Category: Insalata mista

Coccodrillo


                                           

C’e’ chi l’amore lo fa per noia
chi se lo sceglie per professione
bocca di rosa ne’ l’uno ne’ l’altro
lei lo faceva per passione

Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie
quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie

io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore

ma alla fine m’assetto papale
mi sbottono e mi leggo ‘o giornale
mi consiglio con don Raffae’
mi spiega che penso e bevimm’ò cafè

bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä

dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi

e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno come le rose

Da Merincontraria a Fabrizio De Andrè ten years later.
But time is on your side.

Terry Christmas








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Il cartellino

C’è chi timbra il cartellino a lavoro e chi lo timbra con la vita.

Io, vita da precaria, il cartellino in ufficio non l’ho mai timbrato, ma con la vita, con questi due mesi di vita out of side, ho esaurito bandierine, ansia da esperienza, letti, cuscini e sfide con se stessi all’italiana.

Napoli-Milano.

Milano- Piacenza.

Milano- Trento.

Trento- Rimini.

(Bella Trento, a depilarsi le jolande con le amiche felici e nuotare tra la neve altoatesina nelle vasche delle terme di Merano. Viva i canederli, viva le sponde del fiume là sui monti con Annette, viva il vin brulè, viva l’artigianato, i mercatini di Natale, i tramonti arancioni, le schiocche rosse, il vento freddo del mattino, le fragole ricoperte di cioccolato, i laghi, parlare di se stessi e non di lavoro o di cosa passa il cinema, parlare in napoletano, parlare lento, parlare come si parla, perché il parlato è come si è dentro,  lenti, impastati, goderecci e insopportabilmente mediterranei).

No competitive. No- no- no alla Emy Winehouse.

Rimini –Bologna? No, Bologna no, voglio solo dormire 12 ore.

Rimini- Milano.

Milano- Milano palla al centro e se mi inviti al calcetto gioco in porta.

Milano – Napoli rotolando verso Sud e che Dio ce la mandi buona con l’esodo degli immigrati e la guerra all’adipe.

E poi?

Poi sprofonderemo nell’horror vacui natalizio, ma quest’anno, per la prima volta, senz’ansia di fare.

Solo di ballare, ballare, ballare tribale. Ballare autoreferenziale.

 

Wall-e

Foreign contaminant.

In assenza di fotosintesi clorofilliana avevo dimenticato una cosa.

Di essere umana.  Nella spirale fotovoltaica delle mattine milanesi il neon sostituisce il sole e lo sguardo il respiro. Yo soy Woll-e, il nervodolce robottino della Pixar di origini aragonesi. Torero, torero, olè. Non si guardano gli esseri umani da quando lo sguardo ha smesso di suscitare obblighi, ma io li spoglio questi esseri umani che non guardano, assorti negli ultimi best –seller , nelle cuffiette degli mp3 e dei cellulari, nelle cuffie anni ’80 che si portano assai, nei raggi delle bici coi cestelli rosa shocking che sbrodolano buste Upim e Oviesse. Li violento spremendo il senso dell’individualismo inconsapevole e del cocco sulla fronte, come quelli che si portavano negli anni ’80, ma con i capelli più morbidi, senza lacca, per comunicare un idea di finto spettinato sintomo di esistenze geometriche, sbiadite come gli skinny jeans lavati a 90 gradi, appesantite come il tacco a rocchetto,  scandite dal  ritmo un semaforo. Velocissimo, ansimante, orgasmico,  beato lui.

Riassuma brevemente le sue esperienze.

Foreign contaminant, foreign contaminant, scatta l’allarme dell’autodifesa e  una voce metallica racconta a cantilena la tecnofavola di Cappucetto Rosso.

La testa cerca spasmodica sacche di emozione, per risciacquarsi dallo smog come risciacquano i lavaggi degli ospedali . Lo sabe, yo soy pesado, un pesaturo, una suocera senza figli, un’ iconoclasta. Per questo non suono il citofono di Alda Merini, non ho il coraggio.

Milano è come la melanzana fuori tempo. La desideri, te la compri, la paghi il doppio, ma il suo sapore non lo acchiappi. Nun ce sta niente a fà.

Però quando non le chiedi niente, ti regala le casette immobili da guardare attraverso la tela di un ombrellino rosso,il silenzio monumentale di Sant’Ambrogio la domenica mattina, un raggio di sole inaspettato sotto un abete al Parco Sempione che ti fa ossigenare e ti salva dalla cacata di un cane. E poi, foreign contaminant, non ci resta che piangere, guardare, buttarci e contaminarci.

 

 

Zio Toni

Zittita dal personale Atm, ghettizzata dalle informatissime vecchie meneghine in fila per il teatro aggratìs, tra emozioni del nuovo e velleità resistenziali, la cosa più familiare della gran Milàn fin’ora è stata rincontrare Toni Servillo, che in questo scenario, mi è sembrato lo zio d’America venuto a farmi visita da Afragola con la valigia di cartone senza spago e il balsamo  di Tigre dello spirito. Ho risucchiato le dense pause tra le sue parole dense e rosicchiato quell’umiltà esemplare che sarà faro tra la nebbia d’autunno, dietro cui, lo sento, ci saranno nuove villeggiature e nuove trilogie, denze con la zeta, come le conseguenze dell’amore.



In corpo

Da noi, a Napoli, ci sono delle espressioni meravigliose, intraducibili. Una di queste è tenere in corpo. Puoi avere in corpo un’attitudine, un’ emozione, una decisione, rabbia.

Quando tieni in corpo  riesci persino a soffocare un sentimento, lo custodisci dentro di te, lo trattieni, lo reprimi.  Ma il bello di tenere in corpo  è che è uno stato in divenire. Tutto quello che tieni in corpo prima o poi esplode. Esce fuori e si espande. Per questo tenere in corpo si usa soprattutto al passato, all’imperfetto.

Es. Due si picchiano: chillo o’ teneva ‘n corpo ( l’atto di pichiare era già presente nell’ ira covata da Pincopallo) e così via per tutte le decisioni improvvise, nette, che non hanno un’apparente motivazione, ma erano, appunto, in corpo.

Bè, questa cosa di Milano io la tenevo in corpo da un bel pò. Però adesso non c’è nessun tacco, tailleur, studio minimal. C’è solo l’esplosione di un’estetica del sacrificio  su un davanzale di vita ethno-pop che bambina prodigio, drinkpop, adb, tozeur, ieri e sempre con me ai tavoli dell’amicizia, conoscono e guardano senza paura.

C’è un Eastpak nuovo, che in corpo si porta le gite della domenica, la lunga scogliera della Marina, il lessico familiare e la chiacchiera condivisa.

Oui, oui, je suis romantique.
Oh, Oui, je suis amoreuse.

Long Island Iced Tea

Al mio paese un Long island non è un cocktail imbevibile che ti fa ubriacare assai ma una folle circumnavigazione delle isole del Golfo di Napoli, un rave tra le onde Iced Tea.

In un Long island Tour non esiste un abbigliamento consono, ma il bagaglio deve essere attrezzato con la mutanda pulita per il tuffo cufaniello dalle stalagmiti della Grotta meravigliosa a Capri e un costume per il bagno notturno nella piscina riscaldata dell’ hotel a sorpresa di Ischia .

In un Long island Trip si dorme massimo 50 min. di fila in un letto vero e non più di due ore a notte in preda ad ansie del giorno dopo, eiaculazioni Rem e corse in taxi finalizzate a respirare il caldosmog  della nave delle 2.30, tratto Ischia-Pozzuoli, accartocciati su un divanetto 20X30 insieme agli autisti arrapati dei camion della munnezza.

Senza un mago per davvero, 1 colazione di lusso, 32154 merende, 4 risate, 1 intestino di ferro, 2 cene stile fotografo del matrimonio, un libro di Mauro Corona sugli alberi da leggere assolo in un anfratto vestita dalla Dea Minerva che fa svolazzare il tulle mentre le barche dal mare gridano “nuda, nuda!”, il Long island Tour sarebbe davvero insostenibile.

Poi però ci sono le albe Iced Tea con i gabbiani, i delfini e la luce glicine del primo mattino. Da gustare su un gommone con lo skipper chiattulillo in k-way rosso, che aggredisce il mare in silenzio, mentre  la schiuma delle onde si increspa e canteresti, ma non vuoi disturbarti il paesaggio. Gli attimi di un Long island sono così, da buttar giù in one short, alla goccia. E subito dimenticar in un ottobre che è caldissima estate e freddissimo inverno.