Trilogia della villeggiatura

 

 

Atto primo. Io arsi.

 

Mi è sembrato tutto il tempo che non ci fosse acme, ma una tensione sottile mi è rimasta tutta la sera, la notte e un giorno ancora. La nevrosi della commedia dell’arte con i colori del glicine e della cipria ed una pulizia polverosa che riconosco sempre in lui e nella sua ragnatela. Teatro di bravure e di meriti ma basta dire teatro. Un’iniezione di fiducia per una venticinquenne idealista.

 

A seguire,  catarsi.

 

Andare in villeggiatura restando aggrappati al davanzale.  Sentire i volti, ogni singola ruga, il fruscio dei vestiti, l’ostacolo ai movimenti, il luccichio delle scarpe dal buco del culo. Perché il loggione è il buco del culo di un teatro e io vorrei fare il volo dell’angelo ma desisto. Sbatterei contro il soffitto. Faccio come Giacinta, copro  occhi e anima con un cappello di paglia: ascolto le cicale, i suoni me li faccio bastare. Se tutto è finzione, Goldoni come Servillo, oggi come allora,  imbrigliati in calcoli che sembrano desideri,  io sono l’ultima fila di un teatro del settecento. Sono il pubblico delle tazze vuote e dei bustini troppo attillati, delle scene geometriche e del mal di schiena.  Ma le voci… Fremo! Il diaframma incalza il punto di fine frase e tutto il resto è fiato. Voglio sedermi sullo sgabello a gambe incrociate con la stessa grazia di Eva Cambiale.

Tutti facciamo le valigie per andare in vacanza da noi stessi e consegnarci all’afa dell’altrove. Tutti rinunciamo ad essere e giochiamo a nascondino nei boschi delle emozioni. E se qualcuno ama e dice la verità, come Tonino, gli altri lo chiamano scemo.

 

Sul finire poiesi e piansi.

 

Finale asciutto e applausi. Braviiiiiii: il mio urlo dal buco del culo. Un signore inciampa in prima fila perchè non può aspettare neanche la seconda chiamata per andarsene, ma forse non è il Padreterno che è grande, magari lui vuole solo telefonare a casa  per chiedere come si gioca a rubamazzetto. Lettura a sorpresa dell’Imputata di Eduardo. Servillo non è più Ferdinando, ma Toni, occhi grandi, Napoli, befana, munnezza, cultura, sassi e ringrazia. Lui a noi. E’ veramente troppo per il mio povero cuore. Le sinapsi resteranno menomate per sempre.

 

Napoli, Teatro Mercadante, 6/01/2008

 

8 comments

  1. francescobis

    non l’ho visto. Non posso dirti niente. Ma su Toni Servillo ho delle riserve…come su Roberto Saviano: non riesco a digerire i bravi di…regime.

  2. merincontraria

    @ombrettina: esagerata!:)

    @lablondette:iperbolica!!!;)

    @francescobis: in che senso di regime? Su Saviano potrei alla lontana darti ragione… Ma non capisco Servillo…E’ un intellettuale serio, motivato, abbastanza svincolato dai meccanismi televisivi, con una compagnia teatrale composta quasi sempre dagli stessi elementi (bravi)… Non lasciarmi con dubbio!

  3. anonimo

    io direi: recensione ispirata!E capisco l’ispirazione!

    Non so se Servillo o Saviano siano di regime ma questo spettacolo non lo era (se ho capito il significato della definizione); anzi direi piuttosto anticonvenzionale, e in maniera intelligente, perchè comprensibile senza essere per questo commerciale o popolare; insomma efficace!E, SOPRATTUTTO, con degli attori superbi, com’è difficile trovare nei teatri o altrove oggi!E questo fa bene all’anima di una ormai ventiseienne esteta ed idealista!;-)

    bambina prodigio

  4. anonimo

    troppo lungo! con un servillo stranamente prolisso…

    @francescobis: forse di regime è chi fa ciò che ci si aspetta che faccia? c.

  5. merincontraria

    @bambina prodigio:bah,direi più ispirata che recensione…Magari esistesse un giornale che pubblicasse simil puttanate! E comunque concordo pienamente con quello che hai scritto anche se l’anticonvenzionale per me in questo caso è RENDERE UN’IDEA DI IERI COL SENTIRE DI OGGI. buoni 26.

    @c. Prolisso? In che senso? La parte di Ferdinando dovrebbe in teoria essere secondaria ma diventa primaria per la magistrale e originale interpretazione. Lungo si. Sul finire del terzo atto diventava un pò pesante, ma può darsi fosse un effetto-loggione.

  6. UntoBisunto

    Si, è il problema gerarchico che fa la differenza….pare incredibile che a Roma gente come Antonio Rezza fatichi a trovare un teatro dove esibirsi….chissà

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