Prove generali

Stasera ho superato brillantemente due grandi prove:
 
a)      uno sciame di muratori alla stazione di Pioppaino
b)      la Cassa Amica
 
 
Il muratore che torna da lavoro in branco non è come il muratore normale, cioè quello che la mattina non si lava i denti e ha l’alito che puzza di caffè.
Il muratore che torna da lavoro in branco non ha solo l’alito che gli puzza di caffè, ma l’alito che puzza di caffè e Peroni, un mix che arriva ad inquinargli anche il respiro ricordando in chiave mediterranea il russo che fa colazione con vodka e kebab.
Il muratore che torna da lavoro ha gli occhi rossi, l’orlo del pantalone sporco di giumenta, la vraghetta spuntata, ma ha sempre la forza di arraparsi su una femmina media.
 
La Cassa Amica è una nuova invenzione tecnologica degli ipermercati del Sud. Se non è nuova in assoluto è nuova per me che non l’avevo mai vista e mi ero fermata alla cassa veloce max dieci pezzi.
La Cassa Amica è più buona e di pezzi ne puoi portare fino a quindici.
La Cassa Amica non ha bisogno di cassiera, perché tu stesso, strisciando il simpatico codice a barre, sei il cassiere di te stesso. Però non hai una bella voce metallica e allora Cassa Amica ad ogni strisciata ripete ad alta voce il costo della spesa. Poi inserisci i soldi, prendi lo scontrino e le monete a sinistra e le banconote a destra mentre una bambina ti spinge perchè vuole afforza strisciare i suoi pennarelli. Solo quando hai soffocato la bambina e ritirato le banconote puoi staccare il sacchetto con i tuoi tre dvd a 0.90 centesimi.
La Cassa Amica è amica fino a un certo punto. Se stacchi prima il sacchetto si incazza e deve venire la cassiera vera a sbloccarla e tu non ti diverti più e fai un bel disegno con la bambina coi pennarelli.
Allora mi chiedevo: a questo punto non è più amico il casello dell’autostrada che dice anche arrivederci?

Song' Je

Oggi mi piaccio. Che se fa caldo mi sfilo il giubbotto e se fa freddo me lo rinfilo. Oggi mi godo una coperta di pile e il rotolino che esce in palestra. Il tempo cambia, le nuvole vogliono piovere afforza, ma non mi irrito. Ma proprio non mi irrito e dico quello che voglio dire e faccio quello che voglio fare e sposto lo step  perché se no quella dietro non vede. Sono gentile, sono garbata e io di solito non lo sono. Mi piace dire esulare e mentre lo dico stranamente non mi sento pesante. E niente. Non mi sforzo di vedere la mia direzione. Non vedo niente. Ma proprio i confini della mia vita non ci stanno. Neanche a matita. Neanche in controluce. Cancellati da una gomma. Niente. Però oggi non mi preoccupo. Perché fondamentalmente una vita a pastelli e acquerelli non mi interessa. Eppure quando mi piaccio come oggi mi piaccio a tinte forti con lo smalto fucsia e una spilla a forma di fiore e due bollicine in faccia. E prima o poi andrò a Tokyo. Fosse anche col salvadanaio di dueuro. E mentre l’ oracolo prevede schiaffi e l’oroscopo mi dà un 9 in salute non ho paura della solitudine. Mastico la testa del gambero con la salsa di soia. Ma non perchè voglio fare l’originale a tutti i costi come dice mio padre. Io non sono Marina Rei che quando canta Song je in napoletano è fantastica e va a Sanremo a piedi scalzi.

 

Addò stanno ‘e parole ca’ ce fanno sunnà?
Addò stanno ‘e parole ca’ me fanno addiventà chello ca songo già?

Ma mi piaccio lo stesso.

Song’je…song’je, nun tengo ‘a paura ‘e restà

Pecchè tengo troppo ‘che ffà…

Spring

Sottotitolo: Io non mi sveglio mai all’alba durante la festa dei ciliegi
Chi si sveglia all’alba vede cose che gli altri non vedono e sente cose che gli altri non sentono. Chi si sveglia all’alba sente le voci della notte e le ruote che scivolano sull’asfalto umido. Chi si sveglia all’alba sente il profumo del primo caffè e il brontolio della moka. Chi si sveglia all’alba accende la radio o la tv o fa le preghiere del mattino.
I piatti sporchi della sera prima, il mare e i ciliegi in fiore in posti in cui crescono solo papaveri. Il silenzio. Il gallo e gli uccelli. Una saracinesca.
Questo vede chi si sveglia all’alba.
La primavera.

Fisciano 2/bis

Due anni fa a quest’ora Merin si sfilava il suo primo tailleur per incellofanarsi in un vestito di Pinko ovviamente comprato in stock e festeggiare la sua laurea in un posto cafonissimo ma ripulito con amici e parenti. Cento. Come la ruota di Iva Zanicchi.

Merin era una dottoressa con menzione accademica e tutto di lei, anche i capezzoli e i peli sull’alluce – che aveva diligentemente estirpato per l’occasione -inneggiavano alle scienze della comunicazione.
Merin festeggia il bianniversario tornando all’ovile che non è una metafora, perché Fisciano, sede della sua università, è proprio un ovile e gli studenti sono tante pecorelle smarrite e la location è una campagna dove negli anni ’70 si poteva girare con discreto successo il lungometraggio di là sui monti con Annette dove il cielo è sempre blu.Ma due anni dopo:
 
il cielo di Fisciano è grigio
la pioggia batte insistemente sui vetri dell’autobus
il biglietto dell’autobus è aumentato di 44 centesimi
Annette è un caso di diossina
i monti sono coperti da ruspe e trattori perché le scienze della comunicazione hanno sempre più iscritti  grazie a Simona Ventura e Maurizio Costanzo
le studentesse di Scienze dell’Educazione sono sempre più zingare
il conducente dell’autobus con le schiocche rosse ha di sicuro la cirrosi epatica
il bar ha subito un restyling di mantrice Ike- ese
i prezzi sono welfare: caffè, chewing gum e acqua naturale per 60 cent
il mio cappotto a tweed continua ad essere troppo freak per gli standard del luogo
Sono dimagrita 4 kg ma sono comunque più grassa di quando mi sono laureata
Ma soprattutto rosicchiando le belle speranze degli studenti impegnati a calcolarsi i crediti e trovarsi uno sfigato per la correlazione mi sono sentita felice.
Lontana da quel mondo e così meravigliosamente a casa.
La giornata finisce col rituale pizzeria Le Volte e caffè al caffè Atena con la collega di tesi. Quasi un’iniezione di dolcezza. Ma quasi, però. Perché nel frattempo noto che la barista che suonava nella banda della Basilicata si è fatta la cresta punk.
 
Ma tu te lo vedrai il film? – chiede la collega.
Qua film?
Quello di Sex and the City…
Ovvio. Anche se secondo me è una stronzata.
Già.
Mi arriva l’autobus- dice la collega.
Ciao.
Cià.
 
Ci vediamo l’anno prossimo.
O tra due.
O Chi lo sa.
 

Post Pasqua

Sottotitolo – Il folletto delle feste

Il folletto delle feste è colui/colei che ama la festa perché la festa è dentro di lui. Il folletto delle feste riesce a coinvolgere nello spirito della festa le persone come Merincontraria che a Pasqua e Natale si svegliano sempre incazzate perché dai giorni precedenti e post_cedenti alla festa vorrebbero chissà che cosa. Il folletto delle feste è la mia amica bambina prodigio che i giorni di festa si veste come le bambole e sorride e saluta tutti felice e mi guarda con gli occhi grandi quando dico che il venerdì santo mi sono sognata nel vomito a pezzettoni Valfrutta. Il folletto delle feste è la pioggia di Marzo, il casatiello di zucchero, la gara delle pastiere, gli abbracci delle cugine eddai Merin’ e ddammi na buona notizia,  la confusione di dentro, chi viene e chi va, l’eterno ritorno, l’uovo di cioccolata fondente, i vicini di casa, la forma del Sud, gli appiccichi dei genitori, le processioni, il mare d’inverno, i voltabandiera, gli equilibri degli altri, le casa degli altri, la pasquetta sudata, i che stai facendo, l’asfalto bagnato, i capelli di fumo, la gente di piazza che io guardo lontano. Il folletto delle feste è la magia di stare davanti al camino col vermouth in mano come se Pasqua fosse Natale e la primavera inverno. 

FAzione

PreFAzione
Telegiornale. Zapping. So negative.
Ballarò. Zapping.
Porta a Porta. Zapping.
Faccia di Silvio Berlusconi? Zapping.
Faccia di Veltroni? Zapping.
Matrix? Zapping.
Doppio zapping carpiato sulla voce leziosa di Beatrice Borromeo.
So annoying.
 
Coro
Parole Parole Parole
Parole Parole Parole
Parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi
 
FAzione
Uomini e donne di Maria De Filippi. Pause. Iniezione di insana spensieratezza. Overdose di sana scelleratezza. Coma neurovegetativo.
 
Musiche
Papaveri e Papere – Nilla PIzzi
La terra dei cachi – Elio e le Storie Tese
Lo scrutatore non votante – Samuele Bersani
Italiella – Nuova Compagnia di Canto popolare
 
PostFAzione
Non voto. Non guardo la tele. Non sono italiana. Fazione. Togli la effe, dammi la A.
 
Azione!

Funeral party

Il giorno ideale per un funeral party è marzo quando fuori piove e le case abusive cadono sulle frane. Il cielo è plumbeo e il risveglio lento. L’auto è impastata di un mix di benzina e Mentadent e il tergicristallo lancia l’ultimo pezzo dei Tokio Hotel. Il funeral party è a tema libero ma sono sfavoriti tutti i pantoni. Attenersi alle nuaces dell’ ardesia, ma per gli eccentrici è ammesso eccezionalmente il fiordaliso.
La location di un funeral party è una chiesa, un sagrato, un piatto di pasta alle vongole. C’è chi gioca a risparmio e festeggia il funeral party in una sola lacrima di due vani e accessorio. L’abside è addobbata con piante carnivore e nelle acquasantiere ugole pizzicate d’incenso trovano l’eterno riposo.
Donaloro signore.
In un funeral party c’è un momento in cui rigorosamente si piange. E’ il momento in cui quattro o cinque marinai sollevano la carcassa a piedi scalzi. E’ il momento più bello. I paparazzi sommergono il caro estinto di flash e i vecchi del paese fanno capannello intorno ai parenti per  gli autografi. Se non si raggiunge lo sballo il funeral party fallisce e i parenti del caro estinto saranno costretti a ingaggiare un media planner per un report su ciò che non ha funzionato.
Invece i funeral party passati alla storia sono ellittici. Finiscono senza parole.

Fitness appeal

Gym fash o gym trash? Ash. Qual è il tuo fitness appeal?
 
Gym fash: vai nella palestra più in del quartiere. Lo sport per te è clorofilla. Il fitness non è scolpire. E’ socializzare.Ti trucchi prima della lezione di step. Hai il borsone della palestra e ti cambi. Perché farsi vedere in giro in tuta è reato. No nano? No cardio. L’ i-pod è il migliore amico della pendenza. Hai i guanti per i pesi e i guanti da fit box. Fai stretching regolarmente e almeno una volta pilates. Tra un crunch e l’altro sorseggi un Energrade a limone e scambi una chiacchiera con Mr Creatina. Col telo arancio intorno al collo. E il cellulare sportivo che tieni appeso al gancio della Red Bull. Dimensione danza ti veste. Freddy ti coccola e Nike Silver ti regala la padronanza. Scendi dalla cyclette con passo felino e una punta di perizoma che spunta. Perché tu, gym fash, non sudi in mezzo alle pacche. Non ti screpola la pelle. A te neppure il vapore del bagno turco ti increspa la frangetta. No electricity. Never. Ash.
 
Gym trash: Fai il turno di mattina con le signore. Con la pinza nei capelli di design nipponico: inutile, sempre una pinza è. L’attrezzo non lo sai regolare e quando digiti il peso ti togli sempre due chili. Indossi la tuta acetata e se piove vai in palestra con le scarpe bagnate. Se vai sulla merda, vai in palestra con la merda sotto le scarpe e te ne accorgi solo alla fine, quando l’istruttrice, a cui il brevetto è uscito dalle Kinder Brioss, dice: afferrate le caviglie. Rossa in volto, ti accorgi della merda. Eri passata sulla tetta che spunta dal reggiseno, sull’ascella pezzata, sulla doppia ricrescita che fa ciao con la mano ad ogni sforbiciata e candela, ma la merda no, è troppo. Con la testa china saluti le tue colleghe con il pantajazz skin danza e il brillantino sul culo. Inforchi la tua bottiglietta d’acqua e sulle note di Easy Lady di Spagna skippi gli addominali di coppia per una dolorosissima cisti ovarica.
 
Gym fash o gym…? Fresh. Ash.   

Ciaofranco ciao

E poi ci fu Milano con la casa col parquet e il portiere indiano a Corso Como.
Ma tu te ne sei andato e che te lo dico a fare.
Ciao franco ciao.
Ti porti un motorino bianco e rosso, un pezzo di intonaco ed una grattugia di dialetto.
Che Giotto ti benedica e Cristo ti offra un buon caffè.
I mobili vecchi, le biciclette arrugginite e i cassonetti tutti ti piangono.
I palchi resteranno senza chiodi, i pazzi senza parrucche e polveri condominiali agiteranno gli alberi secchi di questo paese nelle giornate di vento.
Avevi fatto l’ambo franco.
E mò pure la tombola secca.
Ciao franco ciao.
 
 
Bio-note molto personali: Franco Autiero nasce ed è il mio professore di arte a liceo e l’unico che mi ha detto in faccia, durante un’intervista, che il nostro giornalino d’istuto faceva schifo. Ci vuole più impegno politico guagliù. D’altronde quando io facevo Sisma con la bambina prodigio lui se la faceva con Annibale Ruccello ed Enzo Moscato. E’ un pezzo di teatro e di scrittura e di reciproca stima che se ne va e se volete sapere di più cercate su google Franco Autiero.
Nella foto in alto: Isa Danieli in Ferdinando; scene Franco Autiero.

Regina del Bluff

E hai voglia di incoronarti reginetta del bluff, ma m’è costato.

Eccome se m’è costato. Il colloquio Ryan Air mi ha fatto sentire come quando a sedicianni per cinquanteuro ho fatto la rappresentante di lista per forza Italia. Come quando dopo quattranni di no global mi sono fatta il  Menù Big nel Mc Donald di San Pietroburgo.  Come la ceretta quando hai il ciclo e fa freddo e la spatola (n.b non il rullo!) ti scuoia la pelle. Insomma s’è capito. Nei trenta minuti di tram sulla Prenestina mi scorreva davanti il fotogramma della vita di Merincontraria, sezione re-find a job . Merin, rampante corrispondente del giornaletto locale, Meringiornalista, Merin iettata in tutti i teatri della Regione Campania con il block notes, Merin in una fredda stanzetta di Soccavo a fare la velina della formazione, Merin masterina, Merin storyliner, Merin dei cartoni animati che vuole sdoganare a tutti i costi South Park,  Merin double stage alle mandorle, Merin nei treni. Salerno. Napoli. Napoli. Salerno. Quanti treni. Mamma mia.

Che a confronto la canzone dei Gemelli diversi Mary è andata via l’hanno vista piangere correva nel buio di una ferrovia è una campagna mal riuscita del Ministero delle Politiche sociali.

Ottime doti di trasformista, anyway. Zippo il mio inglese e dico che mi possono anche mandare nella base di Stoccolma in mezzo alle conifere e alle renne. Tanto se i contenuti saranno lontani dalla mia vita, meglio ibernare le frustrazioni a meno diciotto.  E meglio la Scandinavia che il porto con le ali di Pisa. Fare uno chignon perfetto con i capelli ricci sarà il mio stimolo quotidiano.  Content manager? What’s that? Mi chiede l’intervistatrice gallese ex hostess finita al recruitment almodovarianamente: sull’orlo di una crisi di nervi. Se glielo spiego finisce il bluff e allora tergi-verso, versandomi ad alta quota in un sorriso da hostess.