Category: Insalata mista

Otto

Il superenalotto l’hanno vinto due operai della provincia di Roma che da dieci anni hanno giocato sempre gli stessi numeri. Lorenzo che quando io ero piccola si chiamava Jovanotti ha perso il fratello in un incidente aereo pochi mesi fa e si è intossicato le feste, come Mad, come me con mia nonna due anni fa. Ma io ci parlo sempre con mia nonna, non è cambiato proprio nulla nel nostro rapporto, questo dirò a Mad non appena la vedo. Voglio imparare i nomi di tutti gli alberi, fare le passeggiate naturalistiche, adottare 200 bambini a distanza,  scrivere un libro tutto mio o quanto meno un cappello importante su Vanity Fair o un chick- lit a quattro mani con  wlemetafore e voglio che me lo presenti Francescobis e che vengano tutti i blogger che mi commentano, dimagrire sette chili continuando ad abboffarmi, fare una collezione di percussioni, andare in messico, africa e e giappone, viaggiare viaggiare viaggiare prima a Llondra e andare dal parrucchiere con justila e fare la pasquetta nella mia terra a Moiano con il Lepro e Geo che suonano la chitarra e tutti i miei amici felici che sbattono le mani. Voglio che la Principessa si fidanzi, che mio padre vinca la causa, che ombrettina ritorni a danzare, che tutti quelli del master e del corso di formazioni e dell’erasmus trovino la loro stella in cielo anche se ci vedremo sempre di meno ma spero sempre a teatro.Voglio fare i miei complimenti a Toni Servillo che diventerà sempre più famoso. Voglio imparare a cucinare come mia mamma e le mie zie che vanno a fare i roccocò nel forno  e ad ascoltare la pancia. Voglio fare sesso per ore. Voglio l’antidoto contro la dermatite da stress, voglio fare i clic che fa la blondette, che immortala i momenti senza la macchina fotografica. Voglio tante serate nella comfort zone dei miei amici, della casa di pep e della mia famiglia. Voglio tante serate fuori la comfort zone, quelle serate quando piango nel letto e mi sento incapace di amare. Quelle serate social zone in cui dopo dieci anni si chiudono i cerchi e  ti devi subire pure la musica progressive in una marbella. Ultimo, ma non ultimo, voglio che le femmine si levino il burca e si possano fare dei bagni sistemati a mare e che a Oslo cada la neve per la bambina prodigio.

E canta canta, si esce o sole esce pè tutt’ quant…

Buon 2008.

X – Mas

Marco Lodoli (1956 – vivente), scrittore e giornalista italiano.

Anche quest’anno è andato tutto bene. Io ho avuto un paio di cravatte, un libro, l’ennesimo rasoio elettrico. I bambini hanno cominciato a giocare sul tappeto con i loro attrezzi elettronici, mentre mia moglie faceva girare gli aperitivi. A tavola, come al solito, abbiamo un po’ litigato parlando di politica, esattamente come ogni anno. La più grande delle mie nipoti, ha quasi diciott’anni ed è ribelle e arrabbiata come lo ero io, vorrebbe un mondo in cui tutti fossimo in pace, senza poveri, senza esclusi. Questa vita è ingiusta, ha detto, butta via la gente, la fa morire. Nessuno dovrebbe morire, ha gridato. Per riportare un po’ d’allegria a tavola, mio cognato ha raccontato come sempre due barzellette. Una era la stessa dello scorso Natale, ma nessuno l’ha interrotto. Dopo il panettone e il caffè, ci siamo sistemati sui divani per continuare a chiacchierare e bere un cognac. E dopo mezz’ora le parole sono iniziate a mancare ed è scesa la malinconia che segue la festa, qualche bambino sbadigliava tra i fogli accartocciati dei regali, e allora io ho acceso la televisione. (da Natale)

Merincontraria ( 1982- vivente ) ,  aspirante ragazza felice che ce l’ha messa tutta ma che a Natale va in ansia da prestazione.

Anche quest’anno è andato tutto bene. Io ho avuto una collana etnica, orecchini romantici, pantofole fashion, perizomi da combattimento, il primo carillon della vita mia, l’ennesimo regalo riciclato. Un tubo dell’acqua è scoppiato all’improvviso, ci siamo allagati e mia mamma ha compiuto 52 anni su una torta ricotta e pere a cui mancava una fetta e che io ho coperto col pungitopo pungendomi tutte le dita e bestemmiando tutti i santi. Mio zio, come al solito, ha parlato dei fasti dei tempi che furono, accentrando la discussione, e noi l’abbiamo guardato con occhi ammirati, esattamente come ogni anno. Mia cugina piccola ha toccato tutte le mie cose e ha voluto che le facessi i ricci. Poi ha pianto perché mia zia stava in ospedale. Per riportare un po’ di allegria a tavola, abbiamo cantato tutti oh happy days con la mano sul cuore come dei veri gospel negri e abbiamo fatto l’applauso dopo la poesia. Dopo i roccocò e il limoncello, qualcuno è andato alla messa di mezzanotte, qualcuno (le femmine) ha lavato a terra, qualcuno ha fatto un rutto al retrogusto di baccalà. E dopo mezz’ora le parole sono iniziate a mancare ed è scesa la malinconia che segue la festa, e allora io ho acceso la televisione, poi la radio, poi il telefonino e poi mi sono messa a scrivere sul blog.

Napolì

E allora stop, dimentica. E io avevo dimenticato. Subito, rimosso. L’aria fredda della mattina, la lotta al sediolino, il gomito nello sterno, la fermata Villa delle Ginestre, il finestrino con gli spifferi, i giovani senza soldi e i vecchi senza pensione. Ma quelli per davvero, non quelli come noi. E poi l’ho vista. Di nuovo. Finalmente. L’ho vista quando è più bello vederla: al risveglio, col rimmel sciolto e la spallina della sottana che cade dalla spalla.

E’ una gran puttana, ho pensato.

Ma il suo inconfondibile odore di brioche calda e pesce e acqua sporca, mhmm…quanto mi sono mancati. L’ho spogliata e bevuta tutta, nel rituale di sempre, nella strada che facevo, nelle facce di ogni giorno, come la volevo, come me la ricordavo. Le bancarelle dei cd, i vetri appannati con i crocchè del giorno prima, i marocchini con gli occhi belli, gli sfaccendati con gli sguardi sopra la folla, il casino, le macchine, le due scimpanzè delle sigarette dove stanno, mica sono finite dentro? Le stelle di natale a tre euro, i pantajazz finti dimensione danza a quattr’euro, me lo compro? No, non fa niente, la devo finire di fare la pezzara. Il traffico, esce una testa di marmo porta Nolana, chi è? Non leggo, per mettermi gli occhiali vintage non ci vedo bene… E poi spacca spacca, sali dentro San Biagio, il freddo nelle orecchie, speriamo di trovare qualcuno per il caffè, il fiatone, chissà come sarebbe stato se ci avessi studiato, chissà come deve essere viverci, chissà come deve essere nascerci. Dietro al secchio della munnezza uno specchio gigante: perché? Lasciamo pulito il quartiere. Forcella? E se la camorra mi spara? Nah, cammina. Uh, ho dimenticato di guardare il Trianon Viviani. Quanto costa questa tammorra? 50. Cinquant’. Ma tu si scem’? Ueeeeeè, che abbraccio. Che intenso. Dura 4 anni che sono quattro secondi in cui si prova a raccontare ma cià cià devo andare a lavorare. Mi potrei comprare la tombola, il tamburello, il triccaballacche, la pizza di ceramica, ma non mi compro niente. Sono paralizzata e invisibile. Camomilla, il negozio, mi chiude la saracinesca in faccia, i bambini ridono e mi spingono di qua e di là, i fidanzati si amano e i Natalizi amano il Natale e il popolo fa shopping. E io? Io mi nascondo in una chiesa. E’ quella del Cristo velato? No, è la chiesa con un presepe grande grande, grandissimo, infizzato in una sacrestia retrobottega che devi fare vicoli e vicoletti come un film di Dario Argento per arrivarci. Una testa fa un movimento da dentro una finestrella e mi accende le lucine. Non lo vedo nel buio. Voglio pensare che è un vecchio. Non mi vedo nel buio. Voglio pensare che è il ciclo e che il presepe è troppo grande per mangiarmi meeeglio. Vedo solo lei: la mia città baldracca natalizia. Finalmente.

Adatto non è "in"

inadatto al voloInadatta mi sono sempre sentita. Ma forse inadatto non è la parola giusta. Forse dis– adatto rende più l’idea, ma al volo non ci avevo pensato. Forse perché nasco sotto il segno del toro e ho il piede pesante, lo dice anche lo zuppariello, il mio calzolaio ferramenta, quando mi cambia i tacchetti consumati.
L’unico volo che conosco è il Fabio della televisione, il volo pindarico di quando parlo, il volo dell’angelo che mi fa sempre pensare alla bustina verde del Pan degli Angeli e Inadatti al volo, l’antologia di racconti in cui sono incappata nonsisaccome insieme ad altri trentatrè dis- adattati (tutti blogger, coincidenza?).
Stavolta non c’entro. Ha fatto tutto Parola di Merincontraria, che vive di vita propria tramando alle mie spalle mentre io distrattamente mangio, dormo, esco, piscio e provo a fare tutte quelle cose che si fanno nella vita reale sperando di scriverle al più presto nel blog. Chesta vit’è na caten… Qualche volta fa un po’ male. E pensare che lo schifo pure a Pino Daniele. 
Cià, sono giadim, vuoi partecipare? Ovvio. Il tema è la malattia. Strano. La casa editrice è Giulio Perrone. Boh? La chiave è l’ironia. Bene. E mò sto a pagina 47, incastrata tra un disadattato e l’altro, stampata su carta bianca con “Brioche e giuggiole all’alba” anche se le giuggiole non le ho mai provate e quando ha sentito la parola brioche mia mamma credeva che avessi scritto un racconto erotico sulla fica.
E ci sarà pure la fiera del libro a Roma e sarà pure una furbata natalizia dare una parte del ricavato di copertina in beneficenza e avremo anche un banner con errori grammaticali, ma nessuno mi aveva mai scelta per essere inadatta.
Sei inadatto? Allora vai bene. Adatto non è più "in".
Inadatto è la foto che ti scattano mentre stai distratto, la moka che scoppia, il temporale estivo, la calza smagliata prima di uscire, la sveglia del cellulare che suona col silenzioso. E poi cose più gravi.
Al volo non ci avevo mai pensato.
Al massimo volteggio tra i pieni e vuoti della blogsfera, come i palloncini ad elio che si perdono tra le nuvole.
 
(15 euro, 200 e rotte pagine, distillato di puro disadattamento. Ovvio che tutta sta manfrina patetica nascondeva un becero scopo pubblicitario che mi sarei volentieri sparagnata. Compratelo per la beneficenza. Mica per me.)
 
Parola di Mer-inadatta

Bella e d'annata

9788860521033gSi chiamerà Bella e d’annata – ma il suo nome di battesimo è Januaria Piromallo-, la nuova Barbie per le signorine “anta” cresciute nei tempi moderni.
L’epoca della pornololita Skipper e della casa di campagna (simbolo del way of life Mulino Bianco) è tramontata con la permanente di Ambra Angiolini. C’è bisogno di una nuova bambola con le tette generose e qualche rughetta d’espressione che faccia da testimonial alle ragazze cresciute.
Barbie d’annata indosserà un vestito al ginocchio color prugna da cui spuntano leggins ricamati in pandan. Le scarpe saranno in vernice a punta tonda come detta il must autunno-inverno. Simbolo della vera donna e scrigni di un bon ton tardoromantico, il segreto delle belle e d’annata sono i tacchi cento e le collane di pietre dure sbrilluccicose, accessori di seduzione irrinunciabili. Sulla lunga chioma di barbie che tutte, da bambine, ci siamo divertite a tagliuzzare generando creste punk e zelle asimmetriche, avremo un cappellino con la visiera in tweed, simbolo dell’ironia con cui si guarda al tempo che passa. Single o maritata, scoppiata o nubile, col botox o con la cremavenus, ma sempre e comunque d’annata, si tratterà di una bambola parlante con accento francese che su richiesta reciterà anche un estratto del rosso e il nero di Stendhal improvvisando una danza dell’omonima sindrome.
Acerrime nemiche delle velone alla  Lecciso (d’annate perchè brutte e stupide), le Barbie d’ annata saranno vendute nella consueta confezione di cartone rosa shocking. Magia del marketing, in accompagnamento alla Barbie e alle sue amiche con i capelli rossi o con la carnagione marron glacè, ci sarà al posto della lingerie sexy e delle crucce traforate, un corso di sopravvivenza vero per ragazze socialmente scorrette (mamme, zie , nonne, ragazze previdenti non ancora “anta”) scritto da un’autrice altissima bellissima antissima. Un libro per chi pensa che la bellezza è come il provolone del Monaco. Con gli anni può solo migliorare.
Nell’attesa che passino questi quindici anni di miglioramento, comunico alla Mattel la mia idea geniale partorita insiema alla mia socia in una capanna di libri e un sottofondo jazz mentre fuori piove.
                                                                          

Ai lof scioppinc

shopLe regole dello shopping sono antiche come il mondo.
Mai contravvenire.
Invia queste regole a sette persone a cui vuoi bene. Non interrompere questa catena. All’ora ventuordici del secolo decimonono Mondial Casa farà esplodere GiorgioMastrota durante una televendita.
 
Numerouno: si va a fare shopping sempre ben vestite. L’autostima va ossigenata lentamente e lasciata decantare nel tratto che separa lo specchio di casa da quello del negozio. Intimo scoordinato, calza sfilata, calzino di spugna, doppia ricrescita, assorbente con le ali, vanno assolutamente bannati. Le commesse sono più cattive degli uomini dell’Alabama e la tenda dello spogliatoio non è uno scudo sufficiente contro la color alterigia (neanche la stoffa lo è).
 
Numerodue: inspirare lentamente alla domanda “Posso aiutarla?”. Trascorsi quattro secondi  sputare il rospo. Inutile rispondere: stavo solo dando un’occhiata se l’obiettivo è trovare il leggins leopardato dell’ultimo Vogue. Se invece siete andate al negozio per un brainstorming oculare che si riverserà in una battuta creativa al mercatino del sabato, la commessa va fatta comunque sbattere. Piega e rispiega. E’ divertente.
 
Numerotre: non mostrarsi interessate, perlomeno al sud del mondo. Al Sud Italia, in particolare, il prezzo triplica. Ma scusi, non costava 18 euro? No, no, gliel’avevo detto, 38.
 
Numeroquattro: la migliore amica dello shopping è sempre la mamma a meno che non sia una nostalgica degli anni ’90 e dei vestiti di velluto lunghi modello Non è la Rai. La solitudine può essere una valida alternativa perché nessuno sa essere più spietate di noi stesse quando lo vogliamo. Da evitare comunque le amiche ricche, le cugine invidiose, le amiche che non vanno mai a fare shopping peggio di voi e quindi dedicherebbero il vostro tempo a fare l’affare della loro vita.
Dimenticavo, le amiche più magre, ma sono comunque da preferire alle amiche ricche.
 
Numerocinque: lo sconto. Ci sono due scuole di pensiero: chiederlo sempre, non chiederlo mai. Questa regola non è univoca ma perpendicolare alla faccia di cazzo. Anche quando funziona ricordate che è un’illusione ottica: il ricarico medio su ogni capo di abbigliamento è del 500%.
 
Numerosei: non fate shopping. Usate giralamoda e il telaio di Barbie per confezionare i vostri abiti sul sottofondo della Pastorale di Beethoven.
 
Numerosette: shopping compulsivo. Mandate in rosso qualunque carta di credito vi capiti sottomano. E se non ce l’avete, usate la tessera punti Q8. Colonna sonora: Money dei Pink Floyd.
 
Numerotto: per le ninfoshopping la cura alla dipendenza è una notte di sesso radiofonico con Giorgio Mastrota. Il rehab è lo studio televisivo di Mondial Casa.
 
Numeronove: se girate il post a 20 persone avrete anche Wilma e la sua poltrona in omaggio.
 
Numeroaccaso: la cleptomania è reato. Cfr. Winona Ryder.
 
Numero dieci: uomo e shopping sono nemici. Vetlina essele nemica pule di cane maschio. Non dimenticale.
                                                                                
 Parola di MerinKinsella
 
 

La zuppiera

Vivere in un paese significa molte cose.
Molte cose tra cui se un maschio si fa più di trenta chilometri per accompagnarti a casa e non ti vuole trombare, per te i conti non tornano. Grazie A., so che ti dà fastidio che ti ringrazio, ma grazie –  scrivi nell’sms di buonanotte. Piacere di stare in tua compagnia? Amicizia? Condividere una bella serata a teatro?
Si, sapere che queste cose disinteressate esistono ti fa scaldare il cuore.
Vivere in un paese significa convivere con i paesani.
Dicesi paesani persone che non oltrepasseranno mai le colonne di ercole del paese o persone che pur muovendosi il paese lo tengono scritto nel dna. E il dna, cara Meredith, non mente.
Fai le commissioni senz’auto, respiri aria elettropulita, hai un balcone sulle onde che si infrangono nel vesuvio e cancelli con la gommina di Adobe Photoshop le case abusive arroccate.
– Che panorama.
– Già, che panorama. Sai che anche a Helsinki c’è il mare?
– No – o, che freddo.
Hai il pub dell’adolescenza con gli amori che furono, il bar dell’errore, il localino dove scendevi solo tu il venerdì sera, la pizzeria dove ti chiamano dottoressa, il giornalaio che per un periodo faceva il giornalista nel tuo stesso giornale.
Vivi in una zuppiera del riciclo sociale che quando gli stranieri ti vengono a trovare fai le belle figure perché ad ogni passo c’è qualcuno che ti saluta.
La giornalista, l’attrice, la figliadimario, la sorella dei gemelli. L’ex di, ma l’hai lasciato tu o ti ha lasciato lui? L’ etichetta.
– Si sono io.
– Ma stai fuori?
– In che senso?
Ma si, forse sto fuori. Fuori dai gruppi solo maschi, fuori dai gruppi solo coppie, fuori dallo sposiamoci presto e vogliamoci bene e mangiamo nello stesso piatto e sputiamoci dietro che si porta qua.
Ci sono le file assegnate pure al turno di aerobica. Io seconda fila sulla destra. Però se vai al turno di step con il pantalone cinese skin danza nessuno ti dice niente.
E poi il paese è bello d’estate, con la tua famigliola di amici motorizzati che ti porta a fare il bagno nei posti sperduti di qua.
E poi il paese ti svezza al richiamo della vita che pulsa.
E alla nevrosi del viaggio.
Questo significa.

Se

Quando sei veramente felice e quando sei veramente triste, perchè queste due cose succedono sempre insieme, c’è sempre un neon. Conta poco se hai mangiato ottimi funghi trifolati e hai la bocca impastata di vino paesano. Pieno e vuoto, ti senti. Felice, triste, infelice, allegro. Dura un anno luce: la distanza percorsa dalla radiazione elettromagnetica nel vuoto per arrivare al Sè.
Psp. Post scriptum post-umo: Questo post fa davvero cagare. Lo lascio, perchè vorrebbe spacciarsi per una cosa intelligente e profonda, che al momento che mi è venuta in mente lo era pure, ma mai fidarsi delle sensazioni che ti vengono sul water dopo aver mangiato in un ristornate che si chiama il Fungo Velenoso. Eh eh, scherzi di colon. Valga come monito per il futuro. Via però la foto, che si, è vero, sono leggermente iconoclasta. O iconocasta? Ci sono blog migliori per questo.
Ultima correzione di bozza: un amico è colui che al momento opportuno sa mettersi da parte. Segnatela sul diario. Secondo me vale quanto  "tirare le cuoia" e "brodo di giuggiole".

Chiamatemi Jones

… Perché mi sento molto Bridget.

 

Fotogramma 1. Baia Domizia.

Meri Jones, molare del giudizio incuneato, si ritrova dopo due ore d’auto a Baia Domizia, landa del casertano dimenticata da dio. A farle compagnia, lunghi canneti tra caseifici di bufala, africani che spaccano pietre al sole e il tenero babbo. Tra le ville blindate di questo paese che fece fortuna negli anni 70 come stazione balneare di camorristi e  napoletani arriccuti, oggi deserto, spunta un essere umano. Il contadino del litorale domizio.

“ Cerco il centro di produzione televisiva di Baia”- faccio.

“ Non c’è”- lui.

“ Come non c’è, il programma televisivo di Gaetano Cerr…”- insisto.

“ Aaaaah, Aitan’ (ndr. Dialetto per Gaetano)… Al semaforo a destra.”

 

Fotogramma 2. Centro di produzione.

Lo studio televisivo è  un ex ristorante in pompa magna. Tappeto rosso per gli ospiti, girasoli, puttini, pareti salmone e poltrone in vimini per le interviste. Su tutte le pareti c’è lui: Gaetano C., il Presentatore, che ha costruito una piccola Mecca fotografica immortalandosi insieme a soubrette grassottelle e politici sudati. Mi accoglie con una stretta di mano calda, una dentiera sull’orlo del precipizio, calvizie tinta su una cravatta a bandierine gialle. La sua assistente ha i camperos coi brillantini. Voglio andare via.

Fotogramma 3. Colloquio.

500 euro da lunedì a sabato e alloggio da condividere eventualmente con una collega (quella dei brillantini?!?). Co.co. pro per 4 mesi, eventualmente rinnovabile. Poi ci sono le pubblicità…

Mansioni: giornalista, redattrice, pr, assistenza agli ospiti e  pure una mano a rifarsi la tintura prima di andare in onda. Eventualmente.

Sorriso finto e freddezza.

"Puoi restare due ore a lavorare così vediamo se c’è feeling tra noi?"- lui

"Si..No".- io. (Che dobbiamo trombare?)

"Poi sai, mi serve qualcuno che sappia parlare davanti alla telecamera… Qualcuno spigliato come te" – lui.

Sorriso finto e freddezza 2.

"Proviamo, dai, guarda in camera e fammi un’intervista" – lui.

 

Fotogramma 4.The end. 

La storia finisce che Meri Jones, guardando in una finta camera e simulando un finto microfono, chiede a un presentatore che si sbatte come se la camera ci fosse veramente e che cinque minuti prima le ha detto che ha l’autista da quando aveva 25 anni, quali sono i rapporti con gli enti locali.

Primissimo piano sugli occhi sbarrati di Meri Jones. Dissolvenza e titoli di coda.