Anima zingara

E se potessi raccontarti tutta questa vita, tutti gli sguardi, le minigonne, la coca, il profumo sulle t-shirt aderenti,  lo sballo, la musica, quanta musica, le risate. Gli sterei accesi che disperdono nell’aria calda motivi sempre uguali. Le notti che sembrano mezzogiorno, la gente a fiumi, i semafori, la moda, le promozioni, i talloncini delle scarpe, l’afa, l’aria condizionata, la sprite ghiacciata, i chili di sushi, il menu no stop, il caldo, il freddo e il freddo e il caldo. Se io potessi raccontare di balconcini che guardano a Stoccolma, di vere case, di tanti abbracci, del sotto braccio e dell’abbazia di Chiaravalle, di notte, che me ne avevano parlato e non mi ci avevano portato. Fino a un giorno, che è arrivato troppo in fretta, un giorno che da uno scoglio ti trovi tutto un tratto in Europa.  Che dall’onda che ti accarezza i pensieri e lo iodio che ti fa vedere chiaro, impietosamente, crudamente, ma magistralmente, ti trovi nella vita a cui hai detto ciao, con un sorriso triste e la postura fiera. Perché a un certo punto ti devi fermare e devi sapere pure rinunciare al telefono che squilla e come squilla. E se potessi raccontarti, ti racconterei la gente. Pure quella che non ci sta. Racconterei com’è bello stare in hotel in una casa che è stata tua e chiudersi la porta dietro senza una lacrima. Com’è bello, quando ti regalano una possibilità solo per quello che sei stato. Com’è bella una cotoletta fredda a parlare dell’Erasmus. Com’è bello  stare seduti mentre gli amici fanno shopping e farsi le stesse risate. Ma proprio sempre le stesse, sulle stesse cose. Perdersi e ritrovarsi. Ridere. E vedere che qualcuno ce l’ha fatta. Che ha trovato la sua via, perché sai il lavoro è di merda però i colleghi sono carini e io ho ricominciato a vivere, ascoltando la mia anima zingara. Che basta un cenno e la gente arriva e ti vuole proteggere, ti  cucina, ti accompagna e se vuoi andartene da sola, di notte, ti scrive per sapere se sei davvero dentro casa.  E se potessi raccontarti,  queste non sono cose scontate e io non sono pesante. E se avessi davvero le parole per dire come è pieno, come è bello e come sento mio tutto questo, lo scriverei, lo scriverei.

4 comments

  1. Ics

    E mettere prima il piede, poi gli occhi, nello stomaco, sentirsi come al deposito dei tram e capire dov’è che va a finire tutto. Dove converge, si ammassa e si conserva. E dove ti sfinisce.
    Non caricare mai, dirsi che non conviene e prendersi affettuosamente in giro così.
    Pensare a Betty la fea il primo giorno di non-comunità. E, se non puoi ridere, ridere lo stesso. Tanto chi se ne frega.

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