Category: Insalata mista

Na' votata

Ho una tammorra.
La tammorra è il tamburello con cui si balla la tammurriata.
Ma non è proprio corretto.
Ho una tammorra e ballo la tammurriata quattro volte al mese.
Piccoli passi, occhi negli occhi e ti ricongiungi con i tuoi ciakra bassi.
Ho avuto anche una chitarra, posata a Losing my Religion dei Rem.
La maggiore, mi maggiore. Stop.
Fondamentalmente non era cosa mia. Troppo mentale.
Mentale e cerebrale insieme non ci stanno, come i fagioli sugli spaghetti.
Poi un mio amico chitarrista mandolinista tammorrista batterista e aspirante neomelodico dice che con la chitarra non si acchiappa.
Invece con la tammurriata si.
E’ ipnotica. E’ trance pura al ritmo del tamburo.
Si crea un intesa col tuo partner indipendentemente dal sesso e dall’età che non mi meraviglio che nelle feste popolari si finisca tutti a trombare. Ma non è questo il punto.
Il punto è la cultura contadina, anche se mò ci vanno tutti i radical chic con la sciarpa a righe colorate. Io sono la prima, ho la divisa da tammurriata: gonna marrone a balze di Zara, infradito, fusciacca in vita e castagnette originali della Compagnia di Canto Popolare. Le ho trovate dopo un concerto: chiaro segno che nelle mie stelle è iscritto un futuro da zingarella.
Mi piace sentire le storie che si tirano i vecchi su un pretesto che loro chiamano la fronna di limone. Botta e risposta tra il vecchio sdentato e il suonatore di tamburo. A braccio. A rima. Non si capisce quasi niente, però giuro che è bello. Poi magari quando imparo meglio, lo spiego pure meglio.
Na votata e ci stai pure tu in mezzo.
Basta seguire gli occhi, i piedi volano.
Tra loro si conoscono quasi tutti, suonatori e ballerini. Alcuni si incontrano solo alle feste e mai più.
Il potere è dell’uomo. Si aspetta sempre che lui ti scelga, ti inviti a ballare e detti le regole del gioco.
Aaah, finalmente un po’ di sana sottomissione.
Era proprio quello che mi ci voleva.

 

Che google sei?

 

Test:Che google sei?

Dimmi cosa scrivi nei motori di ricerca e ti dirò chi sei.

Da quando il gioco della felicità di Pollyanna non mi funziona più, riflettevo sulle chiavi di ricerca.

Le mie ricerche di oggi:

lavorare in Giappone

Cavalli per h&m

che cosa è la depressione

bradipo

 

Profilo: Venticinquenne insoddisfatta, cerca evasione nella cultura orientale. Aspira a  diventare una gigolò a Kabuki Cho o un’attrice affermata col desiderio inconscio che tutti i nipponici si  innamorino dei suoi occhi all’occidentale e delle sue tette quarta misura.Pur nell’assenza di stimoli derivante da una lieve depressione stagionale e dall’incombenza del baratro della disoccupazione, persiste un certo animo da fashion victim che si paga nella contemplazione del low cost scandinavo.

La scelta del bradipo è motivata dal fatto che vivere sugli alberi e guardare il cielo a testa in giù è il suo sogno fin da quando ha letto il Barone Rampante. Ma a quell’epoca Pollyanna funzionava ancora e lei convinceva le amichette  di scuola che non stavano mangiando la pasta con la salsa della mensa, ma pane e nutella.

Poi per colpa di Grecia Colmenares e delle soap latinamericane l’epoca di Pollyanna è tramontata e l’insoddisfatta va a cercare se stessa nel tempio di Google.

 

Poscriptum: Il mio profilo è di gran lunga migliore di chi arriva sul mio blog cercando “Scrub peli incarniti collo”, “segretaria scema” “scopata con la suocera” “ divisione in sillabe lenticchie”, “animali virtuali da accudire”. Questi si che sono geni del male.

 

 

 

Sabat

Ogni giorno quando penso al sabato mi dico che finalmente posso fare tutte le cose che non ho tempo di fare durante la settimana.
Limarmi le unghie e mettermi lo smalto trasparante. Avviare un paio di download seri. Selezionarmi le foto da stampare. Farmi il cambio di stagione. Appuntare su un cuscino di velluto la mia collezione di spille. Fare ordine ne’abitacolo dell’auto. Guidare l’auto. Fare un cd per l’auto. Lavare l’auto. Per esempio. Ma mi è venuto in mente anche di farmi una rassegna stampa personale. Andare a trovare mia nonna. Comprarmi gli stivali di camoscio beige. Svuotare i negozi di intimo per smetterla con le mutande a pallini. Farmi uno scrub preventivo per i peli incarniti. Darmi allo jogging. Cercare la teglia per i muffin. Guardare su internet come si fa a fumare il narghilé che mio fratello mi ha regalato. E invece? Batto sulla tastiera con le dita unte di Pringles a pizza e brindo con un’enterogermina e un temporale. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie? Nah.
Si sta come il cantuccio in attesa del Vin Santo. Attesa di parole. Attesa di emozioni. At -te.

Gentil e onesto sesso

Ci sono tre cose che un uomo non deve mai dimenticare:

a) temere  le donne.

b) temere le donne emancipate.

c) temere le finte emancipate al volante.

 

a)     le donne costituiscono una  razza da frequentare tre giorni al mese.

 In questo lasso di tempo sono esseri celestiali e sono capaci di mixare un blow job da oscar ad una sana chiacchierata. La restante parte è divisa equamente tra sindrome premestruale, sindrome post mestruale e ciclo. Se una donna non vuole fare una cosa, sarà sempre per una delle cause sopraelencate. E se non vuole scoparvi a marchese perché le fa schifo, rassegnatevi, non le piacete abbastanza.

b)     le donne emancipate hanno un approccio aggressivo.
Brillanti e spigliate, trasformano ogni essere respirante in uno Spider Men pubico. Il lato positivo è il risparmio. Le donne emancipate evitano la ridicola e costosa preparazione all’amplesso (sms di buonanotte, fiori, incursioni sul luogo di lavoro, weekend a sorpresa, cd iperglicemici) dimostrando al mondo quanto una scopata può essere allo stesso tempo appagante  e  low cost . Il lato negativo è che dopo aver testato l’infallibilità di questa strategia,  le donne emancipate non vogliono più scopare. E non perché ci hanno perso gusto, come la maggior parte degli uomini pensa, ma perché in fondo, dicono, loro non sono così come sembrano, l’aggressività è tutta una facciata. Non scopano perché loro sono…fragili.
c) Questa regola è un corollario della regola b.
 Le donne realmente emancipate guidano bene l’auto, perché la loro indole competitiva le mette a confronto con gli uomini fin da piccole. Non importa l’estrazione sociale, contano solo due cose: rivalsa e vittoria. Questa regola vale soprattutto al Sud per il cosiddetto masculone che a sette anni sa già cambiare le gomme e picchia il padre col cicciobello. Le finte emancipate si distinguono per il fatto che vogliono guidare afforza l’auto anche se sono imbranate. Vogliono guidare perché quando saranno mamme devono accompagnare i figli a scuola e andare al mercatino con la suocera il sabato. In guardia, sono pericolosissime. Camminano a luci spente, si appizzano a retromarcia nei vicoli ciechi,  dicono agli sconosciuti che hanno appena preso la patente anche se guidano da quattro anni. Hanno solo una cosa in comune con le emancipate: non la danno, neppure al parcheggiatore, che dopo essere stato costretto a parcheggiare perchè loro non lo sapevano fare,  le aiuta a sistemare la spesa nel cofano dell’auto.
Teorema: trionfo del luogo comune. Gli uomini preferiscono le gatte morte ( e le bionde) perché parlano poco e ficcano assai. (Perché mai  "gatte morte"?)

Sacralità dell' Autentico

E nella tortuosa ricerca dell’Autentico, finisco alla festa di San Gennaro.

E’ una festa privata, ma per rispetto del Santo, mi metto una mse sacrale con un lungo rosario di legno e una gonna a codè.

Sono una dark suora postmoderna.

Lo so perché per strada mi mettono i cuppetielli dietro.

A me e a wlemetafore, che sfida la folla metropolitana con uno scialletto blu elettrico in versione di Madonna Incoronata.

Sostanza e dialetto. Rieccomi nel tempio sacrale dell’amicizia dove il profumo di una ciambella al cioccolato scioglie gli aloni del mobbing. Basta così poco.

Basta il pan degli Angeli per essere felici, l’estatica contemplazione della cicatrice dell’ Altro, che porta in viso la stessa alopecia da stress che tu ti porti dentro. Alleluia.

Non attaccare il ciuccio dove dice il padrone, mi ripeto mentre avanzo in processione verso San Gennaro. Esprimo un desiderio a venti centesimi  e abbiamo anche noi il nostro lumino acceso ai piedi della statua policroma. Goodbye all’overload emozionale e alle buone maniere.

Vino dolce e salato, sguardi sopra la folla, chiacchiere folkloristiche, incontri identitari, ma al secondo bicchiere mi fermo perché l’Autentico non ha bisogno di alcol o di icone punk per esprimersi. L’Autentico è simpatico, è chiattulillo ma con fascino, ti accoglie come la pecorella smarrita,  si incarna nel femminiello vestito da San Michele, nel  culo a culo col matrone illuminato, nel  trans sulla scala  con il  vestito rosso rubino.

E’ una pizza gnommosa alle tre del mattino.

Abballi l’elettronica italiana nel covo del terzo sesso, puoi eclissarti e puoi  ridere sfruttando l’ascendente che madre natura ti ha donato sul gaio. Alla fine fai ridere e basta. Perché nello slang dell’Autentico il ridicolo è out. Decisamente out. Ammèn.

 

StRagista

Io mangio cibi caldi.
Il mio caffè è ristretto.
Non sarò mai come la capa della mia cumpagnella che mangia solo cibi crudi e quando chiede il caffè dice che lo vuole lungo e amaro come la sua vita.
Io canto ad alta voce quando scendo dal treno e quando tengo l’i pod nelle orecchie sotto la metropolitana ogni tanto sbatto pure le pacche.
Io sono intelligente.
Io volo con la mente.
Non mi suiciderò mai dopo un colloquio di lavoro come ha fatto oggi quello al centro direzionale.
Io sono intelligente, io volo con la mente.
Volo oltre la cappa di smog, sul nuovo ordinamento, sulle facce allo sbando degli stranieri nelle stazioni, sulle patine, sui silenzi forzati, sui computer senza cache, sul ciclo mestruale autunnale, sul brufolo duro, su quelle che vanno a lavoro con le borsette portacibo della Liu jo. Oltre, oltre, sempre oltre.
Pizzico sulla pancia? Se se.
Peli sullo stomaco? No honey, e’ sbagliat palazz’.
Volo con la rotula sinistra infiammata col sampietrino.
Volo di una grassezza leggera
Volo con indosso una busta di patatine San Carlo.
E sotto il vestito? Niente. Pecchè ije so spontanea.
E non mi avrete mai come volete voi. Da grande il mio sogno è fare strage di stage.
Sarò stRagista senza contratto.
Perché Signora Italia, voi state impazzendo. Vi dò il voi alla napoletana per non mandarvi affanculo come Beppe Grillo. Pecchè sò na guagliona educata.
Signora Italia quando sarete capoluogo del Terzo Mondo Provinciale io smetterò di cagare a progetto.
Questo mondo puzza di candida e mi dimeno tra alitosi a tempo determinato. E se metto una foto così grande sul mio blog vuol dire che sto veramente incazzata.

 

Arrivederci Irlanda

Non andare via.

Ti vedo scivolare sull’erba fluorescente e nell’acqua scura dell’Half Penny Bridge.

Ti spio da una tendina di merletto di un’isola incontaminata.

Mi chiedo come fai ad essere così profondamente gloomy e colorata.

Così lontana e così…casa. All the seasons in one day, no?

L’ atlantico scalpita e io divento crema densa e fiore di campo.

Bevo Guinness corretta al blackcurrant e datemi un’altra stout please. Che porta la rota, please.

Ma come si tradurrà smoothy… E come si spiega un viaggio?

Next please, two euros e storie inventate in una bella casa di Temple Bar.

I pub si va. Ma ci interessa solo ridere nei letti matrimoniali.

Ci siamo solo noi, siamo noi the dubliners nel retro di una chiesa anglicana, nell’autobus di Paddyboy che ci chiama col microfono, in  Wilde recitato da due attori per strada.

La Loney Planet scandisce i tramonti e gli addii . A Dublino si sogna il Donegal, a Galway rimpiango Dublino. Alle Aran mi fermo. Affondo nella coperta che profuma di vecchio. Vecchio di una messa in gaelico, vecchio che tutti  salutano, vecchio di un solo pub, un violino e trecento abitanti. Un vecchio che cercavo in un’estate che sembra autunno e poi nel bacon fritto della signora Mulkerrin  compare il panino col salame di mia nonna e quell’ odore di borotalco. Un vecchio so lovely.

Cogliendo le more e le viole del pensiero siamo quelle di cime tempestose e vorremmo cestini e cappelli di paglia.

E quando si parla inglese si calca l’accento italiano. Per far innamorare. Perché essere amati è una bella sensazione anche all’estero.

Sepolta dai tabloid ogni tanto mi ritiro in ascetica masturbazione. Dura poco.

A Belfast c’è  ancora aria di Troubles e mentre il tassista tatuato ci scatta la foto sotto il murales mi vengono i brividi. Quis separabit? Mistero delle religioni.

Poi ci si arrampica, si stacca la spina e non si sente più musica.

Solo il rumore assordante di casa.

 

 

 

 

Si, lo voglio

barbie1_500Peppereppepè. Il matrimonio torna di moda.

Tutti si sposano e sbarbatelli giocano alla dolcecucina con cicciobelli veri. Rigorosamente senza profilattico. Cesareo ed epidurale sono le parole più in voga in questa calda estate e anoressiche col pancione girano in canottiera tra i saldi di Benettòn premaman.

Il mondo è innamorato? Agli spermatozoi l’ardua sentenza.

I bambini sono sempre più belli e sfoggiano lentine colorate dai zero anni in su. Da Disney store un paio di mini occhiali a forma di zanzara tigre costano anche ottoeuro. Però le Crocks per i piccoli scaldano davvero il cuore delle mamme. I padri non si vedono, sono un optional deluxe.

Ma si parlava di matrimoni. Nasce un nuovo lavoro: il wedding planner.

Il wedding planner è addestrato per condividere lo stress da bomboniera e l’ansia da centrotavola con la suocera in menopausa. Che tali centrotavola siano penecentrici, ortofrutticoli,  floreali o astroboscopici restano comunque i più favolosi. Tanto da fare ooooooh. Scatenano la cleptomania delle zie vedove, felici di compensare la quota versata nellalista con la serra di Barbie nuova di zecca.

Chi non può permettersi il w. planner si accontenta della foto color seppia esposta nella vetrina del paese. Il bianco e nero fa miracoli. Trasforma le spose nella Bardot e nella Loren a seconda che il set sia un’auto d’epoca o una spiaggia con divieto di balneazione.

I più temerari si sottopongono anche al sevizio fotografica prematrimoniale. Sottordine di fotoreporter e cameraman le coppie si stringono la mano, infrangono le onde e si buttano a mare con tutti i panni. Lei avrà rigorosamente una t shirt bianca che si attaccherà ai capezzoli per un sicuro effetto Ferilli. Lui, un tattoo tribale che casualmente fuoriesce dal pinocchietto.

Il resto è opera di questi registi dei poveri che con la colonna sonora di Raf e un montaggio con Pinnacle faranno sentire gli sposi in un film. Un film che finisce con la sposa  grassa e lo sposo che si fa l’amante ucraina.

Vuoi tu…?Si, lo voglio.

Mi sento Marina

Blu chimico, splash, cloro, mi sento marina.

Sono un pesce che volteggia nelle vasche dell’atmosfera.

Splash, jazz, uh, yeah.

E se l’acqua entra ti sembra di morire.

Morbida sabbia e ghiaia che cammini attivando il sistema nervoso.

Cloro, iodio e un caffè bruciacchiato dall’onda.

Una corona su un bagno al tramonto.

Un limone su una banana matura.

Un tamburo che fa bum bum.

Muovi il culo! Muovi il cuuuulo! Uh, yeah.

Hai mai gridato sottacqua?

Hai mai messo gli occhiali per finta?

Hai mai visto una vagina nel palmo di una mano?

Pelle, pelle, pelle.

Risciacqua l’ansia nel sale e fai uno scrub ai pensieri.

Nuota che non puoi respirare.

Sogna il fisico a imbuto e tocca.

Tocca gli amici amanti, una conchiglia, un castello di pietre, un canotto.

Guardati i piedi riflessi sul bordo piscina.

Guarda la superficie prima di risalire dal fondo. E’ verde?

E’ unta di creme abbronzanti? Com’è?

Tu hai gli occhi che ridono e la voce calda. Come me.

Tu sogni lo sport, la tecnica, la solitudine, l’attimo che affina, l’estasi, l’urlo e il pianto.

Ci ritroviamo in alto mare, per poi lasciarsi andare. Please don’t say you’re sorry.

Mare dentro. Si, mare dentro. Avvolti dentro l’asciugamano.

Slacciando il costume che graffia il collo e si vede tutto, yeah.

Schiaffeggia l’acqua e batti i piedi.

Sfreccia su quelli shampati col capello gonfio di sole.

Mi sento Marina, como si mi sentia agua.

Mi sono innamorata di Marina, una ragazza dolce…Uh, yeah.