Alda Merini

Ti dovevamo studiare a scuola, invece del 5 maggio.
E invece ti ho scoperta su magazine femminile, quando Milano era un sogno di carta a colori, vacuum.
Questa usa le parole come pietre e velluto. Ti schiaffeggia e ti accarezza.
Nessuno ha più voglia di leggere i patè d’animo.
Pathos, patema, patè.
La poetessa delle emozioni confuse, delle risate roche e dei dolori sordi.
Alda Merini, si chiama Alda Merini.

Alda Merini e una sola poesia, in una libreria di Cava dè Tirreni, che mi sembrano passati secoli, ma, credimi, il tempo si fermò

Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia

E poi, come l’innamorato, sono venuta sotto casa tua, un pomeriggio, ottobre, l’acqua dei Navigli immobile, il cielo piovoso, poca gente, Milano silenziosa, austera, algida, bellissima.
Non ho suonato, non ho avuto il coraggio.
Una poesia per me era tanto, per Te troppo poco.
Riposa in pace: ei fu, siccome immobile.

One comment

  1. anonimo

    Quando dico che per me la poesia è un linguaggio specializzato per specialisti (l’esiguo numero dei lettori, perlopiù poeti, lo dimostra), rischio il linciaggio. L’idea che piace, che trova universale consenso, è che la poesia sia qualcosa che sta dentro ognuno di noi, un nebuloso sentire, viscerale e sublime, nobile e bello. Di quest’idea di poesia, malafede di editor e cinismo di giornalisti hanno costretto Alda Merini, che versi pregevoli ne aveva pur scritti, a farsi rappresentante, se non incarnazione a tempo pieno. A quest’idea di poesia, in un impeto di ignoranza, la città di Milano ha conferito tutto il crisma dell’ufficialità.

    patrizia valduga

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