Taha

Il nostro grande amico Aljalal

Caro Taha,

oggi mi sono fermata a pensarti e ho bruciato il risotto.

Mi sono chiesta se i Giardini Eterni sono così pieni di rose rosse, spinose e con petali carnosi, come me li immagino. Mi sono chiesta se c’è una porta coperta d’edera e rampicanti che collega i Giardini al Paradiso e mi sono chiesta come fluisce questo Immenso Spirito che effonde da Allah a Dio e, se per caso, in questa nuova vita riuscirai ad incontrare le mie nonne.

Nell’eventualità, ti prego, racconta loro dello Yemen, come tu sai fare, incantale con gli aneddoti della tua cultura millenaria, trasmetti loro l’ardente bellezza della tua città, Sanaa, come hai fatto con noi,  ma ti avverto, squittiranno impaurite per la Jambiya, il pugnale che voi yemeniti vi infilate nella cintura, borbotteranno sul velo delle donne per una questione di hairstyle – soprattutto nonna Dina che dorme con “la retina” e i becchi di cicogna per non rovinare la messa in piega – e non riuscirai a sedurle con le tue innumerevoli spezie.

Nonostante siano entrambe teledipendenti, non si faranno stregare dalla tua partecipazione a Masterchéf e rivendicheranno contro i tuoi manicaretti serviti in regali impiattamenti, la superiorità di una bella tiella di  puparuol’ e patan’ o uova all’intrippatina.

Ecco te l’ho detto: sulla questione cucina loro sono proprio come quella parola abusata e impropriamente usata… Talebane.

E invece, alla faccia del picco glicemico, quanto vorrei vederti arrivare con un vassoio di tè yemenita, il latte,  le zollette di zucchero, i bicchierini dorati, mentre guardiamo le foto del vostro matrimonio e tu alla fine ci distrai con il video del  cartone animato di una formica poliglotta da propinare ai tuoi studenti.

E di quando sei andato in fissa con Google Maps?! Con quale sudditanza io, Nicola e Laura (mezzo secolo di vita a Milano in tre) abbiamo dovuto seguirti a piedi, in fila indiana, in Paolo Sarpi, perché dovevi  essere tu, col tuo cellulare a portarci al ristorante cinese che tanto ti piaceva. Ho tatuato nell’anima il cocciuto entusiasmo di quella sera, l’orgoglio di chi comincia a penetrare le strette maglie della City (e a ingrassare come noialtri).

Cosa farai da grande il traduttore, l’insegnante, il video maker, l’ambasciatore, lo street fooder? Farai tutte queste cose Taha. Inshallah!

L’odore degli incensi della moschea mi stordisce.

Beata me che posso annusarlo. 

Ho fissato il drappo verde sulla bara in cerca dello sguardo intelligente, del  sorriso sornione a mezza bocca, della gentile eleganza, dell’ingenua schiettezza.

Beata me che posso cercarlo. 

Le bombole d’ossigeno parcheggiate sul retro, i verdi campi, gli orizzonti in cui perdersi nelle cene della sera, i baci perugina ai viandanti e l’abbraccio più commovente e sincero della più bella domenica della nostra ultima vita. Mai avrei immaginato potesse esistere questa dolorosa e felice verità in un hospice.

Ho pregato per  tua madre, tuo padre, i tuoi fratelli, i tuoi nipoti, la famiglia lontana, gemente e piangente senza odori e senza suoni.

Ho pensato che avevo indossato i calzini di Nicola per sbaglio e con questi ho solcato la moschea in cui hai insegnato, camminato sul tappeto su cui hai pregato, perdendomi nello sguardo degli amici e nella nostalgia, noi tutti insieme in pizzeria qualche giorno prima del lockdown.

Fuori dai vetri, in lontananza,  la metro verde scorre verso Gessate. Piove. Ho dato un fazzoletto alla ragazza dell’ostello in cui abbiamo festeggiato il tuo compleanno con torta di fragole e succo d’uva e bacca bianca halal. Correva l’anno 2016.

Mentre corro verso l’ ufficio, mi chiedo se Laura preferisce dormire in compagnia o trovar pace, il suo primo gesto varcato l’uscio di casa  e ho pensato che se la sposa yemenita fosse stata  davvero in Yemen le donne saudite non l’avrebbero mai lasciata sola. Mai. Ma forse pure a Catania. E ciò prima o poi accadrà. Laura dei miracoli.

Mi sono chiesta se nel frattempo ti fosse arrivata la cittadinanza, Taha, se è in questi attimi cruciali che il seme del cambiamento si insinua nei cuori della gente, tutte quelle persone insieme, in un comune umano dolore, in un condiviso raccoglimento spirituale, tutte diverse e accomunate  dalla storia sempre viva del vostro grande amore.

Come sarebbe bello potersi dire
Che noi ci amiamo tanto
Ma tanto da morire
E che qualunque cosa accada
Noi ci vediamo a casa

Dolcenera- Ci vediamo a casa

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