La solitudine del TSM
TSM: Time Slot Manager
Il 2010 finisce con un addio alla redazione deserta.
E’ mezzanotte, il neon è acceso e i capi non ci sono.
Ma, già, è domenica, fuori nevica una neve a palline piccole e fitte e io, rompendo il sacro rituale della domenica, non sono venuta in tuta.
Baci, abbracci, un bicchiere di vino “on air”, anche se non si potrebbe. Voglia di lavorare saltami addosso, ma si sacrifica l’ultimo brandello di adrenalina. In regia manca l’aria, ma ormai siamo abituati a respirarci, riderci e piangerci addosso. A lamentarci, tra un jingle e una macchia, tra un tappeto e un rullo. Ad abbracciarci. Quanto ci siamo abbracciati quest’anno.
A pisciare nei tre minuti di pausa pubblicitaria.
A ordinare e mangiare in 40 minuti. A vivere al neon. Ad avere uno stile pop, smart, glam, ciovane, molto milaneese. A spostare quinte, a cercare sempre quell’ennesima idea che non viene più.
A guadagnarci il grano, perché quelli come noi non si possono mai distrarre.
Lo diceva la mia collega rock and roll: la solitudine del Time Slot Manager. Ma chiamiamolo autore di giochi, se no chi ci capisce. Abbiamo macinato quattordici ore di diretta. Che quando sono diventate sei, talmente che eravamo in simbiosi col vocabolario, ci siamo sentiti quasi in colpa di poterci fare il tè in cucina e scambiare qualche parola tra di noi in area break.
Penso tutto questo mentre mi aggiro nel silenzio e raccatto quelle quattro cose che ho portato: mi rendo conto che sulla scrivania non ho mai avuto il tempo nemmeno di portarci un pupazzetto.
Strano per me sentire le mie emozioni implodere. Gli altri mi sembrano tutti esagitati per questo saluto a tempo determinato.
A ralenti, con la stessa leggerezza di una colonna dorica, mi avvio verso l’uscita.
Qualche ultimo tormentone isterico che ci ha fatto molto divertire e via.
Le auto sgommano sul ghiaccio che si sta sciogliendo.
Che freddo che fa.

Al mio paese un Long island non è un cocktail imbevibile che ti fa ubriacare assai ma una folle circumnavigazione delle isole del Golfo di Napoli, un rave tra le onde Iced Tea.
Merincontria e il suo nutrito staff si scusano per discromie, discopatie, disturbi della vista, condilomi e sindromi isofagee. Il blog ha bisogno di una ceretta, un pedicure, un consolador e di mettere un poco mano all’html. Ma poco poco però, perchè l’html ti mangia se lo "sfrogolei" (stuzzichi) troppo. Merincontraria non è pronta per Milano, figuriamoci per WordPress. Detto ciò conclude dicendo che il progresso è nel duro lavoro. Progress in Work. Alla faccia della Santanchè.