Zia Romilda

Meriti che io mi sforzi di non raccontare di tutto quello ho (abbiamo) perso, ma di ciò che da una vita intera mi lasci, ci lasci.

Sembra trascorso un attimo da quando due braccia possenti mi sollevavano in aria per poi scarrozzarmi, seduta nel carrello della spesa, verso lo scaffale dello shampoo Shultz alla camomilla. Perché solo gli zii possono cavalcare le fantasie di una nipotina castana e viziata che sogna di somigliare, con la camomilla Shultz, a Serena, la sua biondissima amichetta delle elementari.

Qualche secondo dopo noi bambini veniamo chiusi tutti in una stanza a fare la lotta con i cuscini, mentre zio Peppe, tuo marito, poneva fine ai nostri giri all’ipermercato per raggiungere in cielo sua madre, la nonna veneziana, una donna che non ho mai conosciuto se non nel racconto mitologico tramandato per generazioni.
Ci sono voluti molti anni da quel pomeriggio per decodificare e stanare le vostre raffinate tecniche di protezione dal dolore, per associare la perdita a uno dei giorni più avventurosi della nostra vita di cugini. Da piccoli perché eravamo piccoli, da grandi perché stavamo fuori. Preservarci è sempre stata una regola non scritta tua e dei tuoi fratelli, capaci di coalizzarvi e moltiplicarvi con la stessa apparente semplicità del teatro delle ombre cinesi.

Eri diventata vedova, una parola che apparteneva al mio lessico da sempre perché entrambe le mie nonne erano vedove, ma non riuscivo a percepirne il peso, non solo perché fossi una bambina, ma per questo tuo, vostro modo di cucirvele addosso le parole, lasciarvi attraversare da esse, scomporle con dignità e gentilezza, talvolta ironia, fino a renderle prive di forza, incapaci di descrivervi, di etichettarvi.

Cos’era cambiato, in fondo? Il salone della casa di San Giuseppe era sempre dannatamente enorme, Vera continuava a farmi giocare con i trucchi nella cabina estetica casalinga e in qualche domenica assolata ti accompagnavo a lavoro al bar di Carmela, ricevendo contemporaneamente, in cambio della mia disciplina, lo sciù e il calzone fritto. Quante emozioni si consumano nel retro di un laboratorio!
Sì, eri più magra, ma continuavi a preferire il rossetto bordeaux, indossare colori brillanti e io a ripetere a mia madre, un po’ per provocarla, che eri la più bella delle tre sorelle.

Mia zia sembra una spagnola!

Dunque, cosa era cambiato in fondo?

Oggi viene mio cugino Marcello a montarmi la villa di Barbie…

Niente non cambia niente, tutto, cambiava tutto.

Le case. Prima con la nonna, cucivi i cuscini in pendant con le tende, quanti jeans accorciati e rattoppati, le tende arancioni per la mansarda di Milano, la spola a Portici con la panda verde, poi la tua deliziosa casetta a tre piani di Vico Zappella, che un water bungalow alle Maldive non mi avrebbe regalato altrettante emozioni.

Quanto mi mancherà varcare inaspettatamente la soglia di quel portoncino, salire quella scala, la stanzetta sulla destra prima di Rino e poi tua, il caffè con la cialda Borbone rigorosamente oro, aprire il frigorifero, prendermi il bicchiere, farti i complimenti per l’ ordine impeccabile e sedermi di fronte a te  per quell’unica domanda: Alduccia, che dici a zia?

Mi è sembrato di vivere in tutte le tue case, anche nel monolocale di Zobél in cui avete vissuto da bambini quando io non ero neppure nata. Ho di certo vissuto direttamente e indirettamente tutte le tue vite e tu le mie, i tuoi grandi dolori, i miei piccoli sfoghi, i rospi ingoiati, i traguardi annunciati, le parole non dette che so che, dove sei adesso, conosci già.

Te ne vai ma quando non scivoli via dal cuore non te ne vai mai, mai!

Ci lasci il tuo pezzo più bello: la preghiera sincera, la perseveranza nella prova, la semplicità in cui germoglia ogni verità, la gentilezza d’animo, la malinconia celata dietro un sorriso, la fede salda in ogni tempesta, l’ospitalità ma soprattutto l’ accettazione piena del nostro essere. Grazie per aver accolto prima le nostre ombre che le nostre luci.

Ho perso per strada il tuo pezzo più brutto, la trasformazione, il finale già scritto.

Me ne dolgo, ma so che hai voluto come sempre proteggermi lasciandomi sperare fino all’ultimo, nell’orizzonte di una nuova estate in cui poter varcare, ancora una volta, la tua soglia inaspettatamente.

15 agosto 2019

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