Category: Sliding doors

Cambiamenti

Friggo le cotolette in dieci minuti. Scolo dall’olio bollente con quella maestria che ho visto in mia madre e prima in mia nonna. La panatura è croccante e il piatto è abbondante per sfamare due uomini che tornano da lavoro.

Mi chiedo quando, esattamente in che punto, è avvenuta questa trasformazione. Esiste un momento in cui il confine tra indipendenza e responsabilità si assottiglia terribilmente.

Oggi dormo in cucina e non riesco a stare in nessun altro posto che non sia il mio. Mio in quel momento. Il ricordo di cinque anni sui tetti nel cuore di Milano si accartoccia come una lattina di Coca Cola, impresso come l’alito che ti lascia un mix di spezie orientali, ma il baricentro è già spostato.

L’altrove è in eterno divenire e l’occhio di bue si spegne. Sono sempre lì, ma guardo la scena dalle quinte laterali.#nuoveprospettive

Parlo sempre troppo.

Ogni luogo è diventato possibile, ma reggo fatica tutti quei drink, le ospitate go&back, condividere il letto con amici e amiche, le gite di una notte, lavorare di notte, studiare cose nuove, sudare in mezzo alle correnti, lavorare nel weekend, il pensiero di trasferirsi all’estero, deprimersi eccessivamente.

Ci vogliono molte energie per il rock. E piglio la bronchite, immaginando nel delirio febbrile  un legame ideologico con la Monaca di Monza.

Credo ancora molto nel mio lavoro, come fanno gli inguaribili romantici. Benché questa altisonante e oscura e vaga parola – COMUNICAZIONE- mi abbia fatto penare non poco e tradita più volte. Mi ha costretto ad andare sempre a cento, anche quando sarei voluta andare a venti, a trenta, a passeggio. E invece no, a galoppo Furia!

Mi emoziono in maniera diversa, più semplice. D’altronde le amiche con cui si consumano gli psicodrammi esistenziali,in macchina, di notte, sono lontane. Manca proprio il setting per lo psicodramma. Ma a spogliarmi con loro in un tempo rubato sono sempre propensa.

Mi impongo volutamente un ritmo lentissimo nel privato che va a compensare tutte le consegne, le interviste, le dirette, le scadenze, gli start up del passato. Espiazione.

Con snobismo, sono sempre più lontana dal gusto comune e dalla politica. Non resisto per più di trenta secondi davanti alla gente che si parla addosso nella vita e nei talk show.

Mi imbottisco di film e assaporo quella bella e brutta sensazione di galleggiare, di chi non può andare avanti sbattendosi oltre.

Che poi se sto troppo ai fornelli mi sveglio all’alba e sento gli uccellini cantare e i tacchi della maestra che sta al piano di sopra. Tac Tic Tac tic tic tic.

Cambiamenti. Sono solo cambiamenti.

Anima zingara

E se potessi raccontarti tutta questa vita, tutti gli sguardi, le minigonne, la coca, il profumo sulle t-shirt aderenti,  lo sballo, la musica, quanta musica, le risate. Gli sterei accesi che disperdono nell’aria calda motivi sempre uguali. Le notti che sembrano mezzogiorno, la gente a fiumi, i semafori, la moda, le promozioni, i talloncini delle scarpe, l’afa, l’aria condizionata, la sprite ghiacciata, i chili di sushi, il menu no stop, il caldo, il freddo e il freddo e il caldo. Se io potessi raccontare di balconcini che guardano a Stoccolma, di vere case, di tanti abbracci, del sotto braccio e dell’abbazia di Chiaravalle, di notte, che me ne avevano parlato e non mi ci avevano portato. Fino a un giorno, che è arrivato troppo in fretta, un giorno che da uno scoglio ti trovi tutto un tratto in Europa.  Che dall’onda che ti accarezza i pensieri e lo iodio che ti fa vedere chiaro, impietosamente, crudamente, ma magistralmente, ti trovi nella vita a cui hai detto ciao, con un sorriso triste e la postura fiera. Perché a un certo punto ti devi fermare e devi sapere pure rinunciare al telefono che squilla e come squilla. E se potessi raccontarti, ti racconterei la gente. Pure quella che non ci sta. Racconterei com’è bello stare in hotel in una casa che è stata tua e chiudersi la porta dietro senza una lacrima. Com’è bello, quando ti regalano una possibilità solo per quello che sei stato. Com’è bella una cotoletta fredda a parlare dell’Erasmus. Com’è bello  stare seduti mentre gli amici fanno shopping e farsi le stesse risate. Ma proprio sempre le stesse, sulle stesse cose. Perdersi e ritrovarsi. Ridere. E vedere che qualcuno ce l’ha fatta. Che ha trovato la sua via, perché sai il lavoro è di merda però i colleghi sono carini e io ho ricominciato a vivere, ascoltando la mia anima zingara. Che basta un cenno e la gente arriva e ti vuole proteggere, ti  cucina, ti accompagna e se vuoi andartene da sola, di notte, ti scrive per sapere se sei davvero dentro casa.  E se potessi raccontarti,  queste non sono cose scontate e io non sono pesante. E se avessi davvero le parole per dire come è pieno, come è bello e come sento mio tutto questo, lo scriverei, lo scriverei.

Ironic

E del fallimento delle giornate perfette

Nella mia giornata perfetta il treno salta e devo correre da Sorrento a Napoli come una pazza, con la seicento che sbanda ad ogni curva e mio fratello in preda all’ansia che perdo un’altra volta il treno per Milano.

Tu non ti anticipi mai.

Nella mia giornata perfetta faccio gli scherzi telefonici e Mi Vendo!Un’altra identità, come Renato Zero.

Milano?! Tanto pathos, tanto melodramma e stai di nuovo là.

Mi sembra di aver ritrovato la voglia di giocare nella mia giornata perfetta.

Nella mia giornata perfetta ceno con un gelato alle sei tutta la notte ho i crampi allo stomaco per la fame e i brividi di freddo.

L’avete mai provato il freddo dentro? Il freddo di quando non fa freddo. Il freddo che ti fa arrotolare nella coperta pure se fa caldo.

Nella mia giornata perfetta bevo prosecco a stomaco vuoto.

Mi trucco da zingara nella mia giornata perfetta e mi comporto da algida. Faccio frusciare il vestito e lascio la scia di profumo.

Ma io non sono così.

Io non sono fatta per le giornate perfette. Non esco da un film di Fellini degli anni ‘50, non chiamo il taxi come le ragazze della City.

Io non sono un Che bel fiore!

Nelle giornate perfette indosso la Maschera di Ferro e fuggo più che mai dal calore umano, dalle parole gentili e dagli sguardi languidi. Divento granitica.

E mi odio per questo.

Allora meglio le giornate ironiche, con i pavoni che ti aprono la coda sullo sfondo di un laghetto artificiale e due lacrime che piovono su un colloquio andato al vento.

Qualunque cosa sia accaduta passerà. Mi dice lo sconosciuto al semaforo.

Meglio le giornata ironiche. Almeno sono più vere.

Le giornate ironiche partono già imperfette, non si leggono come segni del destino e congiunture astrali. Non ti sballottano tra due vite che non ne apparano una e non si caricano di aspettativa.

Si vivono e basta. Accadono e basta.

Meglio le giornate ironiche. Almeno sono più vere. Sono più me.

Tu sei molto di più di tutto quello che sta nelle categorie junior e senior, ricordatelo sempre.

Io sono la forza delle mie iperbole. Grazie. Me lo ricorderò.