Category: Music

La sindrome di Trilly

E’ sabato, ha piovuto senza arcobaleni e c’è quel fresco di settembre ma senza cambio di stagione. Attacco la faccia allo specchio e incalzo col rimmel. Quando si va a un concerto, pure se è un concerto della provincia, pure se è un concerto di un Sud dimenticato, ci vuole quella religiosità nel trucco come quando vai a un matrimonio. Mi metterei pure i tacchi. Per devozione. Ma alla fine mi accontento della matita sotto e sopra. Ed esco.

I ragazzi del Sud ondeggiano. Quelli con le felpe dell’Adidas si mescolano ai modaioli con la cresta, ai tossici, ai pazzi del paese e una ragazza in tailleur, calze nere avvolte in scarpa rosa (!) balla su un ritmo ska. Tanto, è gratis. Ci mescoliamo tutti. E poi, chi è che non sa il ritornello di curre curre guagliò. Basta essere cresciuti nel girone dantesco degli anni ’90.

Tra la folla, a zig zag, passano i venditori di birre. Carrelli artigianali, come quelli dell’aeroporto, una tinozza piena d’ acqua in cui galleggiano bottiglie di vetro e lastre di ghiaccio contro ogni norma sulla sicurezza. La parte superiore del carrello è illuminata dalle stesse luci che si usano nei pub per scrivere “open” e gli ambulanti si infilano tra la gente gridando: Una dueccinquanta, due cinque euro!

Centro sociale occupato, Centro sociale occupato…

-Tu arrampichi?

-No, cammino.

In genere i ragazzi e le ragazze del Sud non ti chiedono mai che lavoro fai o di che ti occupi come prima domanda.

-Sai, io e Stecco (?) stiamo cercando un corso per acrobati.

-Prova a Napoli. Non sarà il Cirque du Soleil però ‘ste cose qua ci stanno.

-Ho bisogno di sentire il corpo…

Mi vengono in mente le sere al Carroponte a Milano, l’erba rasa, i divanetti di design, i bicchieri di plastica/Mi ricordo di tutta la mia adolescenza di concerti a calpestare bottiglie di vetro a cui non facevo caso.

Guagliò gliò gliò…

Prendo il cellulare e digito il numero di un amico per fargli ascoltare le canzoni dei 24 Grana che ascoltavamo sempre in Erasmus in una stanzetta fredda o stesi sull’erba evitando accuratamente che le nostre anime si sfiorassero.

Questa canzone qua, non la sentivo da quattro anni.

Le parole affiorano, altre restano internamente, nebulose, bloccate nel passato. Ondeggio. E mi viene il latte alle ginocchia. Proprio i brividi.

E allora penso a Peter Pan e l’isola che non c’è, un libro che mi hanno regalato, finito per sbaglio tra gli scaffali dei volontari dell’Aids e che sto proprio là. Nell’isola di una seconda adolescenza. Ondeggio. E dentro mi sento più Trilly col trucco sciolto che, come si dice mò, single di ritorno.

L’incantesimo

Il cielo mi sembra di lacca e madreperla

Franco Battiato e la Filarmonica Toscanini. Arena Flegrea, Napoli (in uno scenario incantato di pini mediterranei che incorniciano il palco e una percentuale altissima di fighette che vanno ai concerti con i tacchi), 23/07/2012 ore 21.00. Il concerto si terrà anche in caso di pioggia (e infatti),  arena Vip, (ma che c’hai l’accredito? No, Battiato mi piace e volevo stare avanti a tutto). Fila K Posto 39.

Lui con il tight e le Mbt al piede sorseggiando un beverone verde (Tantum o Blu Curacao?), l’orchestra che amplia e dà spazio ai suoi capolavori, il chitarrista giovane che sostiene la voce un pò provata, ma sempre una spanna in su, un concetto oltre, il maestro. Grazie.

Non solo Amici

La scoperta di Scala e Kolacny Brothers

Non vado particolarmente matta per i cori. Faccio eccezione per Sister Act e le voci bianche della processione del venerdì santo. Non ho mai pagato per un musical e l’unico film da cui mi sia mai alzata a metà è stato Moulin Rouge. Certo, a quattordici anni un mio amico mi ha fatto fare la corista e con Adb mi divertivo a improvvisare controcanti sgangherati e distorti, ma sono cose della giovinezza, come imitare Ambra Angiolini davanti allo specchio batte forte il cuore primo piano in ascensore.

Non vado particolarmente matta per i cori, dicevo, ma non conoscevo Scala & Kolacny Brothers.

Immaginatevi quattordici ragazze belghe che cantano tutti i successi della musica rock internazionale con le voci d’angelo. Quattordici ragazze alte, faccia pulita, culo grosso, abiti neri a sacco, nulla di quella impostazione di Amici di Maria de Filippi, occhi negli occhi, sguardo contro sguardo.

Ma con le voci d’angelo che quando hanno fatto And you give yourself away di With or Without you e Sere Nere di Tiziano Ferro con la erre tedesca appena sussurrata e soffiata io vi giuro che mi si è accapponata la pelle nonostante i chili di Nivea alle mandorle per pelli secche.

Io penso che per fare dei cori così, i cori li devi fare di mestiere e non le puoi schifare troppo le altre del gruppo. Penso che un coro sia davvero una cosa psicologica perché io per quanto mi sforzassi di guardarle in bocca a una ad una non capivo chi faceva gli alti chi i bassi chi gli acuti e chi i gravi.

Menomale che il direttore d’orchestra con camicia rossa da teatrino londinese mi distoglieva con i suoi movimenti acchiappamosche dai miei ragionamenti sul ruolo della corista in un coro.

Me le immagino queste ragazze belghe che escono dalle loro case piatte con il cielo grigio, la bici, le aiuole curate e la vicina bambina che gioca nel giardinetti verdi. Me le vedo fare le prove con le All Star consumate e la felpa col cappuccio, comunicare a maman e vicini col coro facciamo due date in Italia, un piquet alla violetta in una mano e un toast al burro e granella di cioccolata nell’altra.

Tra le note setose aleggiano i ricordi del mio viaggio in Belgio, diabolico assai, come que viaggi fatti per dimenticare qualcuno, però ho visto in quella compostezza, il ritratto di Liege della mia amica Aline con le scarpe da tap sul vialetto di casa, prima di andare a scuola.

Street Ballade

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Uoh Uououh. Street has been friend.

Parco Sempione has been my friend.

I sudamericani che si tagliano i capelli sulle panchine has been my friend.

 Le panchine has been my friend.

Roman dei fiori has been my friend.

Uoh Uououh.

Il sole has been my friend. L’aria calda, afosa, tiepida, fresca, fredda has been my friend. Always.

Il cellulare has been my friend. Every single day.

La schiscetta* has been my friend.

 Autumn leaves has been my friend. Together with aspre carrubbe e duri marroni nel cerchione de

 la bicicletta has been my friend.

Correre Correre Correre

Lonely Lonely Lonely

Correre On the street

Lonely

My friend.

 

*schiscetta: parola milanese che designa la marenna napoletana o il bento giapponese vale a dire il pranzo fai da te che ti porti da casa in un “caccaviello”

The Machine

Apologia di Isabella Summers e di tutti quelli che arrivano secondi.

Jem e le Misfits

 

Sarà un gene crocerossino dominante, ma fin da piccola, sono sempre stata affascinata dai personaggi minori, gli alter ego, i secondi, le cosiddette “spalle”.

Quando guardavo Beverly Hills, tutte andavano per Brenda o Kelly. A me piaceva Donna, bruttina ma con una personalità da fashion victim irresistibile (finchè non ho scoperto che era la figlia del produttore Aron Spelling nonchè tutta rifatta).

E così via.

Ho sempre preferito Lisa a Renzi la Strega, Madame Butterfly a Jenni la Tennista, Martin Gore a Dave Gahan, le Misfits a Jem e le Hologram.

Ho difeso strenuamente la senape contro la maionese e il ketchup, il Chinotto contro Coca e Pepsi  e ho rivendicato più volte la dignità della cioccolata bigusto al cospetto di sua Maestà La Nutella (sono due cose così diverse!).

Ebbene, tutto questo per dire che ieri, al concerto di  Florence and the Machine, io non ho potuto distogliere gli occhi dalla “macchina”, The Machine,  Isabella Summers

Florence è pancia, è forza vitale,  voce di è eco cavernoso, sacerdotessa hippy del tempio di Stonehenge, ma in pallore e magrezza sempre più ricercata.

Florence è circense, look evocativo, quasi artefatta.

Isabella, è sobria, concentrata, sciatta nel suo vestito di pizzo e nel toupè improvvisato, accenna un sorriso e dà spazio a Florence senza alzare la testa dai tasti neanche quando l’amica frontwoman fa per accompagnarla.

Isabella è la macchina, è la basa su cui Florence poggia il suo arzigogolio and it works.

Eccome se funziona.