Tagged: la nausea

Jackson Fire

Diceva Pirandello così è se vi pare.

Pare, appare, apparire, apparare.

Potremmo dirlo di Corona, di Milano, delle farfalle al collo delle ragazze di Silvio, delle plastiche di Jacko defunto, icona dei miei anni, di corridoi percorsi in lungo e in largo al passo della luna, ma che in definitiva, non ho mai apprezzato. Riposi in pace, lontano dallo sciacallaggio di giornalisti e medici, neverland in mors tua vita mea I love so much money and competition.

Pare, appare, parare, sparare. De gastriche lavande.

Potremmo dirlo di Saviano, di Napoli,  tris di notizie nei tg nazionali porque nosostros somos in Buenos Aires and the winner is  Noemi Letizia, una vrenzola a cui le menti malate di questi anni hanno dato fama e credito. Credito e fama a una vrenzola di Castelvolturno. Who’s Papi? No perché cioè il mio sogno nel cassetto è non avere sogni.

Ci tenevamo Vanna Marchi  ci tenevamo. Lei si che lo sapeva alzare…il morale.

Pare, appare, apparire, sparire.

Per la prima tv sulle opere dei Pupi  non c’è bisogno di sintonizzarsi su Sky Tg 24. Basta zappare nell’orticello del quotidiano sventando l’ira del collega detronizzato, le avances dell’amante insicuro,  i fiumi di parole dell’intellettuale pippaiolo e soprattutto   l’insormontabile alterigia dell’ominide che deve sempre attaccare per difendersi. E basta. La noia e la barba la lasciamo a Kierkegard e a Raimondo e Sandra.

Diceva Pirandello così è se vi pare e quando lo scrissi io nel tema di maturità dissero che era così vero che pareva che avevo copiato.

Se telefonando

Ora che sono in-occupata e non posso scrivere un post sulla vita della storyliner posso scrivere che odio il telefono. Lo diceva anche Marshall Mc Luhan: il telefono è un medium invadente. Odio il telefono quando:
 
è inverno, sei sotto la doccia e tua madre ti porta il cordless nella cabina
è inverno, esci dalla doccia e stai per asciugarti i capelli
appena ti alzi dal letto
sul finale del film home video
sul finale del dvd quando le pile del lettore sono scariche e non puoi premere pause
prima di una fetta di tacchino fumante quando sei a dieta
appena torni dalla palestra
cinque minuti prima di un appuntamento per cui non ti sei ancora vestito
mentre cucini
mentre lavi i piatti
 
Odio il telemarketing, i sondaggi,  le lamentele telefoniche, i resoconti dettagliati su quello che hai mangiato, le telefonate di chi ha perso il treno, l’autobus, il tram, la bici, il monopattino e invece dell’attesa ammazza te, le telefonate doppie (quelle in cui l’interlocutore mentre parla con te parla anche con la zia invalida), le telefonate a sorpresa con le brutte notizie. Di qui un odio per il telefono fisso, ancestrale, totalizzante, irreversibile. ET tele-fono ca-sa. 
Salvo le telefonate rosa – cazzeggio al femminile a tema bollente – centellinate a poche elette a cui quando sono over dico liberamente mò mi sono esaurita e ti devo lasciare, le telefonate in inglese, le telefonate flash, le telefonate che chiamo io (rarissime), le telefonate nnammurate (notturne), le telefonate con mia nonna sorda e…basta. Poi a telefono io cambio voce, sembro sempre incazzata, ma forse al momento in quanto ex storyliner ne ho pure il diritto.
Viva viva gli sms. Viva le mail. Viva le lettere con la carta profumata.
Viva la scrittrice francese Amelie Nothomb che vive senza nessun mezzo di comunicazione che inizia o finisce per tele.
Se telefonando io potessi dirti addio, ti chiamerei…
Ma anche no.
 
 

1,2,3…stella!

Bastano poche ore per capire cosa odi.
Uno due tre, stella.
Odio le maestre.
Le maestre napoletane che prendono la circumvesuviana si aggiudicano l’oscar di superfrustrate.
Crocerossine, ditalcattoliche, oltremodo afone, urlano i loro successi al vagone tra una risata sguaiata e un luogo comune. Perché i ragazzi di oggi non sanno più giocare, sono viziati, le bambine sono lolite anoressiche e tutti i casi umani che hanno salvato e le imprese eroiche che hanno fatto (blow job al preside?). E basta. Basta con quei boccoli alle punte e quegli occhiali con gli swarovski. Basta.
Non mi fanno pena neppure quelle che piangono al latinorum perché le figlie vogliono più bene alla cameriera. Vi odio.
Uno due tre, stella.
Odio le commesse.
Ora anche Breshka ha i commessi come Louis Vitton. Tight nero, camicia bianca, abbronzati e palestrati con quei tipici sorrisi che trasudano sdegno.
Odio le commesse che dicono è favoloso, è fatto apposta per te, è il tuo colore, ora ti devi fermare.
Odio le commesse che dicono prego appena introduci l’alluce nel negozio. Quelle che ti si attaccano dietro come sanguisughe. I commessi di paese che spiano da dietro la tenda. I commessi di città che ti fanno fare la sfilata davanti allo specchio grande. I commessi gay che non fai neanche in tempo a vederla che hanno già piegato la magliettina.
Poi quando non compri fanno la faccia da chihuahua repressi.
Sei brutta, sei brutta, abbaiano i loro occhietti maligni da dietro al bancone mentre tu esci in punta di mignoli rimpiangendo la deregulation dei megastore. Sei brutta, sei indecisa, che cazzo mi hai fatto perdere tempo se ci dovevi pensare. Si, perchè ci devo pensare è l’unica cosa che ti viene da dire.
Uno due tre, stella.
Bastano poche ore per capire cosa ami.
Io e mia madre a nasconderci dietro la panchina e a ridere come due bambine. Per non farci vedere. Per non farci sentire…
Stella!

telec 'Omm

Se le aziende di telecomunicazione sono lo specchio di un paese, allora gli uomini italiani:o se scazzano o ce provano.
Questa teoria scaturisce da un’indagine condotta su due operatori di call center osservati nell’approccio alla cliente donna (io)  a distanza di qualche minuto. I fatti.
Telefono al servizio assistenza di Telecom Italia per sapere come mai i miei computer hanno le mestruazioni lo stesso giorno e non si connettono. Entrambi.
Digito i soliti settantuno codici, ascolto il jingle scassacranio, resto in attesa dieci minuti in compagnia della voce femminile che ha registrato a botta di anfetamine e antidepressivi. Che culo.  
Mi comporto da cliente ideale immolandomi al rituale identificativo che ha come unico obiettivo far guadagnare tempo all’imbecille che scava nel database in cerca di un problema simile al tuo. Attacco la mia pippa: mi chiamo Alda F., ho l’abbonamento flat, no non è intestato a me, si i modem li ho presi alla Telecom, si si  sono attaccati bene, eccetera, bla.
 
Operatore 1: annoiato, sbadiglia mentre parlo, a tratti si spegne mentre lo immagino con le dita nel naso a fare il solitario di carte francesi. Non mi ascolta e non fa che ripetermi attenda un secondo, facendo finta di battere sui tasti. Responso: i modem sono taroccati, per questo non funzionano. Reazione della donna rifiutata. Gli dico che lui lì viene pagato, che me ne sbatto che è domenica e lui ha mangiato pesante, che io il pc lo uso per lavoro e mi serve subito e che preferisco essere trattata come una ritardata a cui spiegare l’abc delle periferiche di connessione e delle usb anziché farmi sentire un peso sociale nonché discriminata perché sono di Napoli. Nessuna risposta. Allora io: Davide  avrai una bella nota negativa espressamente indirizzata al tuo team leader o supervisor o come cavolo si chiamano quelli sopra di te e la tua carriera da oggi è finita.
 
Operatore 2: squillante, divertito, parla in dizione, piacione. Mentre mi chiede le generalità e invia impulsi elettrici al mio modem ( fantascienza?!) ironizza sulla telefonata precedente di cui il collega lo ha già informato ( fantascienza?!). Vuole sapere se le lucine del modem che lui chiama con una parola inglese difficilissima sono rosse, verdi o gialle, se lampeggiano o sono ferme e mi sorridono. Nel bel mezzo del gioco del semaforo che mi stava divertendo così tanto mi chiede anche il numero di telefono, così, se ci dovessero essere eventuali comunicazioni dall’azienda, non si sa mai. Reazione della donna cacata: riaggancio. Dopo avergli ricordato che il numero ce l’ha già. Di casa.
Alda F.  
 

decalogo del viaggiatore

I mezzi pubblici ti stressano? Non fare manfrine, non vivi a Napoli.

Vivi a Napoli e hai l’alopecia da stress (uomo) o la dermatite seborroica (donna)? Caro amico, cara amica, questo decalogo è x te.

Prima di accostarti ad un mezzo pubblico in Campania, ricorda sempre di:

  1. Indossare occhiali scuri per  gabbare il compagno di classe delle medie che, incontrato casualmente sulla stazione, ti ricorderebbe per un’ora ( 45 min se il treno è direttissimo) quando in prima avevi i capelli gonfi.
  2. Non dimenticare x nessuna ragione i-pod, lettore o qualsiasi altro apparecchio cuffio indispensabile per l’isolamento da urla, schiamazzi, starnuti apocalittici, discorsi tra maestre frustrate, suonerie a 1765mhz con gli ultimi successi dei neomelodici ( o dello spot di vodaphone se il soggetto è evoluto), sax, filarmoniche e tammorre miscelato ad ogni fermata con l’inconfondibile fischio della circum.
  3. Non sollevare MAI lo sguardo da libro, cellulare, unghie ( se hai dimenticato l’apparecchio cuffio) o qualsiasi entità al di sotto del  mento se non  vuoi incappare nella crisi di panico della settantenne che non sa dove scendere e ti pizzicherà il braccio ad ogni fermata una volta mostratale la tua disponibilità oculare o nella cinquantenne che vuole per forza creare un forum nel vagone intitolato: "quante ore fai cuocere il ragù", eleggendoti moderatore della discussione.
  4. Avvicinati il più possibile alla linea gialla, oltrepassala se è il caso. A Napoli il " mind the gap" ( attento al buco) della metro londinese non ha il ben che minimo senso. O rischi ogni volta di perdere gli arti inferiori o rischi di non prendere il treno. A te la scelta.
  5. Appena salito, lanciati in picchiata sul sediolino. Questa tecnica si affina col tempo. Dopo 3 mesi in solo 2 secondi è possibile: sedersi in direzione percorrenza vicino al finestrino, evitare le studentesse di scienze dell’educazione che parlano di quand’erano piccole, evitare l’omm e panz’ omm e sustanz’  che occupa un sediolino e mezzo, avere il ragazzo/a più carino/a della carrozza come dirimpettaio/a.
  6. Scegliere solo riviste pocket e libri monovolume. Con il giornale tabloid i tuoi compagni di viaggio inizieranno ad allietarti con simpatiche  gomitate. Se poi azzardi un " Corriere della Sera" non meravigliarti se ti troverai sulla stazione di San Giorgio Cavalli di Bronzo al suon di " chi t’è stramuort".
  7. Mai azzardare l’arringa della persona perbene con un controllore napoletano.Se la macchinetta  mangia il biglietto o se la macchinetta finisce l’inchiostro e finanche se il bigliettaio invece di farti il biglietto parla a telefono con l’amante gay chiedi sempre scusa e assumi l’aria del valvassino, non accadrà nulla. Se la situazione precipita, appellati a San Gennaro come ultima spiaggia.
  8. Rinuncia fin da subito ad entrare nell’elite di accaparaggio del Leggo, del City, del giornale dimenticato per sbaglio sul sediolino accanto. Stai mettendo a repentaglio la tua vita.
  9. Una buona eau de toilet può essere di notevole conforto nel ballo delle sardine della metro, tratto Garibaldi- Piazza Cavour. Raggomitolandoti nella  sciarpa (d’inverno) o nei i capelli (d’estate) fino all’asfissia potrai evitare di cadere al suolo stordito dal ph della fauna locale.
  10. Attento ai borseggiatori, beware to pickpockets. E alle maniate di culo, se hai la fortuna di averne uno.

Alda F.