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Madrid

Madrid.
Madrid con la testa per aria e gli stivali che scambiano i piedi in una casa originale del dopoguerra spagnolo.
Guardo il telefono a parete con la rotella girevole e il busto del cristo che mi benedice dal soffitto e sono felice. Gli spot pubblicitari su Cuatro augurano feliz navidad ed il riscaldamento centralizzato con la coca light mi fa passare la tosse nonostante  le coperte di nylon impolverate. Mi addormento con un massaggio ai piedi progressive e mi risveglio con disintegration dei cure. Quattro chiacchiere in anglospagnolo e sono la regina del metro. Mi muovo come un pesce nell’acqua, finalmente libera da pippe sedimentate, senza propositi e desideri da esprimere. Semplicemente vivo e vivendo mi fermo davanti all’Enigma di Hitler, la stessa cornetta nera della mia casa in calle Maria de Guzmàn 24. Penso di poter essere amica di Dalì o una potenziale modella di Picasso o magari una  pittrice nascosta . Mentre mi faccio di arte che non conosco i miei sogni aprono un circolo letterario a Vico Equense e mi trasferisco in Spagna per diventare commessa del Cortes Ingles. Non voglio pensare a nessuno. Non voglio comprare niente. Non voglio abbinare i colori alla faccia del botulino italiano e delle fashion victims che non hanno voglia di scrivere un libro. Il giro da H&M è di devozione, ma mi prende di più il mercato della trasgressione codificata di Fuerrancal e il balletto del trans anoressico nella piazza della Chueca. Non sono fatta per la cucina fusion e mi gustano mas jambon, queso e chorido che svegliano il mio spirito resinaro. Lavo i piatti e mi ricordo di Helsinki, quella densa precarietà in cui una candela a forma d’arancia e un dolce da cui escono le sorprese di babbo natale assassino ti ricordano che stai vivendo il tuo tempo al massimo. Un tempo lento, senza muri di cartongesso, di sguardi e di intese dell’amicizia che fu, che poi non è stata e che forse sarà. Con l’ansia volgare di sogni cubisti. Con i resoconti notturni e senza lentine per guardare  i monumenti bassi e grassi con gli occhi che ho. Con il gusto di fare un applauso ammiccante al cubista brillantinato e di dire hasta luego lasciando una t-shirt sgualcita sulla sedia rococò.

Alda F.