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Alda Merini

Ti dovevamo studiare a scuola, invece del 5 maggio.
E invece ti ho scoperta su magazine femminile, quando Milano era un sogno di carta a colori, vacuum.
Questa usa le parole come pietre e velluto. Ti schiaffeggia e ti accarezza.
Nessuno ha più voglia di leggere i patè d’animo.
Pathos, patema, patè.
La poetessa delle emozioni confuse, delle risate roche e dei dolori sordi.
Alda Merini, si chiama Alda Merini.

Alda Merini e una sola poesia, in una libreria di Cava dè Tirreni, che mi sembrano passati secoli, ma, credimi, il tempo si fermò

Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia

E poi, come l’innamorato, sono venuta sotto casa tua, un pomeriggio, ottobre, l’acqua dei Navigli immobile, il cielo piovoso, poca gente, Milano silenziosa, austera, algida, bellissima.
Non ho suonato, non ho avuto il coraggio.
Una poesia per me era tanto, per Te troppo poco.
Riposa in pace: ei fu, siccome immobile.

Coccodrillo


                                           

C’e’ chi l’amore lo fa per noia
chi se lo sceglie per professione
bocca di rosa ne’ l’uno ne’ l’altro
lei lo faceva per passione

Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie
quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie

io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore

ma alla fine m’assetto papale
mi sbottono e mi leggo ‘o giornale
mi consiglio con don Raffae’
mi spiega che penso e bevimm’ò cafè

bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä

dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi

e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno come le rose

Da Merincontraria a Fabrizio De Andrè ten years later.
But time is on your side.

Funeral party

Il giorno ideale per un funeral party è marzo quando fuori piove e le case abusive cadono sulle frane. Il cielo è plumbeo e il risveglio lento. L’auto è impastata di un mix di benzina e Mentadent e il tergicristallo lancia l’ultimo pezzo dei Tokio Hotel. Il funeral party è a tema libero ma sono sfavoriti tutti i pantoni. Attenersi alle nuaces dell’ ardesia, ma per gli eccentrici è ammesso eccezionalmente il fiordaliso.
La location di un funeral party è una chiesa, un sagrato, un piatto di pasta alle vongole. C’è chi gioca a risparmio e festeggia il funeral party in una sola lacrima di due vani e accessorio. L’abside è addobbata con piante carnivore e nelle acquasantiere ugole pizzicate d’incenso trovano l’eterno riposo.
Donaloro signore.
In un funeral party c’è un momento in cui rigorosamente si piange. E’ il momento in cui quattro o cinque marinai sollevano la carcassa a piedi scalzi. E’ il momento più bello. I paparazzi sommergono il caro estinto di flash e i vecchi del paese fanno capannello intorno ai parenti per  gli autografi. Se non si raggiunge lo sballo il funeral party fallisce e i parenti del caro estinto saranno costretti a ingaggiare un media planner per un report su ciò che non ha funzionato.
Invece i funeral party passati alla storia sono ellittici. Finiscono senza parole.

Ciaofranco ciao

E poi ci fu Milano con la casa col parquet e il portiere indiano a Corso Como.
Ma tu te ne sei andato e che te lo dico a fare.
Ciao franco ciao.
Ti porti un motorino bianco e rosso, un pezzo di intonaco ed una grattugia di dialetto.
Che Giotto ti benedica e Cristo ti offra un buon caffè.
I mobili vecchi, le biciclette arrugginite e i cassonetti tutti ti piangono.
I palchi resteranno senza chiodi, i pazzi senza parrucche e polveri condominiali agiteranno gli alberi secchi di questo paese nelle giornate di vento.
Avevi fatto l’ambo franco.
E mò pure la tombola secca.
Ciao franco ciao.
 
 
Bio-note molto personali: Franco Autiero nasce ed è il mio professore di arte a liceo e l’unico che mi ha detto in faccia, durante un’intervista, che il nostro giornalino d’istuto faceva schifo. Ci vuole più impegno politico guagliù. D’altronde quando io facevo Sisma con la bambina prodigio lui se la faceva con Annibale Ruccello ed Enzo Moscato. E’ un pezzo di teatro e di scrittura e di reciproca stima che se ne va e se volete sapere di più cercate su google Franco Autiero.
Nella foto in alto: Isa Danieli in Ferdinando; scene Franco Autiero.

Sabat

Ogni giorno quando penso al sabato mi dico che finalmente posso fare tutte le cose che non ho tempo di fare durante la settimana.
Limarmi le unghie e mettermi lo smalto trasparante. Avviare un paio di download seri. Selezionarmi le foto da stampare. Farmi il cambio di stagione. Appuntare su un cuscino di velluto la mia collezione di spille. Fare ordine ne’abitacolo dell’auto. Guidare l’auto. Fare un cd per l’auto. Lavare l’auto. Per esempio. Ma mi è venuto in mente anche di farmi una rassegna stampa personale. Andare a trovare mia nonna. Comprarmi gli stivali di camoscio beige. Svuotare i negozi di intimo per smetterla con le mutande a pallini. Farmi uno scrub preventivo per i peli incarniti. Darmi allo jogging. Cercare la teglia per i muffin. Guardare su internet come si fa a fumare il narghilé che mio fratello mi ha regalato. E invece? Batto sulla tastiera con le dita unte di Pringles a pizza e brindo con un’enterogermina e un temporale. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie? Nah.
Si sta come il cantuccio in attesa del Vin Santo. Attesa di parole. Attesa di emozioni. At -te.