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Argeo

In un tamarindo affogherò risate amare

Se me lo avessero raccontato, caro il mio Argeo, che avrei cominciato così presto a scrivere coccodrilli per gli amici, mai ci avrei creduto. Mai.

E invece eccoci qua. Sono trascorsi sei mesi da Santo Stefano  e qualcosa che somigli ad una casa vera ce l’abbiamo.

Hai visto? Nun sugnu accussì scunchiuruta.

Ci sono i mobili, non solo tre lattine di vernice MaxMeyer sul pavimento. Gli scatoloni che si moltiplicano e “crescono” come la pasta Barilla sono scomparsi. Insomma, non è più lo scenario postbellico in cui hai deciso di tirarci il pacco. Perché non bastava il Natale ora et labora mio e di Nicola in un’atmosfera a metà tra una Betlemme naif e una Baghdad occupata, no! Tu il giorno di Natale dovevi proprio chiudere il sipario! Ovviamente perché potessimo ricordarne l’impatto per i prossimi cent’anni.

D’altronde cosa avremmo potuto mai aspettarci da uno che si fa chiamare ARGY LE BON?

Sei mesi.  Inutile provare a dimenticarti. Troppi anni, troppa vita, troppe cose.

Le cotolette impanate dal macellaio, le casse d’acqua nel bagagliaio dell’auto, la visita all’Albergo Diurno di Porta Venezia, i sacchi neri con le scarpe spaiate del tuo trasloco, guardare Milano attraverso una veranda, Catania, unni vinni maritata pe tia ca ti maritasti, dieci anni dopo.

Entri nei pensieri con lo stesso prepotente candore con cui distruggevi i cornicioni della pizza e salivi sul palcoscenico;  spiazzante e impavido,  condividendo senza filtri tutte le versioni di te.

In piedi, single, portiere d’hotel, in sedia a rotelle, sposato, trapiantato, in coma, a tempo indeterminato, dializzato,  miracolato, innamorato, amareggiato, innamorato.

L’andatura lenta, il borsello, il cappello e le scarpe jazz.

Alduccia ti piacciono? Sono artigianali, disegnate apposta per me.

Hai spolpato la vita come un osso, almeno quanto lei ha spolpato te, Argeo. Non hai perso, al massimo è finita in pareggio.

E cosa vuoi che sia salire sul palco, dimenticare una battuta, fissare il vuoto e poi, sorridere. Provarci sempre, arrendersi mai. In scena fino alla fine, le gambe per conto loro, le orecchie pure, ma il cuore, anche quando eri più fragile non ti ha mentito mai.

Ciao Argeo: affettuoso, seduttore, tentacolare, galante, istrionico, bizzarro, dilagante, pragmatico, irascibile Argeo.

Desueto come i mobili antichi, puntuale come un dandy britannico, incompreso come le persone perbene, inguaribile bevitore di Coca Cola, paladino del posto fisso. Onnipresente, intelligentissimo. Je pe me, tu pe te. 

Avventuriero, cacciatore di anime, aggregatore di umanità, un cane da tartufo che punta e non molla. Un tipo strano, per alcuni.

Un amico d’onore. Questo era Argeo per me.

Oggi è il 5 luglio, è il tuo compleanno.

E allora, caro il mio Argeo, dopo le piscine sull’Adda e le campagne di Fiorenzuola, festeggiamo pure quest’anno.

E poi ci incontreremo come le stars a bere del whiskey al Roxy Bar. (Pensa quanto bene ti voglio per dedicarti Vasco).

I ricordi della nostra Sicily, del tamarindo chiosco, della vita spericolata, sono ormai passati. E’ tempo di voltare pagina: voglio una vita, vedrai che vita vedrai, uh.