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30

Delle candeline e delle palle del tenente

30, nella smorfia napoletana, sono le palle del tenente. Si, proprio i testicoli e non sapete quante vote, a Natale, mentre giocavo a tombola, ho avuto davanti agli occhi la brutta immagine delle palle spelacchiate di quest’uomo in divisa.

30 sono i miei anni, festeggiati tre volte da brava ragazza viziata per cui  trentanni sono una data da prendere seriamente.

30 anche se sei cinquanta e cinquanta, la testa al Nord e il corpo a Sud e viceversa, in una spirale che fa girare la testa. Fluttuante, dicono. Il miglior aggettivo dei 30. I miei 30.

A 30 anni mi concedo di preferire il giorno alla notte e restare sempre incantata di fronte alla luna tonda attraversata dalle nuvole nere. Faccio incubi di scenari messianici, io salvatrice, lottatrice contro cani rabbiosi e mi calo uno scialatiello in pineta, in camicia, il fazzoletto al collo, la tavola imbandita e un’orchestra di frutti di mare veraci e frizzanti.

Faccio molti sentieri a 30 anni, salite in mezzo agli ulivi, colline d’asfalto, scalette di tufo stappando una tristezza gracchiante come un cerchione arrugginito e strappando la felicità a un panorama rubato alle crepe di un muro abbandonato.

Tanta roba i 30 anni, a guardare vecchie foto di quando sognavo di averli trent’anni e inseguire un raggio di luce in mezzo all’orizzonte.

Trovarsi a ridere e piangere nello stesso minuto, tra la follia dei venti e il disincanto dei quaranta. Trovarsi tra amici e vecchi compagni, con  bambini che spuntano dalle pance, confessioni tra i binari del treno, prosecchi in terrazza, a fissare la costa e i bei ragazzi che corrono sul lungomare con il pensiero che si appoggia, ma non pensa più a niente.

A 30 anni ti svegli sulla pioggia del mattino e scivoli nell’abbraccio della figlia ribelle che ancora sei sorridendo alla donna che ti accorgi di star inseguendo dentro di te. Da trentanni.