Australia

Voglio andare a vivere in campagna. Ah ah- ah ah.

 Quando Ross, quella della stanza di Ross, decise di mollare fidanzato e lavoro e andarsene in Australia a tosare le pecore merinos, restai senza parole.

 Non che condannassi la sua scelta, attenzione. Solo che non capivo perché andare a cercare la propria strada a 22 ore di volo da qui.

 Ross mi disse che era stanca. Stanca dell’ennesimo non rinnovo, stanca del precariato, stanca di sbattersi tutto il giorno tra le strade di Roma con la macchina aziendale, esaurita, sfatta, stressata, sfiancata.

Non vedo Ross da enne mesi. Ho visto però una sua foto su facebook nelle vacanze di natale. Ha un colorito mulatto sano che contrasta splendidamente con i suoi occhi verdi. Salta su dune di sabbia bianca in micro bikini e tenta di restare in equilibrio su barili di vino in tenuta campestre. Sorride Ross e anche se è solo una foto io vedo che i suoi occhi ridono davvero.

E allora ESAUSTA di sentir parlare ogni giorno di

Milan, tagliandi dell’ecopass, previsioni per il prossimo weekend, prenotazioni (il pane dal panettiere, le catene, il pieno di benzina in caso di sciopero, lo spettacolo tra tre mesi, le vacanze estive…di gia?!?) dico a Ross di tosare tutte le pecore dell’Australia rurale e pure della Nuova Zelanda.

 Mi senti Roooss?

Perché io, cara Ross, non vedo l’ora di essere di nuovo disoccupata per sdoganarmi dagli incastri rocamboleschi che vedo ogni giorno, dove tra un cliente di lavoro, cento telefonate, la Champions, una scopata fuori mano (ma sempre connessa all’ufficio), bisogna infilare per forza una lampada. Per forza.

Ospite

Non è un post dedicato all’asciugamanina per il bidet, ma oggi sono ospite qui atteggiandomi a parlare di viveur e bien vivre. Come se ne sapessi qualcosa.

Comunque se volete leggere, leggete subito perchè l’ospite dopo 3 giorni puzza (pure dopo uno, se non frizionate adeguatamente il pelo pubico e vi fate una spruzzatina di talco).

Fagiani

Che a Natale la multiprovinciale azienda in cui lavoro mi avrebbe regalato la sciampagna e il panettone che in Via Montenapoleone vendono a 30€ al Kg

Attenzio’ Battaglio’

lo sapevo già. Me l’aveva sottolineato il mio capo con aria tronfia davanti al consueto caffè che ogni mattina mi offre per aumentare la produttività. Ma che la multiprovinciale  azienda stessa, mettesse a disposizione del dipendente una partita composta da due fagiani cacciati da Sua Eminenza Socio del Presidente in persona, questo no, lo ammetto, non lo sapevo e mi ha lasciato abbastanza esterrefatta.

L’arrivo della bestia viene annunciato con una mail cumulativa con oggetto “fagiani” se interessati siete pregati di effettuare prenotazioni in reception. Non un piccione, una tortora o la quaglia che mia nonna durante la seconda guerra mondiale si accaparrava mettendo la colla sul balcone, no! “Fagiani” is  bestia piumata di circa 3 Kg riposta a testa in giù in un sacco di granturco.

Il fagiano viene acclamato dai  dipendenti.

Nei corridoi non si parla d’altro che di Lui: lasciatemi “il tenebroso”, è più saporito! No! In umido viene meglio il dorato. Impossibile, figaaa! Mia madre lo avvolge nella pancetta con una spruzzata di rosolio e taaac!

‘A lecca e ‘a mecca e ‘a mevera secca

Intanto sacchi e sacchi di bestie, ognuno con su scritto il nome del dipendente si accumulano in cortile, pronte per essere caricate nel cofano della macchina. (Da notare l’ottimizzazione meneghina: sfruttamento delle basse temperature esterne per rallentare il processo di decomposizione, rigida divisione delle proprietà privata e velocizzazione del processo di smistamento).

Dopo numerose consultazioni sui metodi di de-piumaggio (immergere il fagiano a testa in giù in acqua bollente per poi spiumarlo, liberarlo dalle interiora e dalla pallottola) decido di prenotare il mio sacco certa che mai avrei compiuto questa mutilazione domestica. Mi servo di un complice per travasare i volatili dal sacco a una busta per le spedizioni postali pronta a caricare le bestie sotto mentite spoglie sul primo tram della sera.

Jamme Jamme, ncopp’ jamme ja, funiculì, funiculaaaa!

Mi scusi, mi spiumerebbe un fagiano a pagamento?

Scatta il tour delle macellerie del quartiere.

No!

Signora, le ho portato il regalo di Natale: un fagiano da spiumare.

No!

La Carla, padrona di casa ambientalista, mi chiude quasi la porta in faccia dopo avermi mostrato il fucile del padre, ex cacciatore pentito.

Sto per mollare. Signora, le ho portato il regalo di Natale: un fagiano da spiumare bis.

Il ghigno. (Come ho fatto a non pensare alla portinaia?)

La Luciana afferra la bestia per la coda, pronta a farle la fattura. Infilo in questa risata faraona il mio baratto: un fagiano per lei in cambio di uno de piumato per me e frollato una settimana in frigo come scrive Giallo Zafferano.

Zan Zan.

Nota d’epilogo: se il 23 dicembre alle ore 16.04 siete sul frecciarossa Milano- Napoli  fate attenzione a non urtare una borsa frigo a pois bianca e nera.

 

Street Ballade

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Uoh Uououh. Street has been friend.

Parco Sempione has been my friend.

I sudamericani che si tagliano i capelli sulle panchine has been my friend.

 Le panchine has been my friend.

Roman dei fiori has been my friend.

Uoh Uououh.

Il sole has been my friend. L’aria calda, afosa, tiepida, fresca, fredda has been my friend. Always.

Il cellulare has been my friend. Every single day.

La schiscetta* has been my friend.

 Autumn leaves has been my friend. Together with aspre carrubbe e duri marroni nel cerchione de

 la bicicletta has been my friend.

Correre Correre Correre

Lonely Lonely Lonely

Correre On the street

Lonely

My friend.

 

*schiscetta: parola milanese che designa la marenna napoletana o il bento giapponese vale a dire il pranzo fai da te che ti porti da casa in un “caccaviello”

A' Crisi

CAKDEP5KCAGB8YUOCA7DGIRRCAOB2DJ7CAB5H28MCAHZ55XICADASNH5CAX4MU1RCA61MYVVCAO3HN1RCAS41VSUCAESOPWICASM8TW9CAG3GMMHCAVB0VVHCAZCK8TRCAGA9F6ECACE9HDMCAWWXCLRQuella d’astinenza l’ho imparata a dodici anni. Quando mio padre lavorava in comunità e vedevo i tossici contorcersi nel letto, tra le lenzuola sudate e dolori nelle viscere. Allora avevo le unghie spesso sporche. Uno di loro mi disse che non si confaceva a una signorina perbene andare in giro con le unghie nere. (Mi torna in mente ogni volta che non faccio la manicure).

Ma che c’hanno quelli là? Stanno a rota. Mi dissero.

Come se quest’unica risposta bastasse a spiegarla. Ma se ci ripenso col senno di poi, io capii. Capì che questa parola circolare e inglobante aveva a che fare con i buchi neri dell’anima e non delle braccia (si, da noi al Sud si portava ancora l’eroina per quelli che volevano essere tossici senza denti e non tutti fatti a cocaina con la giacca e la cravatta, o peggio, con le All star a sessant’anni come il mio ex capo).

Quella di governo me la sono fatta tutta addosso, insieme a tanti giovani dalle belle speranze, laureati, menzionati, blasonati, masterizzati ed emigrati. Non nel senso che mi ha fatto paura, ma in quello più lato di “passarsi una cosa addosso” come “non ti asciugare il sudore addosso che cadi malato”.

Non ve l’ha mai detto vostra nonna?

 La mia sempre, facendomi sciacquare i polsi sotto l’acqua fredda ogni volta che giocavo a nascondino con le amichette del palazzo e tornavo tutta accaldata. Quella di governo è subdola, cresce silenziosa come i bozzoli che si vedono sui tronchi degli alberi. Ti rende pesante, come quando mangi troppo formaggio o troppi funghi o troppe uova a e quando vai in bagno devono chiamare i vigili a spegnere lieviti e fuochi fatui. Non mina ai sogni, ma li rende complessi, tormentati, sfuocati, confusi, sospesi tra la voglia di indipendenza economica e l’impulso di non farselo infilare nel culo ogni volta che strisci il badge. Il mio coinquilino dall’alto dei suoi venticinque anni e l’impossibilità di fare uno stage (perché è trascorso più di un anno dalla laurea, attenzione!) mi ha detto sardonico:

l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.

Dal basso della mia pesantezza, che ti tira atterra e ti impedisce di vedere le cose “alte”, non avevo riflettuto sull’articolo uno delle nostra costituzione. E allora sapete che vi dico? La nostra italietta provinciale e modiaiola se la merita proprio. E io, lasciandomi alle spalle un passato di doverismi e stacanovismi, non vedo l’ora di uscire dal mio ufficio col culo pieno di emorroidi e starmene lì a contemplarla, col mio bel sussidio di disoccupazione e un ghigno pirandelliano, A’ Crisi, inghiottendo un pinnolo e’ manc’ pa  cap* sciolto nell’acqua minerale.

* pillola del menefreghismo, intraducibile.

 

Biùtiful

oltre a Cheyenne e ai parlamentari che lavorano di notte.

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La camomilla in certi momenti di pazzia, i toast imburrati a casa di judith vranken, le cicale di ogliastro marina, certe sere a guardare le stelle dal mio terrazzino, il leggio per ripetere  gli esami, le risate di certe mie amiche napoletane, le lunghe chiacchierate in macchina, le tammurriate, el duende, lo sguardo della mia insegnante di flamenco, il passo felpato di mio padre, il profumo di violetta del guardaroba di mia nonna, il lessico familiare, il rumore dei passi che scricchiolano nella neve, la luce di Helsinki, la brioche di de’cherubini, terraferma di crialese, il primo bagno a gioiosa marea, i tiromancino a capodanno, quitim, la festa estiva dai demartino, lavandare di pascoli, la radiolina di mattina, valeria golino, la forma delle meringhe, il liquore al finocchietto, l’odore della menta, toni servillo e lo spettacolo di goldoni, la compagnia dei celestini, il verbo perplimere, le storie che si inventano i bambini, i palloncini ad elio, il mango, il rumore delle onde del mare,la barbie di colore, certe pelli scure,  la mega luna di santorini, la sauna a inari in mezzo alla foresta, le terme di merano,quel bacio ad occhi chiusi, dormire, la via dell’amore alle cinque terre, la moda anni’30, i capelli di florence and machine, il lancio del bouquet, pen friends and pen pal, ricevere una lettera,  i confetti, il profumo maschile, il plaid, svegliarsi mentre fuori piove, le foglie d’autunno, le passeggiate a berlino, le passeggiate a Budapest,  patinando en madrid, sevilla lontana, le scarpe di flamenco, la rosa nel naviglio, il naviglio di mattina, l’hibiscus per alda merini, i canti gregoriani, la bici in certi giorni di luglio, mio fratello sulla bici, l’altro mio fratello nella  macchina nuova, la palla da basket, i puffi, i biglietti per annunciare una nascita, il pancione, gli uffici con le finestre, gli occhi verdi di maman, lo smalto rosso, il bocchino, la tastiera del pc, quel neo sulle labbra, la piscina a piacenza, svegliarsi in valle, li galli, leggere in treno, l’espressione todo el mundo es un panuelo, per dire che il mondo è  piccolo, eppur così grande. Le piante grasse, i rampicanti, la jacaranda, Poison Ivy.

Non sei perfetta

Un colpo al cerchio e un colpo all’anima.

Non sei perfetta. Non sei perfetta. Non sei perfetta.

Non sei una showgirl e una modella.

Non sai farti le sopracciglia da sola e non sei di quelle ragazze che hanno il polso pieno di braccialetti perfetti.

Insieme a te non ci sto più, guardo le nuvole lassù.

Ti piacerebbe, ma non sei tu. Accettalo, accettati.

E se non accontenti tutti in un giorno chissenefrega.

Chissenefrega, ripetilo come un training autogeno.

Nessuno può mettere baby nell’angolo non funziona più.

Pensiamo a baby prima.

Chi è, cosa vuole, cosa ama.

Baby vuole dormire di più.

A Baby piace la casa pulita.

Ma di una pulizia…naturale.

Baby deve smettere di pensare: stasera lavatrice e cenetta sana.

Domani svuoto il mobile.

Poi finisce che la valigia sta lì per una settimana e baby per reazione mangia 6 Magnum in due giorni.

Azione Baby!

E un pizzico di sano egoismo Baby.

Non pensare di, fallo, come gira la testa senza per forza risalire il corso del fiume controcorrente.

Smetti di programmare.

Baby non ce la fa più, è stanca.

Non sei perfetta.

Non dare di più.

Hai fatto abbastanza Baby.

Baby è una ragazza ansiosa e allora deve smettere di programmare.

Lascia andare.

Fluuuu.

Come il vento.

Lascia andare e queste paure immaginarie andranno via.

Sarai di nuovo in forze.

Baby è intelligente ma non si applica.

Questo è quello che vorrebbe sentirsi dire una ex prima della classe, l’etoile dei teatrini paesani.

Non sei perfetta.

Non sei perfetta.

Non sei perfetta.

Ma tifi sempre Napoli. Tiè.

Santo Wines

Dello scioglimento dei ghiacci

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In vacanza si cerca sole cuore amore e tutte quelle cose calde in grado di sciogliere i cubetti di ghiaccio della routine quotidiana.

In Vacanza a Santorini un bianco cadavere milanese che vede i soli raggi del neon va alla ricerca di un’ insolazione cruda e dei raggi uvb nelle ore di punta.

Il meltemi soffia, il grasso avanza e sulle scottature applichi un’e Continue reading

29

Chi ha il durone la vince.

A ventinove anni si arriva in ritardo su tutto, anche al post del proprio compleanno. L’erba devo cresce sull’erba voglio.  Le amiche son dappertutto: sull’isola, ad Albione, in altri continenti. Sul cuore si passa l’antiruggine due volte al dì e pedala pedala, ti abitui allo scricchiolio sognando prima o poi le mani via dal manubrio. L’arte resta la cosa più bella, ma biecamente non si corre a votare perché, ahimè, non ci si crede più. Vergogna!  A ventinove anni. L’estetica del sacrificio diventa un impegno ingombrante. Via libera alle zanzariere, al guardaroba, all’aspirapolvere, al ripostiglio, al divano, all’orticello. Su Facebook e l’aria condizionata la Suprema Corte non si pronuncia. Rinvio a giudizio anche sul look. Si pensa troppo e il venerdì sera ci si sfalda come l’intonaco. Si viaggia nel letto, con migliaia di sogni affollati nelle ultime ore di sonno. La sveglia è un optional, ci si affida al buon senso, alla portinaia, alle cornacchie sui tetti, alla sciabordare delle lavandare, all’allarme del vicino, alle tende della signora affianco. A 29 anni si scopre Gino Paoli, il jazz e  che un monolocale diventa una doppia con la stessa velocità in cui si monta a neve il bianco. L’arte resta la cosa più bella e guardare le stelle con la brezza marina che fa calar le palpebre. A  ventinove anni quoto  il migliore Margarita della mia vita e il mio primo durone because ladies and gentlemen, the winner is.

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Daverio e l’Italia Unita: non c’è nulla da festeggiare in questo paese decadente

Philippe DaverioFonte: Dn News Milano

D: C’è  poco da festeggiare?

R: Tracciando le linee di questi ultimi 150 anni non posso che vedere che una situazione drammatica, rappresentata nell’arte con il passaggio dal “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo al dito medio di Cattelan. Il primo era un capolavoro assoluto, acquistato dal comune di Milano come il dito. Ma il passaggio tra i due è come il passaggio da Cavour a Berlusconi, una decadenza lenta e inarrestabile. Non parlo di merito artistico, è un dato oggettivo.

D: Come vede le celebrazioni?

R: Al momento vedo solo un’impostazione patriottica, tanti tricolori, tra poco si chiederà il ritorno dei Savoia!

D: Prima era meglio?

Basti pensare a come sono stati festeggiati i precedenti anniversari. Nel 1911 sono stati costruiti l’ Altare della Patria e il Ponte Vittoria. Prima si facevano i ponti sui fiumi, oggi al massimo si fanno i ponti sui week end. Quest’anniversario è un evento storico e non si può prescindere dall’ analisi storica. Farla vuol dire rendersi conto di come sia precipitato in basso questo paese.

(Da Merincontraria e dai tetti piovosi di Milano è tutto. A presto con post meno apocalittici anche se vorrei dire al mio caro Daverio che con Emanuele Filiberto a Sanremo i Savoia sono tornati. Da mò.)