Wabi Sabi

 ventisette primavere nella stanza del tè

 

 

I 25 e i 26 scorrono tra feste a sorpresa e velleità mondane.

Dei 27 neanche una foto, anni vissuti come il criceto che gira nella ruota, ma vissuti, stappati, festeggiati, cucinati, applauditi, adornati di fiori e accompagnati da fave, come si fa da noi a Pasqua vicino al salame e alla ricotta salata.

I 27 sono turgidi, hanno il sapore dei pomodori sardi sgranocchiati come patatine in un pomeriggio così.

Giusto sciacquati prima di essere afferrati con la bocca e addentati dalle mani di qualcun altro.

Prima che te li possano portare via.

Prima che la ruota li travolga, prima che il criceto li rosicchi, prima che il tempo  velocissimo ti confonda: sono solo 27 o sono già 27?

Sono 10 in più dei 17. Clic.

Sono dieci in più di quando tenevi la capa gonfia di ricci e ti mettevi la fascia ed eri bella, ma troppo complessata per rendertene conto, come tutte le adolescenti sudate, innamorate e con gli occhi grondanti di  sogni.

 

Lo sai che il toro è il segno più sexy dello zodiaco?

 

Nei 27 ci entri sciolto, come entri in un post, fingendo con te stesso di essere leggero, diluendo il cambiamento come l’ammorbidente nel detersivo liquido quando lavi i panni di lana.

Ma sai, o almeno senti, quali sono i tuoi profumi, i tuoi colori, perché la nota di Beethoven fuori dalla doccia ti emoziona , perché fuggi su una casa in  colina, perché corri in una camera a gas, perché ti nutri di quell’adrenalina che un po’ ti accarezza e un po’ ti consuma, perché vai, perché resti, perché ritorni, perché ti compri la felicità in un biglietto a teatro.

I 27 vogliono il gesto lento e reiterato, il wabi sabi, lontano dall’odore inebriante del caos, che sempre ti ammalia, ti morde, ti risucchia, ti attanaglia, ma quella donna non sei tu, guardo le nuvole lassù.

 

Wabi sabi:disadorna semplicità, pace, silenzio, eleganza discreta soprattutto  e ancora bellezza antica, ma intrisa di malinconia(…).Ne consegue che la stanza della cerimonia del tè diviene una dimora dell’anima: al vuoto materiale deve corrispondere uno stato di assenza mentale.

 

 

 

O' Mobile

Al salone del mobile vedi tutto, ma proprio tutto, tranne il mobile.

Mangi gelati aggratìs in un bosco artificiale in compagnia di tipi parruccati che vogliono insegnarti la color dance. A te che hai finto una vita di far ballare la tarantella.

Tacco punta, tacco punta, cambio.

Noggrazie, la color dance non la ballo, mi mette l’ansia, prendo però un gelato al mango e le vostre parrucche sono davvero…fighe.

Al salone del mobile bevi birra in bottiglie di vino che si chiamano Audace o Intrigante servita tra lenzuola Marimekko e puff pirotecnici.

Al salone del mobile ti vendono catenine del cesso per bracciali pop e le sorprese delle patatine per anelli cool.

Al salone del mobile bombole ad elio pompano palloni neri e tu fai volare in cielo il tuo palloncino con una frase, una richiesta, un desiderio, cosa che sarebbe molto romantica se al palloncino non fosse attaccato un codice con il tuo indirizzo mail.

Tutto questo perché se il pallone non si schiatta qualche giovine travestito da designer indipendente col ciuffo laterale ti contatterà per esaudire la tua richiesta.

E se io avessi scritto “per le vittime del terremoto”?

Possibile che Berlusconi stanotte ha trovato il mio palloncino ad Arcore e ha pensato di accontentarmi con il G8 all’ Aquila perché risparmiamo 220 milioni?Paura.

Al salone del mobile tutto è gay friendly e il salone del mobile è gay su tutta la linea perché se non sbatti le chiappe non entri nei cocktail free a vedere le sedie di ciniglia.

Al salone del mobile si va essenzialmente per fare fuorisalone e rosicchiare visibilità, perché, come dice saggiamente mia nonna, la verità è che chillo è assaje bello…o’mobile.

Monoglobale

Intro infelice con metafora. Trovare casa a Milano è  come combattere i peli incarniti: un’ impresa  (quasi) impossibile. Poi a furia di scrub e bacheche, di esfolianti e “ci penso un attimo…” eccomi nella mia mansarda armata di cacciavite, una sfinge antisesso con le spalle di Mastro Lindo e la gambe di Renato Gattuso (eliminato il problema dei peli incarniti subentra quello della doppia ricrescita).

Al monolocale e alla sua sanguinolenta solitudo-solitudinis, si arriva dopo un rituale di step obbligati:

  1. lunga condivisione di letto matrimoniale
  2. altrettanto lunga permanenza in “sala”, il porto di mare, il soggiorno da cui tutti passano, su un divano che si apre di notte sprofondando nell’abisso dandy del neo- precariato

Ma soprattutto, al monolocale e alla sua fagocitante solitudo-solitudinis, si arriva dopo essersi imbattuti in un’allegra schiera di potenziali coinquilini, che, usciti dal serial "non varcare quella porta", hanno distrutto ogni speranza di condivisione con la stessa “cazzimma” del cugino che ti dice che Babbo Natale non esiste.

L’artista: gonna zebrata asimmetrica, la sua casa puzza di chiuso, trine e merletti. E’ un’accozzaglia di oggetti strani e polverosi in cui a malapena distingui una renna di peluche da un vassoio a decupage. Il letto dell’artista vintage è faraonico, a baldacchino, dorato e le pantofole sono con le piume, col tacco, Defonseca, di tutti i tipi. La casa dell’artista è decadente come la proprietaria, che dimostra settant’anni anche se ne ha 35.

La neo-separata: dolcissima, carinissima, issima. La neo separata ha una vera casa con una vera televisione a plasma e un vero tavolo di cristallo trasparente. Ha tutti gli elettrodomestici, piumoni nuovi di zecca non Ikea, lo spremiagrumi elettrico,  i pistacchi e il succo d’arancia come aperitivo. La casa della neo-separata è precisissima come la proprietaria, che ti sfila e rinfila il cappotto, ti offre un piatto caldo, pronta a dirottare sulla nuova arrivata tutte le coccole di geisha troncata.

L’alternativa: va in bici, non si capisce che lavoro fa, ha le Converse strappate e i capelli unti. Si dice vegetariana, ma pronta a lavare i tuoi piatti sporchi di carne. Ti offre pistacchi (ancora?) e un buon bicchiere di vino. In un minuto già ha programmato la vostra amicizia, le vostre cene insieme e non vede l’ora di presentarti il suo fidanzato che spera non essere un problema tra voi due. La casa dell’alternativa  porta nel posacenere tutti i segni delle notti brave.

L’incinta: (…).

Escluse queste e le soluzioni gay-friendly, i baratti, i sud-americani di Corso Buenos Aires, il quartiere Pasteur e i sette indiani, l’invisibilità del quartiere cinese, eccomi in un monolocale che sta stretto pure a se stesso, ma che è stato mio fin da subito, per il sogno comune di trasformarci da rottami vintage in monoglobali di successo.

Coccodrillo


                                           

C’e’ chi l’amore lo fa per noia
chi se lo sceglie per professione
bocca di rosa ne’ l’uno ne’ l’altro
lei lo faceva per passione

Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie
quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie

io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore

ma alla fine m’assetto papale
mi sbottono e mi leggo ‘o giornale
mi consiglio con don Raffae’
mi spiega che penso e bevimm’ò cafè

bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä

dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi

e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno come le rose

Da Merincontraria a Fabrizio De Andrè ten years later.
But time is on your side.

Terry Christmas








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Il cartellino

C’è chi timbra il cartellino a lavoro e chi lo timbra con la vita.

Io, vita da precaria, il cartellino in ufficio non l’ho mai timbrato, ma con la vita, con questi due mesi di vita out of side, ho esaurito bandierine, ansia da esperienza, letti, cuscini e sfide con se stessi all’italiana.

Napoli-Milano.

Milano- Piacenza.

Milano- Trento.

Trento- Rimini.

(Bella Trento, a depilarsi le jolande con le amiche felici e nuotare tra la neve altoatesina nelle vasche delle terme di Merano. Viva i canederli, viva le sponde del fiume là sui monti con Annette, viva il vin brulè, viva l’artigianato, i mercatini di Natale, i tramonti arancioni, le schiocche rosse, il vento freddo del mattino, le fragole ricoperte di cioccolato, i laghi, parlare di se stessi e non di lavoro o di cosa passa il cinema, parlare in napoletano, parlare lento, parlare come si parla, perché il parlato è come si è dentro,  lenti, impastati, goderecci e insopportabilmente mediterranei).

No competitive. No- no- no alla Emy Winehouse.

Rimini –Bologna? No, Bologna no, voglio solo dormire 12 ore.

Rimini- Milano.

Milano- Milano palla al centro e se mi inviti al calcetto gioco in porta.

Milano – Napoli rotolando verso Sud e che Dio ce la mandi buona con l’esodo degli immigrati e la guerra all’adipe.

E poi?

Poi sprofonderemo nell’horror vacui natalizio, ma quest’anno, per la prima volta, senz’ansia di fare.

Solo di ballare, ballare, ballare tribale. Ballare autoreferenziale.

 

Wall-e

Foreign contaminant.

In assenza di fotosintesi clorofilliana avevo dimenticato una cosa.

Di essere umana.  Nella spirale fotovoltaica delle mattine milanesi il neon sostituisce il sole e lo sguardo il respiro. Yo soy Woll-e, il nervodolce robottino della Pixar di origini aragonesi. Torero, torero, olè. Non si guardano gli esseri umani da quando lo sguardo ha smesso di suscitare obblighi, ma io li spoglio questi esseri umani che non guardano, assorti negli ultimi best –seller , nelle cuffiette degli mp3 e dei cellulari, nelle cuffie anni ’80 che si portano assai, nei raggi delle bici coi cestelli rosa shocking che sbrodolano buste Upim e Oviesse. Li violento spremendo il senso dell’individualismo inconsapevole e del cocco sulla fronte, come quelli che si portavano negli anni ’80, ma con i capelli più morbidi, senza lacca, per comunicare un idea di finto spettinato sintomo di esistenze geometriche, sbiadite come gli skinny jeans lavati a 90 gradi, appesantite come il tacco a rocchetto,  scandite dal  ritmo un semaforo. Velocissimo, ansimante, orgasmico,  beato lui.

Riassuma brevemente le sue esperienze.

Foreign contaminant, foreign contaminant, scatta l’allarme dell’autodifesa e  una voce metallica racconta a cantilena la tecnofavola di Cappucetto Rosso.

La testa cerca spasmodica sacche di emozione, per risciacquarsi dallo smog come risciacquano i lavaggi degli ospedali . Lo sabe, yo soy pesado, un pesaturo, una suocera senza figli, un’ iconoclasta. Per questo non suono il citofono di Alda Merini, non ho il coraggio.

Milano è come la melanzana fuori tempo. La desideri, te la compri, la paghi il doppio, ma il suo sapore non lo acchiappi. Nun ce sta niente a fà.

Però quando non le chiedi niente, ti regala le casette immobili da guardare attraverso la tela di un ombrellino rosso,il silenzio monumentale di Sant’Ambrogio la domenica mattina, un raggio di sole inaspettato sotto un abete al Parco Sempione che ti fa ossigenare e ti salva dalla cacata di un cane. E poi, foreign contaminant, non ci resta che piangere, guardare, buttarci e contaminarci.