Category: Insalata mista

Zio Fetentone

Ti lascio andare e ti blocco per sempre. In questo diario congelato e nelle mie orecchie in cui sento la tua voce squillante, le frasi ripetitive e quel tono assertivo di chi si è fatto da solo e la paura non la conosce più.

Aldo Papilettico. Così ti prendevano in giro i compagni di scuola per quelle convulsioni improvvise e incontrollabili, deridendoti, accerchiandoti e poi lasciandoti fuori dal gruppo. Solo. E tu, che avevi sete di vita, hai chiuso tutto quel dolore in uno zaino per diventare uomo in giro per il mondo. Lontano dai bulli, dai medici e dai cocktail di farmaci. Io i barbiturici non li ho mai presi, mi raccontavi, mi facevano addormentare e io volevo stare sveglio, capisci? Barcellona, Stoccolma, Russia, India! Dormendo nei fienili e girando in autostop, con la pancia vuota e l’anima piena.

Da che io mi ricordi sei sempre stato lì, sospeso tra i tuoi racconti e il balcone con l’affaccio a mare, eppure racchiuderti non è facile, mi scappi dal foglio. Ti trovo nella mano del mio primo cartone animato al cinema, una domenica pomeriggio. Ti incontro al mercatino dell’usato, con la lente d’ ingrandimento, la penna nel taschino e il coltellino svizzero. Ti guardo che ti incazzi un’estate, mentre perdi a carte contro il mio fidanzato e metti il broncio tutta la mattina. Ti saluto dal balcone, tu col giubbotto giallo, porti un bambino in spalla, per la mia festa di compleanno. Ti becco a psicoanalizzare gli sconosciuti, mentre passeggi. Ti osservo mentre accompagni sorridente quattro bambini scalmanati al fiume. Ti assecondo mentre mi mostri compiaciuto la tua marmellata di arance. Ti rincorro nella memoria sbarbato, elegante, signorile, forbito, seppur autodidatta. Sempre felice di vedermi.

Vedo una moto che sfreccia, una moglie innamorata, due figli, due nuore, un violino suonato in occasioni pubbliche e private. Hai divorato enciclopedie mediche, setacciato il tuo corpo centimetro per centimetro addomesticandolo come un cavallo imbizzarrito. Hai letto, hai amato, hai vissuto tanta vita (non abbastanza). Hai vinto. E contro quell’ignoranza che ti voleva imprigionare come un baco nel bozzolo, hai alzato la voce, e sei uscito pure su tutti i giornali. La battaglia ambientalista contro il disboscamento di sequoie secolari ha annichilito il Papilettico. Signor Aldo, semmai.

E bravo Zio Fetentone, che oggi mi ha fatto andare storto il caffè e l’ultimo sole di ottobre. Non voglio sapere che è successo di preciso. Ma se dove sei adesso dovesse venirti qualche dubbio incertezza, non chiederlo alla tua enciclopedia, tu chiedilo a Tina.

La mano di Claudio

L’ Amore è un’altra cosa

Oggi mi sono innamorata.

Oggi ho conosciuto Giada. Nel senso che l’ho vista, collegata al videoproiettore attraverso una telecamera.

Giada ha sette anni e non riesce a tenere su la testa. E’ difficile farsi guardare negli occhi da Giada.

Paralisi cerebrale ed epilessia. Totale assenza di parole.

Suoni e gesti e una vivacità che tocchi. Tagli nell’aria tutto quello che sta capendo. Tutto. E tutta la necessità di un metodo per comunicarsi. Un sistema urgente, da distillare con dolcezza. E una bellezza disarmante, stridente con quella schiena molle e il collo che va su e giù.

C’è così tanto Giada che nel buio mi escono due lacrime. Quelle lacrime calde che una mia amica chiama “di senso” e chissenefrega del rossetto rosso, colletti e cotillon sul luogo di lavoro.

Ma non è Giada a farmi…Traboccare. E’ quella mano. La mano arrossata di quell’uomo schivo. Mi pare che si chiama Claudio. La mano di Claudio. Che non stringe forte la mano della mamma di Giada perché è il papà di Giada. No. Non lo è. Stanno insieme da appena un anno.

Stringe forte la mano della mamma di Giada perché la ama. E ama Giada. Così com’è.

Come si fa ad “esserci” così?

Potrebbe raccontarci  Claudio. Di come passa il weekend a correre con Giada in carrozzina sulle colline venete. Potrebbe dirci come sia riuscito a spingere la mamma di Giada fuori dalle mura di casa e di dolore.

E invece non dice nulla. Tutto in quella mano. Che non si stacca e io non mi stacco. E non si stacca nessuno. Dall’ inizio alla fine. Solo quella mano.

Mano intimidita, mano speranzosa, mano accorata, mano screpolata, sudata, mano di chi sta davanti a una telecamera, mano illuminata, mano che cerca una risposta, mano che chiede aiuto senza alzare la voce.

Mano che meno che mai svuotò le parole.

Mano che mostra cos’è l’Amore.

Mano che oggi Grazie a Dio l’ho vista e l’ho visto. Come può essere. Come deve essere. Un’altra cosa.

Tu dimmi se ci credi a quello che non vedi!Eppure…Resta che una parte del cuore sarà sempre sospesa, senza fare rumore come fosse in attesa di quel raggio di sole…

Milano due bis

Il buon profumo della pioggia

Questa Milano due bis inizia come le spose. Bagnata. Bagnata e fortunata. Perché devo pensare cosa mettermi la mattina. Tutte le mattine. E lo so che tra qualche mese rimpiangerò le tazze di caffè sul terrazzino di fronte al mare e la polpa dei pomodori che sembrano tartare di carne, ma ora mi sento nel pieno di una seconda occasione. Mi sento come se qualcuno – qualcuno molto in alto- avesse premuto il tasto stop sul film della mia vita e play dopo otto mesi. Esattamente nello stesso punto.

E comincia fortunata perché qualcuno – molto in basso, molto raggiungibile – per me si è fatto venire i mal di testa. Qualcuno che ha creduto in me e ha visto lontano fino a dove io non avrei mai osato neanche guardare. Qualcuno che mi ha acchiappato per i capelli scippandomi la testa fuori dall’acqua quando iniziavo a credere che l’apnea fosse la mia condizione e un giorno tutto questo dolore ti sarà utile e bla bla bla.

E invece no. L’apnea non è affatto la mia condizione.

I colori, le cose arzigogolate, gli zuccheri semplici e le emozioni complesse. Queste sono cose… Mie.

E mentre a Giugno mettevo gli scatoloni in garage chiedendomi dove sarebbero andate a finire quelle pentole, immaginandomi al massimo una casa fatiscente a Spaccanapoli, mai avrei scommesso su questa Milano due bis.

D’altronde ce l’eravamo detto, questa è la città dell’amicizia, non dell’amore. E invece.

E invece quando sotto il contratto trovo il simbolo che i bambini autistici usano per indicare la felicità nel loro mondo in cui tutto si tocca, allora sento nella pioggia un profumo di buono.

Me lo attacco come un fiore all’occhiello, come il simbolo di una nuova stagione in cui, con una doppia mano sulla testa, non ho più bisogno di ombrelli.

Ironic

E del fallimento delle giornate perfette

Nella mia giornata perfetta il treno salta e devo correre da Sorrento a Napoli come una pazza, con la seicento che sbanda ad ogni curva e mio fratello in preda all’ansia che perdo un’altra volta il treno per Milano.

Tu non ti anticipi mai.

Nella mia giornata perfetta faccio gli scherzi telefonici e Mi Vendo!Un’altra identità, come Renato Zero.

Milano?! Tanto pathos, tanto melodramma e stai di nuovo là.

Mi sembra di aver ritrovato la voglia di giocare nella mia giornata perfetta.

Nella mia giornata perfetta ceno con un gelato alle sei tutta la notte ho i crampi allo stomaco per la fame e i brividi di freddo.

L’avete mai provato il freddo dentro? Il freddo di quando non fa freddo. Il freddo che ti fa arrotolare nella coperta pure se fa caldo.

Nella mia giornata perfetta bevo prosecco a stomaco vuoto.

Mi trucco da zingara nella mia giornata perfetta e mi comporto da algida. Faccio frusciare il vestito e lascio la scia di profumo.

Ma io non sono così.

Io non sono fatta per le giornate perfette. Non esco da un film di Fellini degli anni ‘50, non chiamo il taxi come le ragazze della City.

Io non sono un Che bel fiore!

Nelle giornate perfette indosso la Maschera di Ferro e fuggo più che mai dal calore umano, dalle parole gentili e dagli sguardi languidi. Divento granitica.

E mi odio per questo.

Allora meglio le giornate ironiche, con i pavoni che ti aprono la coda sullo sfondo di un laghetto artificiale e due lacrime che piovono su un colloquio andato al vento.

Qualunque cosa sia accaduta passerà. Mi dice lo sconosciuto al semaforo.

Meglio le giornata ironiche. Almeno sono più vere.

Le giornate ironiche partono già imperfette, non si leggono come segni del destino e congiunture astrali. Non ti sballottano tra due vite che non ne apparano una e non si caricano di aspettativa.

Si vivono e basta. Accadono e basta.

Meglio le giornate ironiche. Almeno sono più vere. Sono più me.

Tu sei molto di più di tutto quello che sta nelle categorie junior e senior, ricordatelo sempre.

Io sono la forza delle mie iperbole. Grazie. Me lo ricorderò.

Santo sia Valentino!

Storia di due cornetti mai sfor|nati

Se ieri mattina il mio ragazzo mi avesse svegliato con due croissant caldi di forno sussurrando: buon San Valentino amore, allora forse non sarei dovuta ricorrere a tutta la potenza di Milano quando ti metti in testa “stasera voglio davvero fare qualcosa, esco”.

Perché io di questa città dico peste e corna, ma quando vuoi fare davvero qualcosa e ti impegni a stare sul pezzo per le 18.45, allora devo ammetterlo, Milano è proprio una città imbattibile e può regalarti grandi soddisfazioni.

STEP 1 – HAPPY HOUR WITH LOVE

Ancora una coda di saldi e via con l’aperitivo. La panetteria adibita a,non ci va, ci lanciamo su un localino spagnoleggiante con buffet modesto ma ambiente relax. Io e la mia amica finiamo in un tavolo da quattro con una simpatica coppia in cui lei ha portato una rosa a lui e lui a lei niente (è proprio vero che i tempi sono cambiati). All’idea di dividere il tavolo con una non-coppia o coppia lesbica, i due si fanno una gran risata e lei si limita solo a dire: questo San Valentino è iniziato proprio strano. Olè! Vamonos! Salute companeros!

STEP 2- PIT STOP AL BAR PICCHIO

Decidiamo di fare un saluto a Carmen, la simpatica coetanea, precaria, ex praticante, figlia dei gestori del Bar Picchio di Via Melzo, una tabaccheria che fa anche l’aperitivo, un posto che si è fermato nell’arredamento agli anni ’60 e dove vigono solo due regole: disordine e simpatia. Carmen ci offre una mozzarella in carrozza appena sfornata da mammà anche se non volete consumare e ci mostra orgogliosa le recensioni sul locale mentre il papà rovescia le patatine sulle schedine del fantacalcio. Felix il fratello fa il faraone tra le coppie radical che hanno deciso di festeggiare Valentino con uno sprits+ pasta al sugo a 3 euro  e gli avventori si susseguono caoticamente al bancone per ordinare due gocce di flemma decadente: (Carmen) vi chiedo di pagare prima se no ci dimentichiamo!

IT’S THE FINAL COUNTDOWN- PALAZZO PIRELLI

E vuoi che ci facevamo sfuggire la possibilità offerta dal comune di Milano di salire GRATIS per San Valentino sulla terrazzo di Palazzo Pirelli? Eccoci al 39esimo piano, non senza qualche vertigine e ansia da speedy ascensore, ad ammirare il panorama postmoderno di Milano imbiancata, dalla stessa altezza di Oh mia bella Madunina. Le coppie limonano e il piano bar canta, ma io mi sento proprio realizzata di fronte alle lucine, le geometrie dei palazzi e le guglie in lontananza. E’ mezzanotte, mi sento realizzata di fronte alle pareti a specchio e non sono a Berlino.

Menomale che quei cornetti non sono mai arrivati.

Ospite

Non è un post dedicato all’asciugamanina per il bidet, ma oggi sono ospite qui atteggiandomi a parlare di viveur e bien vivre. Come se ne sapessi qualcosa.

Comunque se volete leggere, leggete subito perchè l’ospite dopo 3 giorni puzza (pure dopo uno, se non frizionate adeguatamente il pelo pubico e vi fate una spruzzatina di talco).

29

Chi ha il durone la vince.

A ventinove anni si arriva in ritardo su tutto, anche al post del proprio compleanno. L’erba devo cresce sull’erba voglio.  Le amiche son dappertutto: sull’isola, ad Albione, in altri continenti. Sul cuore si passa l’antiruggine due volte al dì e pedala pedala, ti abitui allo scricchiolio sognando prima o poi le mani via dal manubrio. L’arte resta la cosa più bella, ma biecamente non si corre a votare perché, ahimè, non ci si crede più. Vergogna!  A ventinove anni. L’estetica del sacrificio diventa un impegno ingombrante. Via libera alle zanzariere, al guardaroba, all’aspirapolvere, al ripostiglio, al divano, all’orticello. Su Facebook e l’aria condizionata la Suprema Corte non si pronuncia. Rinvio a giudizio anche sul look. Si pensa troppo e il venerdì sera ci si sfalda come l’intonaco. Si viaggia nel letto, con migliaia di sogni affollati nelle ultime ore di sonno. La sveglia è un optional, ci si affida al buon senso, alla portinaia, alle cornacchie sui tetti, alla sciabordare delle lavandare, all’allarme del vicino, alle tende della signora affianco. A 29 anni si scopre Gino Paoli, il jazz e  che un monolocale diventa una doppia con la stessa velocità in cui si monta a neve il bianco. L’arte resta la cosa più bella e guardare le stelle con la brezza marina che fa calar le palpebre. A  ventinove anni quoto  il migliore Margarita della mia vita e il mio primo durone because ladies and gentlemen, the winner is.

The Machine

Apologia di Isabella Summers e di tutti quelli che arrivano secondi.

Jem e le Misfits

 

Sarà un gene crocerossino dominante, ma fin da piccola, sono sempre stata affascinata dai personaggi minori, gli alter ego, i secondi, le cosiddette “spalle”.

Quando guardavo Beverly Hills, tutte andavano per Brenda o Kelly. A me piaceva Donna, bruttina ma con una personalità da fashion victim irresistibile (finchè non ho scoperto che era la figlia del produttore Aron Spelling nonchè tutta rifatta).

E così via.

Ho sempre preferito Lisa a Renzi la Strega, Madame Butterfly a Jenni la Tennista, Martin Gore a Dave Gahan, le Misfits a Jem e le Hologram.

Ho difeso strenuamente la senape contro la maionese e il ketchup, il Chinotto contro Coca e Pepsi  e ho rivendicato più volte la dignità della cioccolata bigusto al cospetto di sua Maestà La Nutella (sono due cose così diverse!).

Ebbene, tutto questo per dire che ieri, al concerto di  Florence and the Machine, io non ho potuto distogliere gli occhi dalla “macchina”, The Machine,  Isabella Summers

Florence è pancia, è forza vitale,  voce di è eco cavernoso, sacerdotessa hippy del tempio di Stonehenge, ma in pallore e magrezza sempre più ricercata.

Florence è circense, look evocativo, quasi artefatta.

Isabella, è sobria, concentrata, sciatta nel suo vestito di pizzo e nel toupè improvvisato, accenna un sorriso e dà spazio a Florence senza alzare la testa dai tasti neanche quando l’amica frontwoman fa per accompagnarla.

Isabella è la macchina, è la basa su cui Florence poggia il suo arzigogolio and it works.

Eccome se funziona.

Merincontraria.it

Niente lacrime. Ma lo dico a me, non a voi che mi avete seguita e stimolata spot o nel lungo periodo di questo blog. Ma io trasloco. Trasloco su www.merincontraria.it per volere della mia mentoressa drinkpop, che è lei che mi ha creato, lei che mi ha voluto su splinder, lei che a Natale mi ha regalato una piattaforma wordpress- perchè vuoi mettere come è più bello un biglietto da visita con merincontraria.it?- lei che me la metterà a posto perchè io con i template sono negata.

Mamma: che cosa ti ha regalato Camilla a Natale?
Merin: un sito.
Mamma: un sito?
Merin: già.
Mamma: e che ci fai tu con un sito?
Merin: un blog, mamma io ho un blog, da tre anni.
Mamma ( strabuzzando gli occhi): Camilla è proprio una ragazza intelligente.

D’altronde sto solo cambiando casa e ci metteremo un pochino ad abituarci all’odore di intonaco e agli scatoloni sul pavimento.
Ma la chaise longue muccata la porto con me, così ogni volta che vorrete un nuovo patè d’animo, saprete dove accomodarvi. Grazie!

www.merincontraria.it

 


The Reader

Accanto a Fahrenheit 451, Jules&Jim, Closer, Revolutionary Road, inserisco anche questo film nella mia videoteca immaginaria di film preferiti che porteresti sulla luna. Perchè mi sono sempre chiesta come avrei percepito il mondo se non avessi saputo leggere. Colori? Segni? Avrei firmato con una x come facevano i contadini? Come si vive senza sapere nè leggere nè scrivere?Si vive senza scindere, chissà com’è. So bene però cosa  significat quando qualcuno legge per te. Legge per te la radio, un attore sul palco, ti hanno letto una favola, tu non la ricordi la favola, ma l’emozione della voce si. Guardatelo e poi alla fine chiudete gli occhi e fate leggere la musica della colonna sonora. Kate Winslet migliore attrice del 2009 ma a me già piaceva nel nudo di Titanic quando non sapeva ancora di essere così brava.