Sicily
Unni lu tempu si fermàu
Sicily è un attimo che dura quattro giorni. Quattro giorni per diventare selvaggio e poi sfumare, come il profumo di Dolce e Gabbana, come la poesia di Quasimodo a Tindari, come lo zolfo di Vulcano che resta sulla pelle quarantottore.
Sicily è un quadro impressionista, un after tra Catania e le Eolie, una pennellata, col cervello che non macina, il cuore che non calcola e gli occhi che non si chiudono.
Mai.
Sicily è una granita, un arancino, capelli di mare, ricerca estenuante di un sasso a MonteGiove da lasciare poi lì, sul comodino.
Non attaccarsi a nulla, se non a stilemi dialettali e quattro risate, mare su quattro lati, vociare di primo mattino che si sgretola sul sole che picchia.
Sempre.
Sicily è Storia di una Capinera, un tuffo nel barocco, una risata che una maschera, una facciata che è dei Pupi, un salotto che è borbonico, una razza che è cugina, il regno delle due Sicilie, ma in Sicily tutte cose sono lente, ancora più lente, abbandonate, ancora più abbandonate, chiuse, ancora più chiuse, lasciate lì a corrodersi e a disidratarsi.
Sicily sono le reti dei pescatori di Aci Castello, col mare scuro che si increspa mentre i bambini giocano a pallone in piazza.
Non sai più se pensare a Verga o alle Sirene di Ulisse, ma Sicily ti cattura, ti ammalia, ti assuefa lentamente nelle immagini iperboliche delle candelore o nelle fantasie di una casa alle pendici dell’Etna.
Sicily, per staccarsi dal continente e dare, come dice Ligabue un colpo al cerchio ed un colpo all’anima. All’anima.
bello questo diario di viaggio! della mia esperienza siciliana ricordo gli infiniti cespugli di fichi d’india, che si aggrappavano ovunque, e la terra secca, spaccata.
Ah, e la maledetta medusa che mi toccò il braccio!
sono passato per un saluto e ti lascio questo pezzo, che al momento ascolto ossessivamente, forse perchè mi ricorda molto atmosfere degli anni ’80. Kiss
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