My Funny Valentine…

Tutto quello da non fare  il giorno della festa degli innamorati

Mai dire di essere contro la festa degli innamorati. Mai. Mai andare a cena la sera prima della  ricorrenza per evitare il menù all inclusive in ristoranti col piano bar affollati da coppie che non ridono e si scambiano il cuore a metà. Mai andare a Ikea il giorno della festa degli innamorati, fingendo che sia un giorno “normale” in cui fare acquisti “normali”. Per di più nel non luogo per antonomasia: il centro commerciale.

Ecco cosa subisce chi sabota la festa di  San Valentino (che, non dimentichiamolo, resta pur sempre un santo coi superpoteri):

non trova una stazione radio in cui non si parli di corna

sbaglia tre volte strada finendo nel traffico da rientro e nelle tangenziali cattive di Milano sud-ovest

riceve come regalo solo sindrome pre- mestruale 100% con pianto annesso nel bagno dell’Ikea

costringe l’uomo in questione a fare picci picci bau bau nei corridoi del centro commerciale per non mandare a monte -causa sindrome- l’ora di traffico, i rivoli di tangenziali e il training psicologico da “ok, oggi la porto a Ikea”

 (ndr. Picci picci bau bau: effusioni pubbliche)

 finisce all’assistenza clienti per un copripiumino a pois gialli creduto in saldo e deve fare la prassi per il buono cambio un quarto d’ora prima della chiusura

rischia di mangiare le superbe meatball Ikea in un setting di tovagliette di paglia e tulipani cartonati con  bambini urlanti che vanno e vengono dallo smallhand

 rischia di finire a mangiare in un RoadHouse della tangenziale

finisce al Mac Donald per un take away da consumare davanti al trash del Grande fratello e vede le coppie che davvero festeggiano nel puzzo di fritto e allora pensa che in fondo questo San Valentino non è stato poi così male.

WoMan's Health

Quando le donne scoppiano di salute e han 7 vite come i gatti

uomini_donne

Mi piacciono profondamente,  strenuamente, continuativamente gli uomini.

Eppure, odio degli uomini:

Non sanno e non si sforzano di immaginare il dramma di una sindrome premestruale

Pretendono che ti vesta in cinque minuti, che stia anche bene ma continuano a farsi venire il torcicollo per le strafighe

Ti vogliono alla mano, ma non trascurata, simpatica ma non volgare, decisa, ma non troppo appariscente

Distinguono le donne da sposare da quelle da “spazzare” 🙂

Guai ad essere esuberanti con altri uomini, con gli altri uomini davanti  ai loro amici, troppo amica dei loro amici, troppo più alta di loro (questo non è proprio un mio problema, ma qualche aneddoto in merito potrei raccontarlo)

Conoscono a perfezione tutto quello che piace a una donna: peccato che lo mettono in pratica solo appena vengono mollati

Si fanno lasciare

Devono sempre avere l’illusione di avere uno spazio mentale e di manovra ma non vedono l’ora di essere accuditi

Ti regalano sempre la cosa sbagliata

Sporcano quando cucinano

Se ti fanno mezzo straccio di faccenda vogliono essere compiaciuti e adulati e l’avranno fatta di sicuro meglio di te

Camminano a piedi nudi dopo la doccia

Sbagliano sempre la raccolta differenziata

Hanno un solo dio: il migliore amico (sulla mamma, il calcio, il cellulare, facebook, ci siamo rassegnate)

Odiano i matrimoni

Non hanno un’idea univoca della pigrizia ( vedi dei Tutankamon  che in viaggio con gli amici si trasformano in Paride Orfei)

Tengono sempre tutte le porte ma che dico aperte, spalancate, conservano dei veri e propri bilocali di esseri non ben identificati di genere femminile pronte ad infilarsi al tuo primo attacco isterico, defaillance, gaffe, calo del desiderio, chilo di troppo, ricrescita, sbandata, eccessive attenzioni

Dopo di te si mettono sempre e puntualmente con quella che avevano criticato con te

Per il resto non si può vivere senza alterazioni dell’umore e della salute mentale quindi direi proprio che non si può vivere senza di loro.

Blogwriting

Corso di scrittura condita e indigesta

Scrivere per andare a dormire. Con la tazza di camomilla.

Scrivere per farsi leggere dalle amiche. Leggete tutte e scrivo per voi quando mi mancate.

Scrivere is aprire il tappo dell’anima.  Stappo il gas quotidiano, negatività, tossine, gelosia, rivalsa, ossessione della bellezza.

Brindiamo con le lettere! Ubriachiamoci di leggerezza fino a perdere i sensi!

Where i s old philosophy, theatre emotion? Dove  sono i post con 20 commenti?

Scrivere facile, ermetico, ironico.

Scrivere sbagliato, scrivere cose sbagliate, mettere un punto. Scrivere per mettere IL punto.

Scrivere per lasciare un ragazzo, i nomi di quelli con cui l’hai fatto, scrivere le paure, gli identikit dei colleghi, la lista della spesa.

Scrivere un messaggio. Scrivere per non parlare, scrivere per un vezzo, il callo dello scrittore.

Scrivere per non chattare, per lasciare il segno, per volare via.

Scrivere per non guidare. Scrivere sempre, scrivere mai.

Scrivere con la biro, col calamaio, a macchina.

Descrivere.

Con il pezzo di legno nella sabbia. Con i sassi, col rossetto, con i tovaglioli, con la matita, scrivere il nome sul bicchiere col pennarello. Inscrivere, perscrivere, circoscrivere.

Scrivere sempre o non scrivere mai. Per volare via.

Budapest

ponte di notte

E poi, dopo due anni di lavoro sacrificale, dico ciao e me ne vado sul Ponte delle Catene a Budapest. Che se il Danubio fosse stato il cesso del mondo, io ci avrei sentito il profumo di violetta, talmente era la voglia di.

Ma Budapest è una bella strana particolare inafferrabile città. Una città in bilico su sette ponti che collegano un passato monumentale a uno stile secco di impronta comunista che si attacca a tutto: alla metro, ai vestiti della gente, alla brutalità delle commesse nei negozi, alle piastrelle bianche delle terme.

Ai massaggi. Ti stendi su un lettino d’ospedale e sotto un neon furente, ti immoli al tuo lottatore di sumo, che senza troppi salamelecchi di aromaterapia e fiori di Bach, ti smonta tutte le ossa e tutti gli accumuli di cellulite che alla fine i tuoi capillari urlano: pietà!

La luce della neve e le acque calde.

Ma tu lo sapevi che Estee Lauder è ungherese?

 Di ungherese conosco solo Cicciolina.

La testa a -8 e il corpo a 40 gradi, le percezioni si confondono nelle bolle dell’idromassaggio e i vapori dissolvono i contorni di un enorme edificio liberty.

Le scarpe da trekking fanno male ma si canta flamenquito, vecchi tormentoni tardo adolescenziali, affiorano ricordi di promiscuità e sauna party, tra un rutto a cipolla e un langos più fritto della pizza fritta, che sale su fino a sera. Ma sono passati sette anni e noi siamo ragazze che parlano di cose serie in una stanza d’albergo quattro stelle superior.

Si esce dal centro, per guardare in faccia la recessione e le mani delle donne consumate dalle troppe faccende. Al mercato si contratta con la calcolatrice, perché la lingua è troppo ostica, anche per filo nordiche come noi.

Fa freddo e io faccio un po’ di fatica a dimenticarmi di tutto.

Ma poi, uscita dai circuiti imbrigliati della Lonely Planet, con la carta d’identità nelle mutande, sento finalmente di dominare la città e quella piacevole sensazione di stacco affiora.

Mi specchio nel Danubio e non vedo Giovanna d’arco.

Vedo me stessa, un po’ sfilacciata, ma illuminata dalle mille migliaia di lucine nel palazzo del Parlamento.

Consiglio ai naviganti: Andateci prima che entri l’euro e non fate mai passare due anni tra un viaggio e l’altro. Mai.

Sud_ditanza

Ogni discesa al Sud è come una gita agli Inferi. Un rituale scandito da fasi sempre uguali e sempre diverse.

Il grande pregio del Sud, bisogna dirlo, è che ti sciacqua con acqua e sale tutti i pensieri in cancrena dell’anno  trascorso.  Anacapri fuori festa ti disinfetta l’anima. Cielo, mare e quell’ orizzonte che, come dicono in un libro che sto leggendo, ti dà sempre la sensazione di poter fuggire.  Ma che lo iodio fosse un elemento indispensabile per ragazze ipotese si sapeva già.

Torniamo alle fasi.

Numero Uno: Jet Lag

Ci vogliono perlomeno tre giorni per abituare l’occhio al grassume dilagante, al culto sfrenato per le Hogan, a quel modo particolare delle ragazze di fare i palloncini con le chewing gum che solo chi ha vissuto a Napoli può capire. Alla posta si va in crisi per prendere il bigliettino, nei negozi le commesse fanno sedere i nipoti sul bancone, al supermercato non esiste la fila ed è doveroso scambiare una battuta con quello della cassa. Sempre se c’è.

Numero Due: Ricordi da Star

Superata la prima fase non senza bruschi rilasci d’ansia e insonnie ossessive, il Sud ti ricorda chi eri. Hai mangiato pizze al tavolo a soli 3€, la direttrice delle poste ti fa accomodare nel retro, vecchi amici e nuove leve si scompisciano ai tuoi racconti e tu riscopri di avere non solo sonno, ma anche ironia, carisma, personalità. Nella fase ricordi da Star non sempre il tuo ritmo coincide con quello familiare. Resti l’imbarcato che torna a casa, viziato, ma scomodo. Come si riesce a sopravvivere senza un diffusore e un pettine a denti larghi?

Numero Tre: Possessione

L’accento si impossessa di te. La fase tre è la più bella. Ti ricordi chi sei, da dove vieni senza pensare per forza al perché te ne sei andato. E’ una vita unica e hai tempo per vedere anche gli amici di serie C2, che non per importanza, ma per tempo sei sempre costretto a trascurare. Puoi fare programmi senza l’angoscia di un treno o un aereo imminente e inizi a viverti il Sud come ti va.  Ma ormai sei già grasso e la tua casa è sempre fredda perché a 14 gradi è un’eresia accendere il termosifone.

La mente riapre dei file archiviati e finalmente un po’ di benzina per l’anima.

Buon 2011 al Nord, al Sud, Al Centro e all’ Epicentro. La quarta fase la scopriremo con Battisti: solo vivendo.

La solitudine del TSM

TSM: Time Slot Manager

Il 2010 finisce con un addio alla redazione deserta.
E’ mezzanotte, il neon è acceso e i capi non ci sono.
Ma, già,  è domenica, fuori nevica una neve a palline piccole e fitte e io, rompendo il sacro rituale della domenica, non sono venuta in tuta.
Baci, abbracci, un bicchiere di vino “on air”, anche se non si potrebbe. Voglia di lavorare saltami addosso, ma si sacrifica l’ultimo brandello di adrenalina. In regia manca l’aria, ma ormai siamo abituati a respirarci, riderci e piangerci addosso. A lamentarci, tra un jingle e una macchia, tra un tappeto e un rullo. Ad abbracciarci. Quanto ci siamo abbracciati quest’anno.
A pisciare nei tre minuti di pausa pubblicitaria.
A ordinare e mangiare in 40 minuti. A vivere al neon. Ad avere uno stile pop, smart, glam, ciovane, molto milaneese. A spostare quinte, a cercare sempre quell’ennesima idea che non viene più.
A guadagnarci il grano, perché quelli come noi non si possono mai distrarre.
Lo diceva la mia collega rock and roll: la solitudine del Time Slot Manager. Ma chiamiamolo autore di giochi, se no chi ci capisce. Abbiamo macinato quattordici ore di diretta. Che quando sono diventate sei, talmente che eravamo in simbiosi col vocabolario, ci siamo sentiti quasi in colpa di poterci fare il tè in cucina e scambiare qualche parola tra di noi in area break.
Penso tutto questo mentre mi aggiro nel silenzio e raccatto quelle quattro cose che ho portato: mi rendo conto che sulla scrivania non ho mai avuto il tempo nemmeno di portarci un pupazzetto.
Strano per me sentire le mie emozioni implodere. Gli altri mi sembrano tutti esagitati per questo saluto a tempo determinato.
A ralenti, con la stessa leggerezza di una colonna dorica, mi avvio verso l’uscita.
Qualche ultimo tormentone isterico che ci ha fatto molto divertire e via.
Le auto sgommano sul ghiaccio che si sta sciogliendo.
Che freddo che fa.

Il blocco dello scrittore

Storia incompiuta di un criceto di città

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Il blocco dello scrittore è un evento che realizzi in una notte d’insonnia in cui ti senti particolarmente agitato.

Facciamo finta che tu sei un criceto e che da mesi corri con le tue piccole zampette su una ruota velocissima.

Ecco, il blocco dello scrittore ti obbliga a scendere e a guardare la ruota da un’altra prospettiva.

Una prospettiva chirurgica.

La prima scoperta del criceto è di non saper più camminare.

Abituato com’è a correre, il criceto deve impegnarsi per fare un passo lento.

La seconda scoperta del criceto è di aver perso la cognizione del tempo.

Abituato com’è a pianificare, calcolare, incastrare quotidianamente la sua piccola maratona sulla ruota tra lo spuntino e la copula, il criceto ha totalmente rimosso i ritmi del mondo che vive oltre la ruota.

La terza scoperta è che il criceto non vede più oltre la ruota.

Dove sono finite le Sacre Scritture domenicali, i Sacri Teatri, il Sacro Criceto Egocentrico aspirante attore, ballerino, aspirante borghese, aspirante radical chic, viaggiatore?

La terza scoperta è la più amara e la più avvincente. Il criceto capisce di essere diventato un operaio della ruota. Un operaio consapevole.

La quarta scoperta  è che dietro ogni consapevolezza s’insinua il germe della ribellione. Il criceto e chi conosce davvero il criceto lo sa bene. E’ solo una questione di tempo.

Poi il blocco dello scrittore passerà e bisognerà buttarsi dalla ruota in corsa.

Lì viene il bello e quando col vento e col sole maturano le pere, lì, proprio allora, potresti vedere i delfini all’alba o  il salto degli audaci.

Unicum

Pensiero della buona notte

Unicum era il nome di un biglietto unico con cui in Campania potevi prendere sia la metro che la circumvesuviana. Penso che esista ancora.

Unicum è l’infanzia dei figli unici e l’infanzia che hai vissuto prima che arrivassero i fratelli. Io prima di diventare sorella, ho vissuto quattro lunghi principeschi anni di unicum.

Unicum è la vita nel monolocale, senza gli spazi condivisi, un ambiente unicum, che a volte può diventare stretto e devi chiuderti nel cesso per parlare a telefono.

Unicum è il letto singolo, il letto a una piazza e mezzo, il letto matrimoniale che se composto da due letti singoli la tua parte resta sempre un unicum, diviso.

Unicum è la forma mentis che hai adottato quando ti sei riscoperto unicum.

Unicum perché sei unicum e ti incastri come un pezzo di puzzle solo in alcuni momenti, se la luna non è storta e se sei di buon animo (…).

Unicum è incompreso e tronfio, altezzoso, arrogante, compiaciuto di essere unicum.

Unicum+Unicum fa Double, ma potrebbe fare anche solo due Unicum.

Dipende.

Unicum è una cosa bella, molto difficile, molto parziale, molto vera se almeno ci si provasse, a uscire dalla trappola granitica dell’ Unicum.

Ci si potrebbe scoprire davvero unici o maledettamente soli.

Dipende.

Somewhere

Da qualche parte alle tre del pomeriggio

Elle Fanning

Alle tre del pomeriggio del primo vero giorno d’autunno decidi di dare una svolta culturale alla tua giornata e il cinema delle tre del pomeriggio ti sembra un’esperienza abbastanza nuova e abbastanza culturale.

Quando mai ti ricapiterà di non lavorare di venerdì alle tre del pomeriggio? (Domanda retorico nevrotica).

E cinema fu.

Alle tre del pomeriggio è l’unico momento della storia del cinema a Milano in cui non ti trattano male al botteghino. La tizia grassoccia e blue- eyed sembra quasi dispiaciuta che tu stia pagando per andare a vedere un film, il biglietto costa due ero in meno rispetto alla tariffa standard e per un ovvio risparmio di risorse, non c’è lo stacca biglietti.

La sala delle tre del pomeriggio è vuota e comoda.

Il film delle tre del pomeriggio è un film a tema: silenzioso e surreale. E’ Somewhere di Sofia Coppola che mi ha innervosito per l’assenza di trama e dialoghi, ma mi è rimasto appiccicato addosso per alcuni movimenti di camera. Un film per snob, l’hanno definito.

Un film perfetto per le tre del pomeriggio a stomaco vuoto quando fuori è umido e tu hai dormito tanto dopo una vita che non dormivi e ti senti lievemente nauseato. Film sconsigliato agli insofferenti.

 I pazienti e i cultori di Sofia Coppola dovrebbero vederlo per:

-scena del pattinaggio

-scena della maschera

-scena sull’ Italia in cui la Ventura e la Marini interpretano se stesse

-scena subacquea della piscina.

 Stop.

I ciechi dovrebbero vederlo per le musiche dei Phoenix, la cosa migliore di tutto il film.

 Ma il vero colpo di scena è il pubblico delle tre del pomeriggio.

 Ecco perchè quel profumo di gelsomino, rosa,  vetiver, colonia, quel tanfo di naftalina.

I vecchi delle tre del pomeriggio.

Ma con il mio unico capello bianco ben dissipato nella frangia, ho pensato che alle tre del pomeriggio era troppo presto per sentirsi già un outsider. 

Sicily

Unni lu tempu si fermàu

Sicily è un attimo che dura quattro giorni. Quattro giorni per diventare selvaggio e poi sfumare, come il profumo di Dolce e Gabbana, come la poesia di Quasimodo a Tindari, come lo zolfo di Vulcano che resta sulla pelle quarantottore.

Sicily è un quadro impressionista, un after tra Catania e le Eolie, una pennellata, col cervello che non macina, il cuore che non calcola e gli occhi che non si chiudono.

Mai.

Sicily è una granita, un arancino, capelli di mare, ricerca estenuante di un sasso a MonteGiove da lasciare poi lì, sul comodino.

Non attaccarsi a nulla, se non a stilemi dialettali e quattro risate, mare su quattro lati, vociare di primo mattino che si sgretola sul sole che picchia.

Sempre.

Sicily è Storia di una Capinera, un tuffo nel barocco, una risata che una maschera, una facciata che è dei Pupi, un salotto che è borbonico, una razza che è cugina, il regno delle due Sicilie, ma in Sicily tutte cose sono  lente, ancora più lente, abbandonate, ancora più abbandonate, chiuse, ancora più chiuse, lasciate lì a  corrodersi e a disidratarsi.

Sicily sono le reti dei pescatori di Aci Castello, col mare scuro che si increspa mentre i bambini giocano a pallone in piazza.

Non sai più se pensare a Verga o alle Sirene di Ulisse, ma Sicily ti cattura, ti ammalia, ti assuefa lentamente nelle immagini iperboliche delle candelore o nelle fantasie di una casa alle pendici dell’Etna.

Sicily, per staccarsi dal continente e dare, come dice Ligabue un colpo al cerchio ed un colpo all’anima. All’anima.