The Machine
Apologia di Isabella Summers e di tutti quelli che arrivano secondi.
Sarà un gene crocerossino dominante, ma fin da piccola, sono sempre stata affascinata dai personaggi minori, gli alter ego, i secondi, le cosiddette “spalle”.
Quando guardavo Beverly Hills, tutte andavano per Brenda o Kelly. A me piaceva Donna, bruttina ma con una personalità da fashion victim irresistibile (finchè non ho scoperto che era la figlia del produttore Aron Spelling nonchè tutta rifatta).
E così via.
Ho sempre preferito Lisa a Renzi la Strega, Madame Butterfly a Jenni la Tennista, Martin Gore a Dave Gahan, le Misfits a Jem e le Hologram.
Ho difeso strenuamente la senape contro la maionese e il ketchup, il Chinotto contro Coca e Pepsi e ho rivendicato più volte la dignità della cioccolata bigusto al cospetto di sua Maestà La Nutella (sono due cose così diverse!).
Ebbene, tutto questo per dire che ieri, al concerto di Florence and the Machine, io non ho potuto distogliere gli occhi dalla “macchina”, The Machine, Isabella Summers
Florence è pancia, è forza vitale, voce di è eco cavernoso, sacerdotessa hippy del tempio di Stonehenge, ma in pallore e magrezza sempre più ricercata.
Florence è circense, look evocativo, quasi artefatta.
Isabella, è sobria, concentrata, sciatta nel suo vestito di pizzo e nel toupè improvvisato, accenna un sorriso e dà spazio a Florence senza alzare la testa dai tasti neanche quando l’amica frontwoman fa per accompagnarla.
Isabella è la macchina, è la basa su cui Florence poggia il suo arzigogolio and it works.
Eccome se funziona.