Il postino
Lettera a sorpresa di una ragazza aumentativa
Non ho bisogno di tatuarmi per dire al mondo che ho fatto un’esperienza speciale. Il morso di Tommy sul braccio mi ha insegnato ad avere più paura dei Bulldog che dei bambini autistici. E quando incontrerò un disabile, mi inginocchierò all’altezza della sua carrozzina per guardarlo negli occhi. E non mi chiederò se mi capisce. Perché nella gran parte dei casi sarà felice che io voglio stabilire una comunicazione con lui. Come tutti gli esseri umani di questa terra.
Quando avevo vent’ anni e il mondo era mio le laureande in Scienze dell’Educazione non mi sembravano abbastanza cool paragonate a noi, cresciute col Maurizio Costanzo Show, le future leve della comunicazione. A 32, guardo con ammirazione chi tutti i giorni per andare a lavoro si toglie i tacchi e si mette le Crocs e tra una sbausciata di saliva e uno sguardo sempre aldilà dell’orizzonte sperimenta nuovi linguaggi.
Quando di un foglio bianco impari a leggere le pieghe in qualche modo vinci sempre.
Questo mi hanno insegnato le mie colleghe. A leggere tra le righe. A cogliere quell’unico segnale che motiva battaglie che sembrano perse in partenze. Che la felicità di uno zero schiacciato in ascensore non significa che poi domani quello stesso tasto sarà associato al piano terra.
Domani si ricomincerà daccapo.
Ancora o basta?
Ancora, ancora. E ancora.
Un giorno, con una pila di fatture davanti e il codice html sullo schermo hanno bussato alla mia porta.
Volevamo chiederti un favore. Ci serve un postino. Devi consegnare un pacco a un bambino. Ti va? Dopo la consegna, ti presenti, indicando il simbolo che ti rappresenta, il postino appunto. Ok?
Ma tu guarda un po’ se in questo posto del cavolo devo pure fare il postino, penso. Mò che gli devo dire a queste.
Ok!
Quello è stato il foglio.
Quando di malavoglia sono entrata in seduta e ho portato il pacco a quell’esserino che non si muoveva e non parlava io ho provato un profondo senso di smarrimento. Io, fantasista della parola e fanatica dell’appeal, non avevo tecniche, strumenti, conoscenze, non sapevo interagire. Fondamentalmente non parlavo la sua lingua.
Venditrice di fumo che non sei altro, l’hai mai visto un postino in vita tua?E allora muoviti, fa qualcosa!Quella è stata la piega: non potevo fare altro che essere il miglior postino del mondo per quel bambino!
E se poi sono uscita in cortile sotto la pioggia senza paura di bagnarmi e ho imparato a riconoscere le persone dal rumore dei tacchi in una stanzetta solitaria lo devo a quel postino. Provare a fare il meglio che puoi nelle condizioni che ti vengono date.
E quando, tutte strette in una penombra le mie colleghe urlano sorpresaaaa! Mi emoziona capire che nel tempo comune non abbiamo condiviso solo caffè ma esplorato davvero lo stesso foglio.
I miei fratelli dicono che sono idealista, mia madre che vivo emozioni strane, mio padre semplicemente prega.Il mio ragazzo mi dice che avrò qualcosa da raccontare ai miei figli.
C’era una volta un brutto anatroccolo che voleva diventare un cigno.
Anzi no, ho una storia migliore. C’era una volta un postino…
Che commozione questo post ;_;
Alda , non ho davvero parole…mi sei entrata nel cuore…sei davvero “GRANDE” non dimenticarlo mai. Oggi nel Nelson Mandela day rievoco questo suo grande pensiero: Quello che conta nella vita non è il semplice fatto che abbiamo vissuto. È il modo in cui abbiamo fatto la differenza nella vita degli altri a determinare il significato della vita. Tu hai fatto la differenza nella vita del CBDI!
grazie amica