Se telefonando

Travesti_menti fino a pensare che in un’altra vita ero un transessuale.
O una costumista. Perchè rendere le idee con gli abiti mi viene facile e soprattutto guadagna piccioli. Vedi Mauro, ex Platinette, che attira miliardi col suo naso da dinosauro transgender per il solo fatto di esseri spogliato. E lì tutti gli amici di Buona Domenica e dell’Italietta dell’avanspettacolo a dire che persona speciale e profonda che è Mauro. Non che non lo sia. Ma montarci un intera striscia televisiva dell’ Italia su due mi sembra davvero maleducato rispetto a chi, come me, nel travesti_mento conserva l’ identità di genere. Perchè mi vesto da ancella pompeiana e non da centurione, da popolana e non da contadino, da ragazza della paranza quando vado alle feste popolari con tanto di nacchere perchè se dico castagnelle nessuno mi capisce e gonna a balze che ti rende una femmina con la effe maiuscola. E che dire di Minnie?
Ma non perchè è Carnevale e ogni scherzo vale. Ma per ricordarmi a cosa servono la laureaconmenzione, la tesseradigiurnalista, il master e il corsodiformazione.
Minnie. Con la testa di gommapiuma come quelle dell’Edenlandia. Che non vedi se non attraverso il buco della bocca. E puzza, puzza, madonna quanto puzza di piscio di cane. Perchè prima di te qualche altro animatore in cerca del posto al sole ha splattato la sua saliva nell’impossibilità di respirare.
E ti va bene se il giorno dopo non ti svegli con le afte in bocca e la boccarola come ce l’aveva la buonanima del mio fruttivendolo.
Minnie. Dopo un due ore a salutare bambini viziati con la festeggiata di sei anni italoinglese che continua a ripetere seat minnie, seat! dance minnie! It’s enough dancing ho pensato di fare uno strascino con i capelli della principessa vestita da principessa. I miei compari Mickey Mouse e Winnie the Pooh, mi hanno trattenuto con la camicia di forza. Winnie ha addirittura buttato la maglietta tanto che era sudata. Tieni duro, Minnie! E comuqnue i bambini viziati hanno avuto come bomboniera due mega giochi della clementoni e caramelle e dolci che si vedono solo nella Fabbrica del Cioccolato e candy flow che le mamme si ingozzavano con la scusa di aiutare i figli piccoli a mangiare. Fine primo tempo.
Anche Brad Pitt ha fatto il ragazzo pollo. Questo mi ripetevo mentre il cellofan con cui avevo riempito le orecchie per tenerle dritte mi strozzava uso cordone ombelicale.
Anche Brad Pitt ha fatto il ragazzo pollo. Chissà se gli è rimasta la voglia di mc nuggets come a me di gelato allo strawberry.
Atto primo. Io arsi.
Mi è sembrato tutto il tempo che non ci fosse acme, ma una tensione sottile mi è rimasta tutta la sera, la notte e un giorno ancora. La nevrosi della commedia dell’arte con i colori del glicine e della cipria ed una pulizia polverosa che riconosco sempre in lui e nella sua ragnatela. Teatro di bravure e di meriti ma basta dire teatro. Un’iniezione di fiducia per una venticinquenne idealista.
A seguire, catarsi.
Andare in villeggiatura restando aggrappati al davanzale. Sentire i volti, ogni singola ruga, il fruscio dei vestiti, l’ostacolo ai movimenti, il luccichio delle scarpe dal buco del culo. Perché il loggione è il buco del culo di un teatro e io vorrei fare il volo dell’angelo ma desisto. Sbatterei contro il soffitto. Faccio come Giacinta, copro occhi e anima con un cappello di paglia: ascolto le cicale, i suoni me li faccio bastare. Se tutto è finzione, Goldoni come Servillo, oggi come allora, imbrigliati in calcoli che sembrano desideri, io sono l’ultima fila di un teatro del settecento. Sono il pubblico delle tazze vuote e dei bustini troppo attillati, delle scene geometriche e del mal di schiena. Ma le voci… Fremo! Il diaframma incalza il punto di fine frase e tutto il resto è fiato. Voglio sedermi sullo sgabello a gambe incrociate con la stessa grazia di Eva Cambiale.
Tutti facciamo le valigie per andare in vacanza da noi stessi e consegnarci all’afa dell’altrove. Tutti rinunciamo ad essere e giochiamo a nascondino nei boschi delle emozioni. E se qualcuno ama e dice la verità, come Tonino, gli altri lo chiamano scemo.
Sul finire poiesi e piansi.
Finale asciutto e applausi. Braviiiiiii: il mio urlo dal buco del culo. Un signore inciampa in prima fila perchè non può aspettare neanche la seconda chiamata per andarsene, ma forse non è il Padreterno che è grande, magari lui vuole solo telefonare a casa per chiedere come si gioca a rubamazzetto. Lettura a sorpresa dell’Imputata di Eduardo. Servillo non è più Ferdinando, ma Toni, occhi grandi, Napoli, befana, munnezza, cultura, sassi e ringrazia. Lui a noi. E’ veramente troppo per il mio povero cuore. Le sinapsi resteranno menomate per sempre.
Napoli, Teatro Mercadante, 6/01/2008
Il superenalotto l’hanno vinto due operai della provincia di Roma che da dieci anni hanno giocato sempre gli stessi numeri. Lorenzo che quando io ero piccola si chiamava Jovanotti ha perso il fratello in un incidente aereo pochi mesi fa e si è intossicato le feste, come Mad, come me con mia nonna due anni fa. Ma io ci parlo sempre con mia nonna, non è cambiato proprio nulla nel nostro rapporto, questo dirò a Mad non appena la vedo. Voglio imparare i nomi di tutti gli alberi, fare le passeggiate naturalistiche, adottare 200 bambini a distanza, scrivere un libro tutto mio o quanto meno un cappello importante su Vanity Fair o un chick- lit a quattro mani con wlemetafore e voglio che me lo presenti Francescobis e che vengano tutti i blogger che mi commentano, dimagrire sette chili continuando ad abboffarmi, fare una collezione di percussioni, andare in messico, africa e e giappone, viaggiare viaggiare viaggiare prima a Llondra e andare dal parrucchiere con justila e fare la pasquetta nella mia terra a Moiano con il Lepro e Geo che suonano la chitarra e tutti i miei amici felici che sbattono le mani. Voglio che la Principessa si fidanzi, che mio padre vinca la causa, che ombrettina ritorni a danzare, che tutti quelli del master e del corso di formazioni e dell’erasmus trovino la loro stella in cielo anche se ci vedremo sempre di meno ma spero sempre a teatro.Voglio fare i miei complimenti a Toni Servillo che diventerà sempre più famoso. Voglio imparare a cucinare come mia mamma e le mie zie che vanno a fare i roccocò nel forno e ad ascoltare la pancia. Voglio fare sesso per ore. Voglio l’antidoto contro la dermatite da stress, voglio fare i clic che fa la blondette, che immortala i momenti senza la macchina fotografica. Voglio tante serate nella comfort zone dei miei amici, della casa di pep e della mia famiglia. Voglio tante serate fuori la comfort zone, quelle serate quando piango nel letto e mi sento incapace di amare. Quelle serate social zone in cui dopo dieci anni si chiudono i cerchi e ti devi subire pure la musica progressive in una marbella. Ultimo, ma non ultimo, voglio che le femmine si levino il burca e si possano fare dei bagni sistemati a mare e che a Oslo cada la neve per la bambina prodigio.
E canta canta, si esce o sole esce pè tutt’ quant…
Buon 2008.
Marco Lodoli (1956 – vivente), scrittore e giornalista italiano.
Anche quest’anno è andato tutto bene. Io ho avuto un paio di cravatte, un libro, l’ennesimo rasoio elettrico. I bambini hanno cominciato a giocare sul tappeto con i loro attrezzi elettronici, mentre mia moglie faceva girare gli aperitivi. A tavola, come al solito, abbiamo un po’ litigato parlando di politica, esattamente come ogni anno. La più grande delle mie nipoti, ha quasi diciott’anni ed è ribelle e arrabbiata come lo ero io, vorrebbe un mondo in cui tutti fossimo in pace, senza poveri, senza esclusi. Questa vita è ingiusta, ha detto, butta via la gente, la fa morire. Nessuno dovrebbe morire, ha gridato. Per riportare un po’ d’allegria a tavola, mio cognato ha raccontato come sempre due barzellette. Una era la stessa dello scorso Natale, ma nessuno l’ha interrotto. Dopo il panettone e il caffè, ci siamo sistemati sui divani per continuare a chiacchierare e bere un cognac. E dopo mezz’ora le parole sono iniziate a mancare ed è scesa la malinconia che segue la festa, qualche bambino sbadigliava tra i fogli accartocciati dei regali, e allora io ho acceso la televisione. (da Natale)
Merincontraria ( 1982- vivente ) , aspirante ragazza felice che ce l’ha messa tutta ma che a Natale va in ansia da prestazione.
Anche quest’anno è andato tutto bene. Io ho avuto una collana etnica, orecchini romantici, pantofole fashion, perizomi da combattimento, il primo carillon della vita mia, l’ennesimo regalo riciclato. Un tubo dell’acqua è scoppiato all’improvviso, ci siamo allagati e mia mamma ha compiuto 52 anni su una torta ricotta e pere a cui mancava una fetta e che io ho coperto col pungitopo pungendomi tutte le dita e bestemmiando tutti i santi. Mio zio, come al solito, ha parlato dei fasti dei tempi che furono, accentrando la discussione, e noi l’abbiamo guardato con occhi ammirati, esattamente come ogni anno. Mia cugina piccola ha toccato tutte le mie cose e ha voluto che le facessi i ricci. Poi ha pianto perché mia zia stava in ospedale. Per riportare un po’ di allegria a tavola, abbiamo cantato tutti oh happy days con la mano sul cuore come dei veri gospel negri e abbiamo fatto l’applauso dopo la poesia. Dopo i roccocò e il limoncello, qualcuno è andato alla messa di mezzanotte, qualcuno (le femmine) ha lavato a terra, qualcuno ha fatto un rutto al retrogusto di baccalà. E dopo mezz’ora le parole sono iniziate a mancare ed è scesa la malinconia che segue la festa, e allora io ho acceso la televisione, poi la radio, poi il telefonino e poi mi sono messa a scrivere sul blog.
E allora stop, dimentica. E io avevo dimenticato. Subito, rimosso. L’aria fredda della mattina, la lotta al sediolino, il gomito nello sterno, la fermata Villa delle Ginestre, il finestrino con gli spifferi, i giovani senza soldi e i vecchi senza pensione. Ma quelli per davvero, non quelli come noi. E poi l’ho vista. Di nuovo. Finalmente. L’ho vista quando è più bello vederla: al risveglio, col rimmel sciolto e la spallina della sottana che cade dalla spalla.
E’ una gran puttana, ho pensato.
Ma il suo inconfondibile odore di brioche calda e pesce e acqua sporca, mhmm…quanto mi sono mancati. L’ho spogliata e bevuta tutta, nel rituale di sempre, nella strada che facevo, nelle facce di ogni giorno, come la volevo, come me la ricordavo. Le bancarelle dei cd, i vetri appannati con i crocchè del giorno prima, i marocchini con gli occhi belli, gli sfaccendati con gli sguardi sopra la folla, il casino, le macchine, le due scimpanzè delle sigarette dove stanno, mica sono finite dentro? Le stelle di natale a tre euro, i pantajazz finti dimensione danza a quattr’euro, me lo compro? No, non fa niente, la devo finire di fare la pezzara. Il traffico, esce una testa di marmo porta Nolana, chi è? Non leggo, per mettermi gli occhiali vintage non ci vedo bene… E poi spacca spacca, sali dentro San Biagio, il freddo nelle orecchie, speriamo di trovare qualcuno per il caffè, il fiatone, chissà come sarebbe stato se ci avessi studiato, chissà come deve essere viverci, chissà come deve essere nascerci. Dietro al secchio della munnezza uno specchio gigante: perché? Lasciamo pulito il quartiere. Forcella? E se la camorra mi spara? Nah, cammina. Uh, ho dimenticato di guardare il Trianon Viviani. Quanto costa questa tammorra? 50. Cinquant’. Ma tu si scem’? Ueeeeeè, che abbraccio. Che intenso. Dura 4 anni che sono quattro secondi in cui si prova a raccontare ma cià cià devo andare a lavorare. Mi potrei comprare la tombola, il tamburello, il triccaballacche, la pizza di ceramica, ma non mi compro niente. Sono paralizzata e invisibile. Camomilla, il negozio, mi chiude la saracinesca in faccia, i bambini ridono e mi spingono di qua e di là, i fidanzati si amano e i Natalizi amano il Natale e il popolo fa shopping. E io? Io mi nascondo in una chiesa. E’ quella del Cristo velato? No, è la chiesa con un presepe grande grande, grandissimo, infizzato in una sacrestia retrobottega che devi fare vicoli e vicoletti come un film di Dario Argento per arrivarci. Una testa fa un movimento da dentro una finestrella e mi accende le lucine. Non lo vedo nel buio. Voglio pensare che è un vecchio. Non mi vedo nel buio. Voglio pensare che è il ciclo e che il presepe è troppo grande per mangiarmi meeeglio. Vedo solo lei: la mia città baldracca natalizia. Finalmente.