerone; responsabile di benvenuto ar cuppolone. Automunito e rigorosamente sconosciuto, se non per la distanza di cento pagine che ci incastra nella stessa antologia. Fido compagno della mostra pop art alle scuderie del quirinale, nasconde dietro l’occhialetto da intellettuale e il sorriso rassicurante un’ammirazione segreta per i fasci di combattimento. Metterebbe al rogo tutta l’arte medievale compresa la statua di Giordano Bruno a Campo dè fiori. Grande fan del neomelodico Joe Pellicano, è l’amante segreto di Caterina Caselli. Imbattibile nel gioco aperitivo.
 
Mario Monicelli; Figura speciale.
 
Amico asessuato; mi scorta nel quartiere trasteverino zaino in spalla (mio) lungo una serie di cunicoli che portano dritto a un covo di napoletani fans del Napoli che la domenica giocano la scommessa e guardano la partita dividendo allegramente pasta al forno e raù. Grandi sostenitori dello studio solidale e della pausa sigaretta fanno un quadro della situazione senza troppi frizzi e lazzi: vagina migrante in mezzo a cinque pistoli ( quattro, se si considera che l’amico è asessuato e per atto di rispetto ha messo nel letto matrimoniale pure le lenzuola pulite singole).
 
Il gigolò; accompagnatore last minute della Cinderella paesana. Dopo un impatto sospetto in accappatoio amaranto si rivela un prezioso tom tom notturno e diurno sui sentieri dell’antica Roma e del bar Callisto, ribattezzato il suzzuso. Nella sua ottica algoritmica la presentazione di un libro è un’esperienza esotica. Nobel per un’ora di pippe letterarie più tre ore di cena senza battere ciglio. Allo scoccare della mezzanotte: mò però ti devi mettere il cappotto e ce ne dobbiamo andare. Una parola è poco, due sò assai.
 
Gli inadatti; più che al volo, sono inadatti al velo e già sperano in una seconda antologia a sfondo erotico. Si inizia a vizi capitali e si finisce a giocare a basket tra le mie tette con le molliche di pane. C’è n’ è per tutti i gusti: la fatina scienziata con marito con cui avrei voluto chiacchierare di più, la biologa scalmanata con l’orso Yogi, la signorina nazional popolare in attillatissimo abito cinese, Papà Gambalunga in raffinato cappotto ocra, di nuovo il Cicerone, però ubriaco, il mio coinquilino ideale, troppo dolce, cucinerei per lui, già gli voglio bene e che ho di sicuro conosciuto in Finlandia, una calda testa d’albero che è l’irriverenza fatta persona oltre che una bella penna. Last but not least, il mitico AlbertoMele, che ha preferito perdersi nel vizio personale più che in quello capitale.
 
L’antologo: malvagio architetto di riuscitissimi eventi come questo. Su di lui circolano varie voci, ma la tesi più condivisa è che l’obiettivo dell’antologia non era la beneficenza ai bambini ammalati ma lo svuotamento del suo scroto. Ci riuscirà?
 
Chiudi sullo sguardo inquietante di Giordano Bruno.
Colonna sonora: ovviamente Vacanze romane di Antonella Ruggiero.

Titoli di coda.
 
 
 
 

Au regime

Ma quale corretta alimentazione?
Fecero bene i francesi quando scelsero au regime per chiamarla.
Perché  dieta è stare a regime punto e basta.
Puoi sbatterti come vuoi ma l’unico modo per dimagrire è non mangiare. La corretta alimentazione viene dopo. Molto dopo. Quando, dopo aver superato la rota da carboidrato con tremolii e palpitazioni annesse che si blocca solo quando sbricioli in bocca un burroso granetto allo strutto, raggiungi il peso forma e passi all’ambiguità semantica assoluta: il mantenimento.
Ma le faq sul mantenimento (tipo, se mangio una frittatina con due tuorli e albumi a quantità il giorno dopo dovrò fare una dieta d’attacco?) ce le porremo quando verrà il tempo.
Intanto devo sopravvivere alla fase 1 che prevede:
La consulente nutrizionale: l’amica di una vita con cui esci il sabato e che ti farà un occhiataccia impercettibile ai maschi quando superi la soglia di una birra 0,20 chiara possibilmente analcolica.
La socia: ex coinquilina all’estero con cui si sfriggevano funghi knorr alle 6 del mattino, l’amica delle sbofariate domenicali e del mosto selvatico a dieta perché in due è più facile. Motivatissima perché ex ragazza magra e sofferente.
Mia mamma: il suo retaggio ercolanese le impedisce di cucinare leggero. Figlia di una donna, mia nonna, che a natale va ancora a fare i roccocò nel forno del panettiere. Ottima cuoca, si batte perché gli gnocchi con la salsa siano inseriti nel mio regime, ma se metto un grammo esordisce in: non hai più collo, sei corta e chiatta.
La mamma della socia: salutista, dice a me e alla socia solo sei corta e chiatta. Ergo, vuttazzella, piccola botte. Senza neanche dolcificante.
Il mondo: ringrazio tutti coloro che mi hanno chiamato “signora” durante tutte le feste di Natale per avermi dato questo stimolo. Ringrazio tutti coloro che dicono sei folle, stai bene così, è la tua costituzione, tu sei formosa. Grazie, ce la faccio anche senza Kalo.
L’eating emozionale: tutta colpa sua. Sono una guaglione sensibile ( come l’avrebbe detto la buonanima di Mariomerola).
L’alibi: non è perché i modelli mediali ci orientano alla magrezza, no, è perché mi sento le gambe pesanti, si, si, soprattutto quando ballo.
Il metabolismo: lento.
La verità: mi fa male lo so.
Il monito: alla prossima abboffata di brownies al cioccolato made in lisboa che tuo padre ha arricettato in chissà quale discount e tu ti sbrani con tutta la confezione, rigorosamente da sola come tutte le ragazze chiattuncelle che davanti agli altri non magnano, ricorda come ci si sente a fissare il bambino nazista che addenta la kinder paradiso con la bava alla bocca. Ad alzarsi dal letto al mattino perché hai la vescica come una pentola a pressione. A mangiare alle 6 del pomeriggio prima di andare a cinema. A poterti pigliare solo un tè che ti sciacqua la panza in un cazzo di bar qualsiasi. All’altalena e alla fisarmonica. A poter anche solo pensare al caffè con l’aspartame (mai!). A inventare un dessert di yogurth bianco, pezzetti di mela e una spolverata di cacao amaro (nella variante ciocorì la spolverata è sulla galletta). Ad essere l’oggetto della tavolata: stai a dieta? Ma stai bene… Ma stai a dieta? Ci pensi lunedì. Ma stai a dieta?  Sguardi di solidarietà delle bee bip del metabolismo. Alla prossima abboffata ricordati quel gioco che facesti ai tempi dell’università con la tua amica secca: mangiamo per due giorni le stesse cose e ti ritrovasti con la cellulite nel pomo d’adamo.
Avviso agli utenti: causa mancanza di serotonina i commenti saranno moderati.

Trilogia della villeggiatura

 

 

Atto primo. Io arsi.

 

Mi è sembrato tutto il tempo che non ci fosse acme, ma una tensione sottile mi è rimasta tutta la sera, la notte e un giorno ancora. La nevrosi della commedia dell’arte con i colori del glicine e della cipria ed una pulizia polverosa che riconosco sempre in lui e nella sua ragnatela. Teatro di bravure e di meriti ma basta dire teatro. Un’iniezione di fiducia per una venticinquenne idealista.

 

A seguire,  catarsi.

 

Andare in villeggiatura restando aggrappati al davanzale.  Sentire i volti, ogni singola ruga, il fruscio dei vestiti, l’ostacolo ai movimenti, il luccichio delle scarpe dal buco del culo. Perché il loggione è il buco del culo di un teatro e io vorrei fare il volo dell’angelo ma desisto. Sbatterei contro il soffitto. Faccio come Giacinta, copro  occhi e anima con un cappello di paglia: ascolto le cicale, i suoni me li faccio bastare. Se tutto è finzione, Goldoni come Servillo, oggi come allora,  imbrigliati in calcoli che sembrano desideri,  io sono l’ultima fila di un teatro del settecento. Sono il pubblico delle tazze vuote e dei bustini troppo attillati, delle scene geometriche e del mal di schiena.  Ma le voci… Fremo! Il diaframma incalza il punto di fine frase e tutto il resto è fiato. Voglio sedermi sullo sgabello a gambe incrociate con la stessa grazia di Eva Cambiale.

Tutti facciamo le valigie per andare in vacanza da noi stessi e consegnarci all’afa dell’altrove. Tutti rinunciamo ad essere e giochiamo a nascondino nei boschi delle emozioni. E se qualcuno ama e dice la verità, come Tonino, gli altri lo chiamano scemo.

 

Sul finire poiesi e piansi.

 

Finale asciutto e applausi. Braviiiiiii: il mio urlo dal buco del culo. Un signore inciampa in prima fila perchè non può aspettare neanche la seconda chiamata per andarsene, ma forse non è il Padreterno che è grande, magari lui vuole solo telefonare a casa  per chiedere come si gioca a rubamazzetto. Lettura a sorpresa dell’Imputata di Eduardo. Servillo non è più Ferdinando, ma Toni, occhi grandi, Napoli, befana, munnezza, cultura, sassi e ringrazia. Lui a noi. E’ veramente troppo per il mio povero cuore. Le sinapsi resteranno menomate per sempre.

 

Napoli, Teatro Mercadante, 6/01/2008

 

Vintage

Quest’anno i saldi li faccio a casa mia.
Stasera ho fatto un giro nei grandi magazzini della stanza da letto di mia mamma e dagli scatoloni sepolti in fondo al guardaroba ho racimolato:
  • Basco in feltro nero con stemmino di Bugs Bunny e la scritta What’s up doc che non ho mai capito che cosa significa (Usa, 1995, Warner Bros Stores)
  • Occhiali Givenchy con vetro sfumato verde e montatura in celluloide marrone (Parigi, 1970, amica di scuola di mia mamma)
  • Foulard seta giallo con motivi geometrici verde smeraldo (Asia, data imprecisata, creanza fatta a mia nonna quando lavorava nelle ferrovie dello Stato)
  • Pashmina nera etnica (Negozio più chic che radical della penisola sorrentina, 2006, 50 euro, ex copritette per la cerimonia nuziale)
  •  Guanti color pesca con deliziose perline bianche cucite sul dorso della mano (Zia o madrina della comunione ai tempi della prima comunione).
Mi manca solo un giro nella roba di carnevale giù al garage e sono pronta ad affrontare l’anno nuovo con un guardaroba da schianto, cioè proprio che mi viene un infarto quando mi guardo allo specchio.
Più vintage di così…
E mi raccomando, che la pronuncia sia /véntadg/, alla francese, l’age du vin e non all’inglese /vinteig/.