Se telefonando

Ora che sono in-occupata e non posso scrivere un post sulla vita della storyliner posso scrivere che odio il telefono. Lo diceva anche Marshall Mc Luhan: il telefono è un medium invadente. Odio il telefono quando:
 
è inverno, sei sotto la doccia e tua madre ti porta il cordless nella cabina
è inverno, esci dalla doccia e stai per asciugarti i capelli
appena ti alzi dal letto
sul finale del film home video
sul finale del dvd quando le pile del lettore sono scariche e non puoi premere pause
prima di una fetta di tacchino fumante quando sei a dieta
appena torni dalla palestra
cinque minuti prima di un appuntamento per cui non ti sei ancora vestito
mentre cucini
mentre lavi i piatti
 
Odio il telemarketing, i sondaggi,  le lamentele telefoniche, i resoconti dettagliati su quello che hai mangiato, le telefonate di chi ha perso il treno, l’autobus, il tram, la bici, il monopattino e invece dell’attesa ammazza te, le telefonate doppie (quelle in cui l’interlocutore mentre parla con te parla anche con la zia invalida), le telefonate a sorpresa con le brutte notizie. Di qui un odio per il telefono fisso, ancestrale, totalizzante, irreversibile. ET tele-fono ca-sa. 
Salvo le telefonate rosa – cazzeggio al femminile a tema bollente – centellinate a poche elette a cui quando sono over dico liberamente mò mi sono esaurita e ti devo lasciare, le telefonate in inglese, le telefonate flash, le telefonate che chiamo io (rarissime), le telefonate nnammurate (notturne), le telefonate con mia nonna sorda e…basta. Poi a telefono io cambio voce, sembro sempre incazzata, ma forse al momento in quanto ex storyliner ne ho pure il diritto.
Viva viva gli sms. Viva le mail. Viva le lettere con la carta profumata.
Viva la scrittrice francese Amelie Nothomb che vive senza nessun mezzo di comunicazione che inizia o finisce per tele.
Se telefonando io potessi dirti addio, ti chiamerei…
Ma anche no.
 
 

Tra_vesti e menti

Travesti_menti fino a pensare che in un’altra vita ero un transessuale.

O una costumista. Perchè rendere le idee con gli abiti mi viene facile e soprattutto guadagna piccioli. Vedi Mauro, ex Platinette, che attira miliardi col suo naso da dinosauro transgender per il solo fatto di esseri spogliato. E lì tutti gli amici di Buona Domenica e dell’Italietta dell’avanspettacolo a dire che persona speciale e profonda che è Mauro. Non che non lo sia. Ma montarci un intera striscia televisiva dell’ Italia su due mi sembra davvero maleducato rispetto a chi, come me, nel travesti_mento conserva l’ identità di genere. Perchè mi vesto da ancella pompeiana e non da centurione, da popolana e non da contadino, da ragazza della paranza quando vado alle feste popolari con tanto di nacchere perchè se dico castagnelle nessuno mi capisce e gonna a balze che ti rende una femmina con la effe maiuscola. E che dire di Minnie?
Ma non perchè è Carnevale e ogni scherzo vale. Ma per ricordarmi a cosa servono la laureaconmenzione, la tesseradigiurnalista, il master e il corsodiformazione.
Minnie. Con la testa di gommapiuma come quelle dell’Edenlandia. Che non vedi se non attraverso il buco della bocca. E puzza, puzza, madonna quanto puzza di piscio di cane. Perchè prima di te qualche altro animatore in cerca del posto al sole ha splattato la sua saliva nell’impossibilità di respirare.
E ti va bene se il giorno dopo non ti svegli con le afte in bocca e la boccarola come ce l’aveva la buonanima del mio fruttivendolo.
Minnie. Dopo un due ore a salutare bambini viziati con la festeggiata di sei anni italoinglese che continua a ripetere seat minnie, seat! dance minnie! It’s enough dancing ho pensato di fare uno strascino con i capelli della principessa vestita da principessa. I  miei compari Mickey Mouse e Winnie the Pooh, mi hanno trattenuto con la camicia di forza. Winnie ha addirittura buttato la maglietta tanto che era sudata. Tieni duro, Minnie! 
E comuqnue i bambini viziati hanno avuto come bomboniera due mega giochi della clementoni e caramelle e dolci che si vedono solo nella Fabbrica del Cioccolato e candy flow che le mamme si ingozzavano con la scusa di aiutare i figli piccoli a mangiare. Fine primo tempo.
Anche Brad Pitt ha fatto il ragazzo pollo. Questo mi ripetevo mentre il cellofan con cui avevo riempito le orecchie per tenerle dritte mi strozzava uso cordone ombelicale.
Anche Brad Pitt ha fatto il ragazzo pollo. Chissà se gli è rimasta la voglia di mc nuggets come a me di gelato allo strawberry.

Vacanze Romane

Esterno giorno. Sole di capitale in vacanze romane. Per dare una chance all’aria, come dice l’amica bambina prodigio. Protagonisti: la nostra Merin e in-soliti ignoti. Profilo personaggi:
 
Cicerone; responsabile di benvenuto ar cuppolone. Automunito e rigorosamente sconosciuto, se non per la distanza di cento pagine che ci incastra nella stessa antologia. Fido compagno della mostra pop art alle scuderie del quirinale, nasconde dietro l’occhialetto da intellettuale e il sorriso rassicurante un’ammirazione segreta per i fasci di combattimento. Metterebbe al rogo tutta l’arte medievale compresa la statua di Giordano Bruno a Campo dè fiori. Grande fan del neomelodico Joe Pellicano, è l’amante segreto di Caterina Caselli. Imbattibile nel gioco aperitivo.
 
Mario Monicelli; Figura speciale.
 
Amico asessuato; mi scorta nel quartiere trasteverino zaino in spalla (mio) lungo una serie di cunicoli che portano dritto a un covo di napoletani fans del Napoli che la domenica giocano la scommessa e guardano la partita dividendo allegramente pasta al forno e raù. Grandi sostenitori dello studio solidale e della pausa sigaretta fanno un quadro della situazione senza troppi frizzi e lazzi: vagina migrante in mezzo a cinque pistoli ( quattro, se si considera che l’amico è asessuato e per atto di rispetto ha messo nel letto matrimoniale pure le lenzuola pulite singole).
 
Il gigolò; accompagnatore last minute della Cinderella paesana. Dopo un impatto sospetto in accappatoio amaranto si rivela un prezioso tom tom notturno e diurno sui sentieri dell’antica Roma e del bar Callisto, ribattezzato il suzzuso. Nella sua ottica algoritmica la presentazione di un libro è un’esperienza esotica. Nobel per un’ora di pippe letterarie più tre ore di cena senza battere ciglio. Allo scoccare della mezzanotte: mò però ti devi mettere il cappotto e ce ne dobbiamo andare. Una parola è poco, due sò assai.
 
Gli inadatti; più che al volo, sono inadatti al velo e già sperano in una seconda antologia a sfondo erotico. Si inizia a vizi capitali e si finisce a giocare a basket tra le mie tette con le molliche di pane. C’è n’ è per tutti i gusti: la fatina scienziata con marito con cui avrei voluto chiacchierare di più, la biologa scalmanata con l’orso Yogi, la signorina nazional popolare in attillatissimo abito cinese, Papà Gambalunga in raffinato cappotto ocra, di nuovo il Cicerone, però ubriaco, il mio coinquilino ideale, troppo dolce, cucinerei per lui, già gli voglio bene e che ho di sicuro conosciuto in Finlandia, una calda testa d’albero che è l’irriverenza fatta persona oltre che una bella penna. Last but not least, il mitico AlbertoMele, che ha preferito perdersi nel vizio personale più che in quello capitale.
 
L’antologo: malvagio architetto di riuscitissimi eventi come questo. Su di lui circolano varie voci, ma la tesi più condivisa è che l’obiettivo dell’antologia non era la beneficenza ai bambini ammalati ma lo svuotamento del suo scroto. Ci riuscirà?
 
Chiudi sullo sguardo inquietante di Giordano Bruno.
Colonna sonora: ovviamente Vacanze romane di Antonella Ruggiero.

Titoli di coda.
 
 
 
 

Au regime

Ma quale corretta alimentazione?
Fecero bene i francesi quando scelsero au regime per chiamarla.
Perché  dieta è stare a regime punto e basta.
Puoi sbatterti come vuoi ma l’unico modo per dimagrire è non mangiare. La corretta alimentazione viene dopo. Molto dopo. Quando, dopo aver superato la rota da carboidrato con tremolii e palpitazioni annesse che si blocca solo quando sbricioli in bocca un burroso granetto allo strutto, raggiungi il peso forma e passi all’ambiguità semantica assoluta: il mantenimento.
Ma le faq sul mantenimento (tipo, se mangio una frittatina con due tuorli e albumi a quantità il giorno dopo dovrò fare una dieta d’attacco?) ce le porremo quando verrà il tempo.
Intanto devo sopravvivere alla fase 1 che prevede:
La consulente nutrizionale: l’amica di una vita con cui esci il sabato e che ti farà un occhiataccia impercettibile ai maschi quando superi la soglia di una birra 0,20 chiara possibilmente analcolica.
La socia: ex coinquilina all’estero con cui si sfriggevano funghi knorr alle 6 del mattino, l’amica delle sbofariate domenicali e del mosto selvatico a dieta perché in due è più facile. Motivatissima perché ex ragazza magra e sofferente.
Mia mamma: il suo retaggio ercolanese le impedisce di cucinare leggero. Figlia di una donna, mia nonna, che a natale va ancora a fare i roccocò nel forno del panettiere. Ottima cuoca, si batte perché gli gnocchi con la salsa siano inseriti nel mio regime, ma se metto un grammo esordisce in: non hai più collo, sei corta e chiatta.
La mamma della socia: salutista, dice a me e alla socia solo sei corta e chiatta. Ergo, vuttazzella, piccola botte. Senza neanche dolcificante.
Il mondo: ringrazio tutti coloro che mi hanno chiamato “signora” durante tutte le feste di Natale per avermi dato questo stimolo. Ringrazio tutti coloro che dicono sei folle, stai bene così, è la tua costituzione, tu sei formosa. Grazie, ce la faccio anche senza Kalo.
L’eating emozionale: tutta colpa sua. Sono una guaglione sensibile ( come l’avrebbe detto la buonanima di Mariomerola).
L’alibi: non è perché i modelli mediali ci orientano alla magrezza, no, è perché mi sento le gambe pesanti, si, si, soprattutto quando ballo.
Il metabolismo: lento.
La verità: mi fa male lo so.
Il monito: alla prossima abboffata di brownies al cioccolato made in lisboa che tuo padre ha arricettato in chissà quale discount e tu ti sbrani con tutta la confezione, rigorosamente da sola come tutte le ragazze chiattuncelle che davanti agli altri non magnano, ricorda come ci si sente a fissare il bambino nazista che addenta la kinder paradiso con la bava alla bocca. Ad alzarsi dal letto al mattino perché hai la vescica come una pentola a pressione. A mangiare alle 6 del pomeriggio prima di andare a cinema. A poterti pigliare solo un tè che ti sciacqua la panza in un cazzo di bar qualsiasi. All’altalena e alla fisarmonica. A poter anche solo pensare al caffè con l’aspartame (mai!). A inventare un dessert di yogurth bianco, pezzetti di mela e una spolverata di cacao amaro (nella variante ciocorì la spolverata è sulla galletta). Ad essere l’oggetto della tavolata: stai a dieta? Ma stai bene… Ma stai a dieta? Ci pensi lunedì. Ma stai a dieta?  Sguardi di solidarietà delle bee bip del metabolismo. Alla prossima abboffata ricordati quel gioco che facesti ai tempi dell’università con la tua amica secca: mangiamo per due giorni le stesse cose e ti ritrovasti con la cellulite nel pomo d’adamo.
Avviso agli utenti: causa mancanza di serotonina i commenti saranno moderati.

Trilogia della villeggiatura

 

 

Atto primo. Io arsi.

 

Mi è sembrato tutto il tempo che non ci fosse acme, ma una tensione sottile mi è rimasta tutta la sera, la notte e un giorno ancora. La nevrosi della commedia dell’arte con i colori del glicine e della cipria ed una pulizia polverosa che riconosco sempre in lui e nella sua ragnatela. Teatro di bravure e di meriti ma basta dire teatro. Un’iniezione di fiducia per una venticinquenne idealista.

 

A seguire,  catarsi.

 

Andare in villeggiatura restando aggrappati al davanzale.  Sentire i volti, ogni singola ruga, il fruscio dei vestiti, l’ostacolo ai movimenti, il luccichio delle scarpe dal buco del culo. Perché il loggione è il buco del culo di un teatro e io vorrei fare il volo dell’angelo ma desisto. Sbatterei contro il soffitto. Faccio come Giacinta, copro  occhi e anima con un cappello di paglia: ascolto le cicale, i suoni me li faccio bastare. Se tutto è finzione, Goldoni come Servillo, oggi come allora,  imbrigliati in calcoli che sembrano desideri,  io sono l’ultima fila di un teatro del settecento. Sono il pubblico delle tazze vuote e dei bustini troppo attillati, delle scene geometriche e del mal di schiena.  Ma le voci… Fremo! Il diaframma incalza il punto di fine frase e tutto il resto è fiato. Voglio sedermi sullo sgabello a gambe incrociate con la stessa grazia di Eva Cambiale.

Tutti facciamo le valigie per andare in vacanza da noi stessi e consegnarci all’afa dell’altrove. Tutti rinunciamo ad essere e giochiamo a nascondino nei boschi delle emozioni. E se qualcuno ama e dice la verità, come Tonino, gli altri lo chiamano scemo.

 

Sul finire poiesi e piansi.

 

Finale asciutto e applausi. Braviiiiiii: il mio urlo dal buco del culo. Un signore inciampa in prima fila perchè non può aspettare neanche la seconda chiamata per andarsene, ma forse non è il Padreterno che è grande, magari lui vuole solo telefonare a casa  per chiedere come si gioca a rubamazzetto. Lettura a sorpresa dell’Imputata di Eduardo. Servillo non è più Ferdinando, ma Toni, occhi grandi, Napoli, befana, munnezza, cultura, sassi e ringrazia. Lui a noi. E’ veramente troppo per il mio povero cuore. Le sinapsi resteranno menomate per sempre.

 

Napoli, Teatro Mercadante, 6/01/2008

 

Vintage

Quest’anno i saldi li faccio a casa mia.
Stasera ho fatto un giro nei grandi magazzini della stanza da letto di mia mamma e dagli scatoloni sepolti in fondo al guardaroba ho racimolato:
  • Basco in feltro nero con stemmino di Bugs Bunny e la scritta What’s up doc che non ho mai capito che cosa significa (Usa, 1995, Warner Bros Stores)
  • Occhiali Givenchy con vetro sfumato verde e montatura in celluloide marrone (Parigi, 1970, amica di scuola di mia mamma)
  • Foulard seta giallo con motivi geometrici verde smeraldo (Asia, data imprecisata, creanza fatta a mia nonna quando lavorava nelle ferrovie dello Stato)
  • Pashmina nera etnica (Negozio più chic che radical della penisola sorrentina, 2006, 50 euro, ex copritette per la cerimonia nuziale)
  •  Guanti color pesca con deliziose perline bianche cucite sul dorso della mano (Zia o madrina della comunione ai tempi della prima comunione).
Mi manca solo un giro nella roba di carnevale giù al garage e sono pronta ad affrontare l’anno nuovo con un guardaroba da schianto, cioè proprio che mi viene un infarto quando mi guardo allo specchio.
Più vintage di così…
E mi raccomando, che la pronuncia sia /véntadg/, alla francese, l’age du vin e non all’inglese /vinteig/.

Otto

Il superenalotto l’hanno vinto due operai della provincia di Roma che da dieci anni hanno giocato sempre gli stessi numeri. Lorenzo che quando io ero piccola si chiamava Jovanotti ha perso il fratello in un incidente aereo pochi mesi fa e si è intossicato le feste, come Mad, come me con mia nonna due anni fa. Ma io ci parlo sempre con mia nonna, non è cambiato proprio nulla nel nostro rapporto, questo dirò a Mad non appena la vedo. Voglio imparare i nomi di tutti gli alberi, fare le passeggiate naturalistiche, adottare 200 bambini a distanza,  scrivere un libro tutto mio o quanto meno un cappello importante su Vanity Fair o un chick- lit a quattro mani con  wlemetafore e voglio che me lo presenti Francescobis e che vengano tutti i blogger che mi commentano, dimagrire sette chili continuando ad abboffarmi, fare una collezione di percussioni, andare in messico, africa e e giappone, viaggiare viaggiare viaggiare prima a Llondra e andare dal parrucchiere con justila e fare la pasquetta nella mia terra a Moiano con il Lepro e Geo che suonano la chitarra e tutti i miei amici felici che sbattono le mani. Voglio che la Principessa si fidanzi, che mio padre vinca la causa, che ombrettina ritorni a danzare, che tutti quelli del master e del corso di formazioni e dell’erasmus trovino la loro stella in cielo anche se ci vedremo sempre di meno ma spero sempre a teatro.Voglio fare i miei complimenti a Toni Servillo che diventerà sempre più famoso. Voglio imparare a cucinare come mia mamma e le mie zie che vanno a fare i roccocò nel forno  e ad ascoltare la pancia. Voglio fare sesso per ore. Voglio l’antidoto contro la dermatite da stress, voglio fare i clic che fa la blondette, che immortala i momenti senza la macchina fotografica. Voglio tante serate nella comfort zone dei miei amici, della casa di pep e della mia famiglia. Voglio tante serate fuori la comfort zone, quelle serate quando piango nel letto e mi sento incapace di amare. Quelle serate social zone in cui dopo dieci anni si chiudono i cerchi e  ti devi subire pure la musica progressive in una marbella. Ultimo, ma non ultimo, voglio che le femmine si levino il burca e si possano fare dei bagni sistemati a mare e che a Oslo cada la neve per la bambina prodigio.

E canta canta, si esce o sole esce pè tutt’ quant…

Buon 2008.

X – Mas

Marco Lodoli (1956 – vivente), scrittore e giornalista italiano.

Anche quest’anno è andato tutto bene. Io ho avuto un paio di cravatte, un libro, l’ennesimo rasoio elettrico. I bambini hanno cominciato a giocare sul tappeto con i loro attrezzi elettronici, mentre mia moglie faceva girare gli aperitivi. A tavola, come al solito, abbiamo un po’ litigato parlando di politica, esattamente come ogni anno. La più grande delle mie nipoti, ha quasi diciott’anni ed è ribelle e arrabbiata come lo ero io, vorrebbe un mondo in cui tutti fossimo in pace, senza poveri, senza esclusi. Questa vita è ingiusta, ha detto, butta via la gente, la fa morire. Nessuno dovrebbe morire, ha gridato. Per riportare un po’ d’allegria a tavola, mio cognato ha raccontato come sempre due barzellette. Una era la stessa dello scorso Natale, ma nessuno l’ha interrotto. Dopo il panettone e il caffè, ci siamo sistemati sui divani per continuare a chiacchierare e bere un cognac. E dopo mezz’ora le parole sono iniziate a mancare ed è scesa la malinconia che segue la festa, qualche bambino sbadigliava tra i fogli accartocciati dei regali, e allora io ho acceso la televisione. (da Natale)

Merincontraria ( 1982- vivente ) ,  aspirante ragazza felice che ce l’ha messa tutta ma che a Natale va in ansia da prestazione.

Anche quest’anno è andato tutto bene. Io ho avuto una collana etnica, orecchini romantici, pantofole fashion, perizomi da combattimento, il primo carillon della vita mia, l’ennesimo regalo riciclato. Un tubo dell’acqua è scoppiato all’improvviso, ci siamo allagati e mia mamma ha compiuto 52 anni su una torta ricotta e pere a cui mancava una fetta e che io ho coperto col pungitopo pungendomi tutte le dita e bestemmiando tutti i santi. Mio zio, come al solito, ha parlato dei fasti dei tempi che furono, accentrando la discussione, e noi l’abbiamo guardato con occhi ammirati, esattamente come ogni anno. Mia cugina piccola ha toccato tutte le mie cose e ha voluto che le facessi i ricci. Poi ha pianto perché mia zia stava in ospedale. Per riportare un po’ di allegria a tavola, abbiamo cantato tutti oh happy days con la mano sul cuore come dei veri gospel negri e abbiamo fatto l’applauso dopo la poesia. Dopo i roccocò e il limoncello, qualcuno è andato alla messa di mezzanotte, qualcuno (le femmine) ha lavato a terra, qualcuno ha fatto un rutto al retrogusto di baccalà. E dopo mezz’ora le parole sono iniziate a mancare ed è scesa la malinconia che segue la festa, e allora io ho acceso la televisione, poi la radio, poi il telefonino e poi mi sono messa a scrivere sul blog.

Napolì

E allora stop, dimentica. E io avevo dimenticato. Subito, rimosso. L’aria fredda della mattina, la lotta al sediolino, il gomito nello sterno, la fermata Villa delle Ginestre, il finestrino con gli spifferi, i giovani senza soldi e i vecchi senza pensione. Ma quelli per davvero, non quelli come noi. E poi l’ho vista. Di nuovo. Finalmente. L’ho vista quando è più bello vederla: al risveglio, col rimmel sciolto e la spallina della sottana che cade dalla spalla.

E’ una gran puttana, ho pensato.

Ma il suo inconfondibile odore di brioche calda e pesce e acqua sporca, mhmm…quanto mi sono mancati. L’ho spogliata e bevuta tutta, nel rituale di sempre, nella strada che facevo, nelle facce di ogni giorno, come la volevo, come me la ricordavo. Le bancarelle dei cd, i vetri appannati con i crocchè del giorno prima, i marocchini con gli occhi belli, gli sfaccendati con gli sguardi sopra la folla, il casino, le macchine, le due scimpanzè delle sigarette dove stanno, mica sono finite dentro? Le stelle di natale a tre euro, i pantajazz finti dimensione danza a quattr’euro, me lo compro? No, non fa niente, la devo finire di fare la pezzara. Il traffico, esce una testa di marmo porta Nolana, chi è? Non leggo, per mettermi gli occhiali vintage non ci vedo bene… E poi spacca spacca, sali dentro San Biagio, il freddo nelle orecchie, speriamo di trovare qualcuno per il caffè, il fiatone, chissà come sarebbe stato se ci avessi studiato, chissà come deve essere viverci, chissà come deve essere nascerci. Dietro al secchio della munnezza uno specchio gigante: perché? Lasciamo pulito il quartiere. Forcella? E se la camorra mi spara? Nah, cammina. Uh, ho dimenticato di guardare il Trianon Viviani. Quanto costa questa tammorra? 50. Cinquant’. Ma tu si scem’? Ueeeeeè, che abbraccio. Che intenso. Dura 4 anni che sono quattro secondi in cui si prova a raccontare ma cià cià devo andare a lavorare. Mi potrei comprare la tombola, il tamburello, il triccaballacche, la pizza di ceramica, ma non mi compro niente. Sono paralizzata e invisibile. Camomilla, il negozio, mi chiude la saracinesca in faccia, i bambini ridono e mi spingono di qua e di là, i fidanzati si amano e i Natalizi amano il Natale e il popolo fa shopping. E io? Io mi nascondo in una chiesa. E’ quella del Cristo velato? No, è la chiesa con un presepe grande grande, grandissimo, infizzato in una sacrestia retrobottega che devi fare vicoli e vicoletti come un film di Dario Argento per arrivarci. Una testa fa un movimento da dentro una finestrella e mi accende le lucine. Non lo vedo nel buio. Voglio pensare che è un vecchio. Non mi vedo nel buio. Voglio pensare che è il ciclo e che il presepe è troppo grande per mangiarmi meeeglio. Vedo solo lei: la mia città baldracca natalizia. Finalmente.

Adatto non è "in"

inadatto al voloInadatta mi sono sempre sentita. Ma forse inadatto non è la parola giusta. Forse dis– adatto rende più l’idea, ma al volo non ci avevo pensato. Forse perché nasco sotto il segno del toro e ho il piede pesante, lo dice anche lo zuppariello, il mio calzolaio ferramenta, quando mi cambia i tacchetti consumati.
L’unico volo che conosco è il Fabio della televisione, il volo pindarico di quando parlo, il volo dell’angelo che mi fa sempre pensare alla bustina verde del Pan degli Angeli e Inadatti al volo, l’antologia di racconti in cui sono incappata nonsisaccome insieme ad altri trentatrè dis- adattati (tutti blogger, coincidenza?).
Stavolta non c’entro. Ha fatto tutto Parola di Merincontraria, che vive di vita propria tramando alle mie spalle mentre io distrattamente mangio, dormo, esco, piscio e provo a fare tutte quelle cose che si fanno nella vita reale sperando di scriverle al più presto nel blog. Chesta vit’è na caten… Qualche volta fa un po’ male. E pensare che lo schifo pure a Pino Daniele. 
Cià, sono giadim, vuoi partecipare? Ovvio. Il tema è la malattia. Strano. La casa editrice è Giulio Perrone. Boh? La chiave è l’ironia. Bene. E mò sto a pagina 47, incastrata tra un disadattato e l’altro, stampata su carta bianca con “Brioche e giuggiole all’alba” anche se le giuggiole non le ho mai provate e quando ha sentito la parola brioche mia mamma credeva che avessi scritto un racconto erotico sulla fica.
E ci sarà pure la fiera del libro a Roma e sarà pure una furbata natalizia dare una parte del ricavato di copertina in beneficenza e avremo anche un banner con errori grammaticali, ma nessuno mi aveva mai scelta per essere inadatta.
Sei inadatto? Allora vai bene. Adatto non è più "in".
Inadatto è la foto che ti scattano mentre stai distratto, la moka che scoppia, il temporale estivo, la calza smagliata prima di uscire, la sveglia del cellulare che suona col silenzioso. E poi cose più gravi.
Al volo non ci avevo mai pensato.
Al massimo volteggio tra i pieni e vuoti della blogsfera, come i palloncini ad elio che si perdono tra le nuvole.
 
(15 euro, 200 e rotte pagine, distillato di puro disadattamento. Ovvio che tutta sta manfrina patetica nascondeva un becero scopo pubblicitario che mi sarei volentieri sparagnata. Compratelo per la beneficenza. Mica per me.)
 
Parola di Mer-inadatta