Quel che resta del.
E poi, tutta presa a fare avanti e dietro dal bagno, in preda a quelle diarree del viaggiatore, che poi sono solo diarree normali delle ragazze che si abbuffano, del Marocco non ho più scritto.
E allora raccolgo quel resta attaccato addosso, compreso l’olio di argan che puzza di noccioline e di cacca di pecorella. Ma ormai nella mia doccia ci sono solo prodotti arabi: due guanti di crine che scippano la pelle come solo una chiatta matrona araba saprebbe. Il savon noir, sapone nero, da spalmare prima e dopo il gommage e il Gasshoul, un composto d’argilla a forma di polpetta da usare al posto dello shampoo.
Mancano solo quella decina di secchi d’acqua bollente che ti buttano addosso tra i vapori fino a che tu dici stop stop madame non riesco a respirare e le urla dei bambini.
Ragazze, l’hammam, quello pubblico, dove la gente va a lavarsi è tutt’altro che un’esperienza rilassante, almeno per quelle turiste occidentali che senza sapere l’arabo vogliono fare a tutti i costi quello che fanno le donne del posto. Però c’è tutto: per 10 dirham ti puoi comprare una mutanda nuova e un rasoio bic.
I capelli, sotto il foulard, si asciugheranno da soli. Inshallah. Sempre se Dio vuole, come tutte le cose che si fanno là.
Io i viaggi non li so raccontare. E mostrare le foto del viaggio tentando di spiegare, una violenza. Devi farmi vedere le foto del Marocco. Sorrido. E aspetto una grigia mattina di Novembre per ritrovare l’atmosfera di patii e tappeti e colori e colazioni luuunghe e caos di città e deserti sconfinati.
E allora raccolgo quel che resta, ora per davvero.
La puzza della pelle nelle concerie di Fez e il dedalo della medina in cui perdersi e farsi male. Cediamo alle false guide, ma anche quello fa parte del gioco. Il caffè più buono della vita. I francesi comprano le vecchie ville a poco prezzo che diventano splendidi rihad, prigioni dorate per coppie gay occidentali che vengono a fare del sesso esotico di lusso scandito dalla voce del muezzin المؤذن للصلاة incaricato di chiamare dal minareto cinque volte al giorno i fedeli per la preghiera. E il tripudio di voci e canti, in trecento moschee, alla stessa ora di giorno e notte, come dico sempre, me lo tatuo sul cuore. E poi da lì, non so come mi ritrovo a ballare a piedi nudi nel Sahara insieme a Majhid, nostra guida e nostro amico, marocchino che ce l’ha fatta ma senza il passaporto. Paradossi. Majhid, da gigolò per Milf svizzere ad autista per una nota compagnia di viaggi svizzera. Il riscatto dell’ex cammelliere che vive con undici fratelli, segnato da un matrimonio combinato, divorziato e che dorme sulle dune pure se ha l’albergo pagato. Perché io nel deserto no pensare, no rumore, niente. Pace. Come per voi mare, ma di più.
Facciamo tutto. Da turisti e non. Perché il confine è sottile e non ci sarà dato capirlo mai. Mai.
Il tè sotto la tenda dei nomadi, il giro sul dromedario, vediamo le donne sui muli e gli uomini seduti sul marciapiede a fissare la strada, i vestiti stesi sulle rocce, le persone che vanno in vacanza e anziché stendere l’asciugamano spiegano i tappeti sul fiume, le turiste con i capezzoli che si intravedono dalla maglietta bagnata per arrapare i maschi e indispettire i vecchi, i bambini poveri che corrono scalzi dietro un autobus di turisti, gli uomini in gonnella, le donne ricche e bellissime di Casablanca, le donne nere e invisibili dei villaggi. Facciamo trattative su tutto e ovviamente comprerò un tappeto che ritroverò a meno più avanti. Finalmente. Un posto senza turisti dove mangiano con le mani sul tavolo senza neanche i piatti. Finalmente. Finalmente mi libero dalle mie prigioni dorate e dai servitori dei rihad di lusso che ad ogni portata e asciugamano pulita mi sento male per loro. Mi perdo nei vicoli colorati di Essaouira e preferisco questa Grecia esotica un po’ puzzolente con tanti mercati e le donne vestite in spiaggia. Questo è l’apice del viaggio con tante confidenze e una ceretta molto artigianale. Compriamo cose per sembrare un po’ arabe pure noi mentre loro venderebbero mamma e padre per una nostra collana. Compriamo cose per i nostri uomini, qui scopro e capisco e sento di averne uno.
E poi Marrakesh. Spaccanapoli al cubo, con le botteghe che non dormono mai e gli uomini che si fanno la barba a mezzanotte. Mi confortano i modi diversi di di vivere il mondo. Adoro il profumo del muschio e dell’ambra, quelle centinaia migliaia di spezie del suq e le puzze del cibo in strada. Quel commercio secolare e insieme improvvisato mi rapisce.
E chi lo sa se quando eravamo affacciate alla terrazza che dà sulla piazza di Jāmiʿ el-Fnā, uno di quegli spettacoli che gli occhi non bastano, chi lo sa se Simona B. se lo sentiva già che di lì a qualche mese, ci avrebbe invitate per un tè alla menta per dirci che sarebbe diventata madre.