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Jackson Fire

Diceva Pirandello così è se vi pare.

Pare, appare, apparire, apparare.

Potremmo dirlo di Corona, di Milano, delle farfalle al collo delle ragazze di Silvio, delle plastiche di Jacko defunto, icona dei miei anni, di corridoi percorsi in lungo e in largo al passo della luna, ma che in definitiva, non ho mai apprezzato. Riposi in pace, lontano dallo sciacallaggio di giornalisti e medici, neverland in mors tua vita mea I love so much money and competition.

Pare, appare, parare, sparare. De gastriche lavande.

Potremmo dirlo di Saviano, di Napoli,  tris di notizie nei tg nazionali porque nosostros somos in Buenos Aires and the winner is  Noemi Letizia, una vrenzola a cui le menti malate di questi anni hanno dato fama e credito. Credito e fama a una vrenzola di Castelvolturno. Who’s Papi? No perché cioè il mio sogno nel cassetto è non avere sogni.

Ci tenevamo Vanna Marchi  ci tenevamo. Lei si che lo sapeva alzare…il morale.

Pare, appare, apparire, sparire.

Per la prima tv sulle opere dei Pupi  non c’è bisogno di sintonizzarsi su Sky Tg 24. Basta zappare nell’orticello del quotidiano sventando l’ira del collega detronizzato, le avances dell’amante insicuro,  i fiumi di parole dell’intellettuale pippaiolo e soprattutto   l’insormontabile alterigia dell’ominide che deve sempre attaccare per difendersi. E basta. La noia e la barba la lasciamo a Kierkegard e a Raimondo e Sandra.

Diceva Pirandello così è se vi pare e quando lo scrissi io nel tema di maturità dissero che era così vero che pareva che avevo copiato.

In corpo

Da noi, a Napoli, ci sono delle espressioni meravigliose, intraducibili. Una di queste è tenere in corpo. Puoi avere in corpo un’attitudine, un’ emozione, una decisione, rabbia.

Quando tieni in corpo  riesci persino a soffocare un sentimento, lo custodisci dentro di te, lo trattieni, lo reprimi.  Ma il bello di tenere in corpo  è che è uno stato in divenire. Tutto quello che tieni in corpo prima o poi esplode. Esce fuori e si espande. Per questo tenere in corpo si usa soprattutto al passato, all’imperfetto.

Es. Due si picchiano: chillo o’ teneva ‘n corpo ( l’atto di pichiare era già presente nell’ ira covata da Pincopallo) e così via per tutte le decisioni improvvise, nette, che non hanno un’apparente motivazione, ma erano, appunto, in corpo.

Bè, questa cosa di Milano io la tenevo in corpo da un bel pò. Però adesso non c’è nessun tacco, tailleur, studio minimal. C’è solo l’esplosione di un’estetica del sacrificio  su un davanzale di vita ethno-pop che bambina prodigio, drinkpop, adb, tozeur, ieri e sempre con me ai tavoli dell’amicizia, conoscono e guardano senza paura.

C’è un Eastpak nuovo, che in corpo si porta le gite della domenica, la lunga scogliera della Marina, il lessico familiare e la chiacchiera condivisa.

Oui, oui, je suis romantique.
Oh, Oui, je suis amoreuse.

Wall_nut

Ma che ce frega, ma che ce mporta, se l’oste ar vino c’ha messo l’acqua:
e noi je dimo, e noi je famo, c’hai messo l’acqua, e nun te pagamo!

Settimane di tecnovolteggi a vuoto si spappolano come il mallo di noce che rende i capelli più scuri.

Esiste una terra vera, un bosco di noci e mele selvatiche, un fungo di plastica, cenere&fumo.

Corro nel verde leggerissimo, leggerissima senzaseno ma i muscoli in gola.

Ma che te frega, ma che te mporta, se un cane ruzzola e scava cunicoli tra gigli e violette. Si lascia accarezzare e anche tu chiudi i Dovresti nella stalla con le ragnatele.

Chi vuole venire viene, chi vuole andare va: amerà? Amerà.

Un, dos, tre, cuatros: la raccolta è così, come la sigla di Paso Adelante.

Cominci che non le vedi e poi le noci si moltiplicano, le senti sotto i piedi, freschissime e infinite, fame di riempimento, ingordigia d’umidità. Libertà.

Guanti secchiello paletta, a ognuno terrazze di noci.

Io su su su, a digerire felicità in lontananza.

Ma non come quelli di Kundera che vogliono stare sempre sotto lo sguardo del loro pubblico, io colgo le noci dei sognatori, zan zan.

 

 

Gheriglio:Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi. A seconda del tipo di sguardo sotto il quale vogliamo vivere, potremmo essere suddivisi in quattro categorie. La prima categoria desidera lo sguardo di un numero infinito di occhi anonimi […] La seconda categoria è composta da quelli che per vivere hanno bisogno dello sguardo di molti occhi a loro conosciuti […] C’è poi la terza categoria, la categoria di quelli che hanno bisogno di essere davanti agli occhi della persona amata […] E c’è infine una quarta categoria, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti. Sono i sognatori. Ad esempio Franz.

 

(M.Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere)

Song' Je

Oggi mi piaccio. Che se fa caldo mi sfilo il giubbotto e se fa freddo me lo rinfilo. Oggi mi godo una coperta di pile e il rotolino che esce in palestra. Il tempo cambia, le nuvole vogliono piovere afforza, ma non mi irrito. Ma proprio non mi irrito e dico quello che voglio dire e faccio quello che voglio fare e sposto lo step  perché se no quella dietro non vede. Sono gentile, sono garbata e io di solito non lo sono. Mi piace dire esulare e mentre lo dico stranamente non mi sento pesante. E niente. Non mi sforzo di vedere la mia direzione. Non vedo niente. Ma proprio i confini della mia vita non ci stanno. Neanche a matita. Neanche in controluce. Cancellati da una gomma. Niente. Però oggi non mi preoccupo. Perché fondamentalmente una vita a pastelli e acquerelli non mi interessa. Eppure quando mi piaccio come oggi mi piaccio a tinte forti con lo smalto fucsia e una spilla a forma di fiore e due bollicine in faccia. E prima o poi andrò a Tokyo. Fosse anche col salvadanaio di dueuro. E mentre l’ oracolo prevede schiaffi e l’oroscopo mi dà un 9 in salute non ho paura della solitudine. Mastico la testa del gambero con la salsa di soia. Ma non perchè voglio fare l’originale a tutti i costi come dice mio padre. Io non sono Marina Rei che quando canta Song je in napoletano è fantastica e va a Sanremo a piedi scalzi.

 

Addò stanno ‘e parole ca’ ce fanno sunnà?
Addò stanno ‘e parole ca’ me fanno addiventà chello ca songo già?

Ma mi piaccio lo stesso.

Song’je…song’je, nun tengo ‘a paura ‘e restà

Pecchè tengo troppo ‘che ffà…

Se

Quando sei veramente felice e quando sei veramente triste, perchè queste due cose succedono sempre insieme, c’è sempre un neon. Conta poco se hai mangiato ottimi funghi trifolati e hai la bocca impastata di vino paesano. Pieno e vuoto, ti senti. Felice, triste, infelice, allegro. Dura un anno luce: la distanza percorsa dalla radiazione elettromagnetica nel vuoto per arrivare al Sè.
Psp. Post scriptum post-umo: Questo post fa davvero cagare. Lo lascio, perchè vorrebbe spacciarsi per una cosa intelligente e profonda, che al momento che mi è venuta in mente lo era pure, ma mai fidarsi delle sensazioni che ti vengono sul water dopo aver mangiato in un ristornate che si chiama il Fungo Velenoso. Eh eh, scherzi di colon. Valga come monito per il futuro. Via però la foto, che si, è vero, sono leggermente iconoclasta. O iconocasta? Ci sono blog migliori per questo.
Ultima correzione di bozza: un amico è colui che al momento opportuno sa mettersi da parte. Segnatela sul diario. Secondo me vale quanto  "tirare le cuoia" e "brodo di giuggiole".

Cuore zippato

Che poi la cosa più bella sono le curve.

Togliere e mettere regole…Cambiare.

Il look, i sogni, le abitudini.

Prima leggevo quotidiani ora non guardo neanche più i telegiornali.

Prima scrivevo articoli ora scrivo sitcom. E ogni tanto anche articoli.

Prima giravo con la birra in mano e mi mettevo la fascia…Ora…

Prima non lavoravo, adesso neanche. Però so cosa è un team di lavoro.

Le notti come questa sempre.

In cui voglio fare tutto e sono nessuno e centomila.

Pignola e asistematica, brutalmente romantica.

Penso ai viaggi, volo a Tokyo e a Berlino, che mi stancherò presto del mare, che dovrei curare la mia ovaia pigra, mangiare meno junkee, farmi un cd per l’auto, stampare un milione di foto digitali, farmi ricrescere i capelli, imparare l’html, tenere la camera in ordine perché questa casa non è un albergo, dicono.

Mi piacerebbe un po’ di freddo secco e un po’ di silenzio.

Perché c’è troppo movimento dentro e fuori.

Idee, telefonate, mail, messaggi, appuntamenti, strategie, posti in macchina nell’attesa di quagliare. Ma poi perché. Sono così belle le rose, le spremute d’ arancia, i sogni sotto alle coperte, gli slanci senza regole. Slanci…Ne sono ancora capace? Mi vedo piuttosto allegramente automatizzata. Qualcuno diceva cuore qualcosa. Ah si, era una canzone di un neomelodico: cuore zippato.

Strani giorni

Ci sono giorni in cui il passato si ferma al tavolino di un bar, davanti ai caffè e agli aperitivi. Di questi giorni mi godo la sensazione di arrivare allenata, come se per anni avessi corso una lunga maratona mentale. Ho macinato chilometri di domande. E ho corso così tanto che ora delle risposte non me ne frega più niente.

 

Ci sono notti in cui te ne vai. In cui esci in accappatoio e infradito con le macchine che sfrecciano in mezzo al bosco. A piedi nudi cerchi una pozza d’acqua calda arrancando nel buio delle rocce. Afferri il piede di uno sconosciuto e immagini  dietro ai vapori  scenari turpi e riti tribali. Vorresti che le pietre ti tagliassero la pelle per capire che è tutto vero. Distesa ai piedi di una cascata intravedi  forme di solitudini mascherate da innocenti divertimenti allo zolfo. L’acqua che cade sulle caviglie calma gli istinti di sopraffazione animale. Ti vesti in auto a ritmo di musica. Uh, un capriolo.

Strani giorni, viviamo strani giorni…

Le cose che non sapete

Sciuscina, blogger estimada como el corazon espinado, dice che non mi posso sottrarre.
Dice che certi blogger scelti da lei, tra cui io, devono scrivere “ le cose che non sapete di me”.
E io non mi sottraggo.
Allora.
Le cose che non sapete di me.
Le cose che non sapete di me sono meno di quelle che io non so di me stessa.
 
Sono un dalmata: Se fossi stato un personaggio della Carica dei 101 a passeggio con il suo cane nel parco, con me ci sarebbe stato un dalmata. Siamo praticamente identici, come si vuole che lo siano un cane e il suo padrone. Abbiamo un milione di macchie per tutto il corpo anche se siamo nati monocromatici. Io rosa, lui bianco. Poi a me sono spuntati migliaia di nei e lentiggini, a lui le macchie. Io e il mio cane immaginario siamo come l’orzoro che non si squaglia perché il latte non è abbastanza caldo. A pois. Al neo-n. Imperfetti. Lui non può sbattersi troppo perché cade malato, io giro con lo schermo totale in borsa. Una chicca per i perversi: abbiamo entrambi una macchiolina proprio lì.
Adoro Emilio Fede: Si, adoro Fede. Il suo essere così palesemente arrapato. La sua somiglianza con Smith, il serpente di Robin Hood della Disney. Il suo fondotinta, la postura rigida e il Tg con piano all’americana. Il suo telegiornale mi fa impazzire, è il miglior prodotto di infotainment della Tv italiana. Bevo alla fonte dei commenti in cui sguazza, dei lunghi sguardi alla camera, delle finte pause, dei lanci alla strafiga del meteo. Fuori dalle riprese lo immagino nudo con scettro e mantello, attorniato da drag queen lucidissime che lo fustigano sulla scrivania con foglie di betulla.
Tendo a legare con gli scoppiati: Dopo aver stretto col femminiello bello che batte a Villa dei Misteri che mi ha conquistata con un “ Nennè, fatt allà chist nun è post pè te (Fanciulla spostati, ci rovini la piazza) attualmente sono la migliore amica del padre del barista di Soccavo che mi racconta davanti alla cassa del suo passato di conducente d’ autobus. Il pazzo del paese mi chiama Sara Sei. E una delle persone che stimo al master da piccola non beveva CocaCola alle feste perché “ l’Aranciata resta sola e si dispiace.”
Raggiungo orgasmi multipli nel pariare su Melissa P. Per questo mi firmo Alda F.
Mi piacciono queste iniziative tra blogger. E con questo sono arrivata anche io a cinque cose che non sapete.
 
 
 

post it

Ballare davanti allo specchio fino ad avere il fiatone. Pensare sotto la doccia che se x muore non ci hai parlato abbastanza. E se la morte ti fa bella, la felicità di più. Avere paura che quello che oggi senti al telegiornale domani succeda a te. Comprare Anna perché ha la copertina patinata ma costa solo un euro. Ascoltare quella canzone pensando che quella frase non era dedicata a te.  Lasciare il computer acceso e trovare sullo screen una foto di San Pietroburgo che avevi dimenticato, altri sorrisi, un’altra te, quanti anni fa. Pochi, tanti. E poi quella malinconia euforica, che si attacca addosso come un acaro, che dorme sottopelle mentre il governo è in crisi e la gente d’Italia si attorciglia su se stessa. E quel sole di mezzogiorno quando ti sembra di stare in piedi da dodici ore ma sei contenta di esserti alzata dal letto anche se non ce la facevi. E svegliarsi e riaddormentarsi, combattendo con la narcolessia e l’ansia del giorno dopo. E camminare con la faccia della cinese nella testa che si caga sotto nel cesso pubblico di Villa dei Misteri e tu la sorprendi mentre si pulisce. Notando l’imbarazzo di Ambra Angiolini che si sfrega le mani mentre Cocaventura intervista gli altri ospiti di Rai due.
Alda F.

volere volare

Volevo, volevo. Volevo dire che.
Volevo dire che volevo nascere uomo.
Non li conosco gli uomini in fondo, ma mi piacciono le loro voci gravi, le fragranze maschili, la solidarietà di gruppo, la linearità del non detto, quella masturbazione da cui, alla bisogna, esce qualcosa invece di entrare.  Non come  per noi donne. Non come per le più fortunate tra  noi che le sanno farle, le donne.
Volevo dire che  la storia della lettera della moglie di Berlusconi non mi va giù. Non passa che La Repubblica la pubblichi in apertura. Mi spiazza pensare che io avrei fatto lo stesso per vendere. Però poi  penso, cazzo Alda F., almeno ci avresti montato un caso. Almeno accanto alla lettera avresti scritto un corsivo provando a motivarla, questa baggianata. Avresti avuto il coraggio di dire che la  storia della dignità femminile ferita è una gran cazzata? Avresti scritto che credi ad un’altra storia, quella del monopolio dell’informazione? Chissà cosa avresti fatto, Alda F. al posto di Michele Serra. 
Complimenti comunque a Veronica Lario, al secolo Miriam Raffaella Bartolini, per il riposizionamento del suo personaggio. Discesa in parabola da moglie assente a moglie ferita. Moglie di Berlusconi, comunque. Tra lei, lui e il loro amore un bell’ufficio stampa. In grado di trasformare la battutina al Telegatto in un polpettone mediatico per riscaldare gli animi  e far salire lo share. Perché tanto c’è la replica del giorno dopo. E quando le scuse arrivano si serve agli italiani  l’icona della  coppia che si ama, un ex premier devoto che senza rinunciare alla sua mascolinità si prodiga per tener su la  famiglia del Mulino Bianco. Dimenticando che gli italiani non sono fessi. O almeno non tutti.
Volevo dire che sarebbe patologico trascorrere il sabato sera a guardare “ La signora della porta accanto” di Truffaut se non avessi avuto un susamiello e un rococò avanzati da Natale che hanno reso il momento davvero indimenticabile. Un grazie speciale alle scaglie di mandorla cadute tra le lenzuola che mi hanno tenuto compagnia tutta la notte.
Volevo dire che chi trova un amico trova un tesoro. Ma questa è una banalità. Anche se bambina prodigio se la merita proprio tutta. La banalità intendo.
Volevo dire che questa fase della mia vita si chiama capitolo napoletano, un capitolo frizzante, bellagente, sorvolando la condizione da pendolare con le scarpe rotte e la valigia con lo spago.
Volevo…ma è meglio non volere più nulla. Almeno per stasera. Stasera che volevo volare.
Alda F.