Post Londra
Dei 31 anni e della resilienza
E allora quel tempo che mi è mancato, me lo scippo alle sei del mattino. Senza affanno e prima di cominciare tutto.
Buongiorno Londra. Sei scivolata via con la stessa velocità con cui si bevono certe birre a 18 anni. Ti ho ingurgitata con voracità e la sfrontatezza di un momento in cui ho sentito di essere finalmente salva. E un pò fuori tempo per essere pienamente dentro quella bellezza decadente che ti contraddistingue. Alla trasgressione di certe storie notturne che si consumano nel Tube, al bagliore posticcio di Piccadilly, alla risata alcolica di un bellissimo pub di fine 800. Mi sono chiesta perché mi sei sempre sfuggita ma so anche che non finisce qui.
Sai, Londra è quella città in cui puoi tornare dieci volte e ti pare sempre di non aver visto niente.
Non ti esaurisci. Arrivo tardi, arrivi tardi, ma al tempo della Resurrezione. Faccio un clic sul cuore sul bagno con la tazza di tè poggiata sulla vasca e l’acqua bollente. Su quei miei momenti alla Serpentine Gallery, il finestrone che dà sul parco e la solitudine con me nella contemplazione artistica. Il filmato dell’investitura della regina Elisabetta mi rapisce più dei diamanti della corona. Mi perdo nell’arzigogolio delle guglie di Westminister e so che solo con la compagna di viaggio che ho scelto posso stare liberamente in quel confine sottile tra passato e presente, caduta e scatto in avanti, errori e rivincite, trastullarmi tre ore nelle chincaglierie di Portobello e ridere a squarciagola per un insolito pic nic ad Hyde Park con casatiello, stupirmi di quello standing a sessant’anni, bere tutte quella energia che non sai a che fonte attinge.
I 31 arrivano come le silhouette dei film muti degli anni 20. Lenti e sullo sfondo. Poi accellerano di scatto e della trama non ci capisci più niente. Quest’anno fingo di più a me stessa di non volermi festeggiare. In realtà ho architettato tutto. Scelgo Milano e un letto matrimoniale su cui svegliarmi con una squadra fortissimi, come quando eravamo piccoli. Io un po’ più sola e secchiona ma sempre su un piedistallo. Loro più rilassati e complici e desiderosi di essere presi per mano. Alla fine torno a casa con cocktail, rosa e Polaroid dell’indiano ad immortalare il momento. Sonno, un trenino che si allontana verso la collina marchigiana e tanta pioggia sul vetro dell’auto. Questo mi voglio ricordare. La condensa, l’odore di bagnato, il silenzio come dopo un temporale estivo.
La resilienza è la capacita di superare i traumi guardando sempre agli aspetti positivi della vita. Qua si parla dei bambini di Baghdad, mica dei tre rotoli sulla pancia o di un neo spuntato all’ improvviso. Che poi se ci vogliamo lamentare della linea, smettiamola di fare le Signore in Terrazza con torta gelato al pistacchio affogata nel vino biologico, che c’avrà pure meno solfiti, ma ragazze mie se famo male e le calorie quelle sò. La resilienza come la vedo io ha la luce gialla di certe sere di primavera che a stare fuori fa ancora freschetto. E’ confidenza. Che te la pigli, che la dai, che viaggi sopra le righe. E’ una convivialità enorme, che si rinnova, declinata in tante piccole storie e intrecci, sensazioni sottili, che ad acchiapparli tutte esci pazzo. E’ incellofanata in una rete di pescatori. Che però se guardi bene dentro le maglie trovi sempre quel sorriso che cercavi e quello sguardo che non ti aspetti.