Zio Vittorio
Non mi volevi al tuo funerale. Lo so. Perché a te ti sono sempre piaciute le visite. Le sorprese mai. Soprattutto durante la controra. Ti piaceva la visita classica. La poltrona, i mobili antichi, il porta bon bon con le caramelle Rossana. D’inverno, la stufa a gas e il maglioncino di cachemire verde. La doccia sul terrazzo d’estate. La chiamata sul telefono fisso, l’appuntamento, le lettere che finivano sempre con “sua pregiata mano” e altre incomprensibili sigle del bon ton.
Direttore, Professore, Cavaliere, Amico di Ministri e Giornalisti, estimatore del titolo, persecutore dell’alleanza di rango.
Orfano di padre, emigrante in Germania, la sindrome del fratello più grande, le zuppierone di verdura, pane e glicemia, insulina per gli amici. Per i nipoti un’istituzione. Da temere, quasi.
In qualche angolo della memoria affiorano i baffi e la pipa. Poi la stecca di Marlboro che ho annaffiato sotto al lavandino il giorno che decisi che non dovevi più fumare.
D’altronde sono stata sempre una bambina viziata e sfriggiosa, non è vero?
Se te lo dicessi mò, sfriggiosa, scoppieresti in una di quelle tue risate grasse e farfugliose. E racconteresti di quando ti aiutai a dipingere il lampadario dello studio. Dopo un mese stavi ancora raccogliendo le gocce di pittura.
I miei fidanzati non ti sono mai piaciuti. Scavurati, dicevi. O’ zio, qua abbiamo bisogno di gente produttiva.
Abbiamo litigato. Ti piacevano i miei articoli. E i tuoi tempi.
Poi un giorno d’estate, la peggiore estate, squilla il telefono a prima mattina: senti a zio, se non trovi lavoro te li dò io tremila euro e facciamo un grande libro con le ricette della cucina mediterranea. Quattro mani tu e tuo cugino: una giornalista e uno chef.
Pensavi sempre grande. Enorme.
Instancabilmente. Con regole golose e voraci, strabordanti.
Volevi realizzare. Volevi il trionfo del cognome.
Allora, sulla barchetta, proprio quel giorno, di fronte a tanto vento e tanto mare, mi sono chiesta a che pensavi. Cosa pensava uno come te da dentro al letto tutta la giornata.
Poi, tra la rada e la randa, è arrivata un’onda e la salsedine si è sfrangiata in tante piccole gocce che non si riusciva più a guardare. Nè a pensare.