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Il coinquilino

Storia di una convivenza extra ordinaria

Di coinquilini nella mia vita ne ho avuti 9. Sei tutti in una botta, quando ero una ragazza internazionale che viveva in uno studentato di Helsinki. Poi mi sono fatta due mesi a scrocco da una chicchissima aristocratica napoletana e poi tre mesi a pagamento con due studentesse che quando tornavano da ballare, io mi alzavo per andare a lavoro da un divano letto che si apriva in mezzo, prima di approdare, come Cast Away, qui.

Poi, è arrivato lui, il coinquilino.

Bello, occhio tagliato, mediterraneo. Quello che con una parola odiosa si definirebbe: solare. Una lampada ogni tanto, la bici da città, il gonfiatore, il pallone da basket. Tutte suppellettili accumulate in tre giorni, il tempo che un monolocale di 33 m2 si trasformi in uno stanzone da 15, full of Reyban multicolor, cuffie giganti, aggeggi tecnologici e ovviamente uno stendino open air di quelli che usano negli show room.

Non è giusto! Dovrebbe darti  una scifra simbolicà!– sbotta la mia collega francese in pausa pranzo, davanti a quei piatti finto orientali che a Milano abbuffano di dado Star.

Già. Ho trascurato un piccolo dettaglio: il coinquilino è a scrocco!

Io bonariamente lo chiamo avvoltoio, così, ogni tanto, per non far vedere che sono totalmente alla sua mercè. Lui allora, preso da uno sbiadito senso di colpa, porta su una cassa d’acqua e mi prepara il caccaviello per la pausa pranzo, quando decido che la francese e le mamme in generale mi mettono ansia e mi ritiro nel mio ramadan solitario tra i barboni di Parco Sempione.

Il coinquilino si accaparra il mio letto che da matrimoniale diventa singolo, ascolta la musica a tutte le ore, fa due docce al giorno con getto d’acqua caldissima e io pago, usa il pc di notte, o meglio, vorrebbe se un mio diktat non avesse imposto lo spegnimento di tutte le luci e la sospensione di tutti i rumori a mezzanotte.

Il coinquilino però è uno di quelli a cui non puoi dire di no. Ride se ti incazzi, ti abbraccia se urli e ti riempie di pizzicotti mentre cucini. E’ uno di quelli con cui, torto o ragione, passerai sempre per l’isterica della situazione e lui per il light, fresco, giovane, io guardo la vita con ottimismo sei tu ad essere pesante. Che un po’ è pure vero.

Ieri con il coinquilino ci siamo scolati una bottiglia di vino guardandoci negli occhi e parlando dei massimi sistemi ed io ero come al solito rapita della sua filosofia di vita, per così dire, essenziale. Gli ho dato le ultime due valige perché ora viene da me solo un weekend ogni tanto e sentendo il rumore metallico dell’ascensore che si allontanava ho capito che può darsi che io non sappia cosa dico, scegliendo te – un fratello– per amico.

La Carla

Quando una rosa vale più del Pinguino

La Carla ha settant’anni, è la mia padrona di casa e ogni tanto mi riceve in kimono.

E’ stata la prima traduttrice italiana di non so quale scrittrice inglese, cosa di cui va molto fiera e che mi ripete ogni volta che vado a pagare l’affitto.

Ma le interazioni tra me e La Carla, per quanto rade, non si esauriscono in un assegno mensile.

La Carla mi scrive. E abita nella scala affianco.

Mi scrive lettere e sms per dirmi che non è in casa. “Siamo+ al+ mare+saluti+carla.” La Carla ha un problema la funzione spazio del cellulare, nonostante in una session d’affitto le abbia mostrato più e più volte che non deve premere + ma 0. Nulla da fare. E’ troppo presa dalle sue piante, dalla collezione di cavallucci a dondolo, dal decoupage, dalle canzoni di John Lennon che lei ciclicamente stampa e attacca sulla porta d’ingresso, lato esterno, che tutti possano vedere.

E soprattutto, è troppo presa a raccontarmi dell’ansia e agliagliai, quanto fa male la ferita in petto, non guarisce, i medici sono stati bravi, ma con questo lungo inverno a Milano, poi, figuriamoci.

La Carla mi regala. Regali sul pianerottolo, che trovo così, all’improvviso, come l’arcobaleno dopo la pioggia, come una strana sostanza di cui l’emigrante ha ricordo e che dovrebbe chiamarsi qualcosa come calore umano.

Regali alla Carla, per intenderci. Candele e fiammiferi se manca la luce, servizi di piatti spaiati, presine fiorate e un memorabile maglione xxl con cuori scozzesi, perle e papere che ha dato il via ad un lungo e tacito scambio reciproco di regali riciclati.

La Carla lascia davanti alla mia porta le rose d’inverno e le mimose a primavera, anzi il 15 marzo e sul biglietto rilancia “ Cara A. un po’ in ritardo dopo l’8 marzo!! Auguri!! Ciao Carla”,

La Carla mi accompagna sempre all’ascensore e sembra che mi vuole bene, ma se le chiedo di comprarmi il condizionatore perché sul tetto d’estate ci sono 50 gradi, la Carla nicchia.

“Non trovi che Immagine sia la canzone più bella del mondo? Io sono atea, ma a Lennon ci credo”.