Category: Insalata mista

Alda Merini

Ti dovevamo studiare a scuola, invece del 5 maggio.
E invece ti ho scoperta su magazine femminile, quando Milano era un sogno di carta a colori, vacuum.
Questa usa le parole come pietre e velluto. Ti schiaffeggia e ti accarezza.
Nessuno ha più voglia di leggere i patè d’animo.
Pathos, patema, patè.
La poetessa delle emozioni confuse, delle risate roche e dei dolori sordi.
Alda Merini, si chiama Alda Merini.

Alda Merini e una sola poesia, in una libreria di Cava dè Tirreni, che mi sembrano passati secoli, ma, credimi, il tempo si fermò

Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia

E poi, come l’innamorato, sono venuta sotto casa tua, un pomeriggio, ottobre, l’acqua dei Navigli immobile, il cielo piovoso, poca gente, Milano silenziosa, austera, algida, bellissima.
Non ho suonato, non ho avuto il coraggio.
Una poesia per me era tanto, per Te troppo poco.
Riposa in pace: ei fu, siccome immobile.

Who? Men

Aldilà della sindrome pre/post mestruale e delle mestruazioni stesse, essere donna è un lavoro a tempo pieno, come i supermarket no stop di New York e Tokyo.
Partendo dalla testa, bisogna monitorare costantemente:
la ricrescita delle sopracciglia
l’insorgenza dei punti neri nella zona T
l’inspessimento del baffo
l’insorgere delle rughette contorno occhi e labbra ( ma questo solo dopo i 26 nelle città ad alto tasso di smog)

Estendendo l’analisi al resto del corpo menzionerei la ricrescita dei peli intorno al capezzolo, all’ombelico, all’inguine, alla coscia, all’alluce.
Lo scrub per eliminare le cellule morte è facoltativo ma assolutamente non lo sono il check out dello stadio delle unghie mani e piedi per cui è doverosa almeno una passata di limetta e una spennellata di smalto trasparente ogni tre giorni.

E queste sono solo le mansioni di una ragazza che voglia definirsi acqua e sapone e che, in fatto di bellezza, non sarà mai sul pezzo, ritrovando nella sua enorme borsa di scartoffie il solo Labello a ciliegia che userà nell’emergenza anche come phard.

Le donne manager, ossia quelle che raggiungono le vette più alte di questo lavoro di cura di sè, aggiungono allo shampoo la piastra o il ferro, alle sopracciglia il tattoo, alle ciglia l’arricciamento, alla cera il massaggio agli oli essenziali, al dente il brillantino che è cosa buona e giusta, alle unghie le farfalline e tutti quei gadget aberranti della nail art.

Le donne manager di femminilità si alzano sempre un’ora prima anche se hanno fatto tardi, o riescono a truccarsi in metro, o hanno una Louis Vuitton con un beauty sempre all’altezza della situazione.

Se poi dall’estetica passiamo alla sostanza argomentando come una vera donna dovrebbe atteggiarsi nei confronti di un uomo, di un lavoro appagante, dell’aspettativa di avere un figlio, allora sarebbe meglio prenotare il primo volo per Casablanca o, per chi non può permettersi un cambio sesso, cominciare a fare pipì in verticale.

Il carrellino

Se una persona normale vuole fare la spesa, va al supermercato, oltrepassa la porta scorrevole, prende il carrello (il cestello sarà sempre troppo piccolo) e fa la spesa.

Se una persona densa e sovrastrutturata, come di recente è stata definita Merincontraria, vuole fare la spesa, Marte deve entrare in Venere con l’aiuto di Saturno. Ovvero:

 

  1. Il frigo deve essere vuotissimo e la spesa grande.
  2. La spesa grande esige una raccolta minuziosa di tutti gli opuscoli con le offerte di tutti i supermercati della zona passati a setaccio nel momento wc.
  3. La spesa grande esige un carrellino, come quello delle vecchie, che deve essere anche fashion, perché è meglio sembrare una border che una vecchia. 

E qui casca l’asino. Scartata l’ipotesi del carrellino del negozio di design a 59euri, resta Ikea con una buona soluzione fiorata a 15.

Detto fatto. Programma post lavoro: ACQUISTO CARRELLINO+SPESA CON CARRELLINO.

Merincontraria entra, sceglie carrellino versione rosa, afferra un ombrello gigantosfigato Ikea, passa per il mercatone Ikea ad occhi chiusi e, magia di Herry Potter, si avvia alle casse a velocità record.

MA.

Dopo aver pagato, Merin si accorge che la sua busta perde pezzi. Aiuto. Scatta l’imprevisto: operazione cambio carrellino. Immaginate la scena: Mercatone Ikea in rewind, angolo Ikea Family, carrellino nero, maledizione, la versione fiori rosa esuberante è già sold out. Arimercatone (nausea), ostenta scontrino alla cassa, arrivederci.

Tutta l’operazione pre-spesa+imprevisto richiede circa 60 minuti.

E della spesa restò solo una confezione di polpettine Ikea 1.99€ da far decongelare durante il viaggio di ritorno.

 

E il carrellino, ovviamente.

H2Ome

Chiudo.

Armadi, finestre, la porta blindata.

Tre mandate.

Uno, due ettre.

Chiudo.

Comprimo l’aria di Bygon polvere+Bygon piastrine in 33 metri quadri.

Sbrino il frigorifero, stacco le prese, porto dentro lo stendino.

Ma chi se lo piglia, siamo sinceri. Ikea, 11 euro, grigio, brutto, sgraziato.

Ma chi sale al settimo piano.

‘Ngiorno signorina.

(Voce metallica di Luciana, la portinaia, dietro cui, da quando ho letto l’Eleganza del Riccio, non faccio che chiedermi quale vita si nasconda).

Salve!

Torna a casa?Incalza

Già- risposta reale.

Fatti i cazzi tuoi- risposta ideale.

Ogni tanto ci vuole…ehehhehehehehhe, risata maligna della signora Luciana.

In realtà…Si, ogni tanto ci vuole– abbozzo.

Sono le 9, ho il ciclo, lo zaino pesante, una giornata di lavoro da affrontare, 5 ore di viaggio in Av fast, non ho voglia di spiegare alla signora Luciana, che lavora nella stessa porta in cui vive, come ci si sente.

Perché arrivati a Firenze, di fronte alle colline morbide e alle distese gialle, verdi, ocra, ti metti gli occhiali da sole per nascondere i goccioloni che scendono giù come nel peggiore manga. Ogni volta.

Perché arrivati a Napoli, non la vedi l’emergenza rifiuti e le facce nere nere della gente.

Non lo senti l’accento, le voci cafone, i vestiti brutti.

Senti solo la salsedine e il sapore rassicurante di ossigeno e acqua, casa e famiglia. Solo l’odore di H2Ome.

Jackson Fire

Diceva Pirandello così è se vi pare.

Pare, appare, apparire, apparare.

Potremmo dirlo di Corona, di Milano, delle farfalle al collo delle ragazze di Silvio, delle plastiche di Jacko defunto, icona dei miei anni, di corridoi percorsi in lungo e in largo al passo della luna, ma che in definitiva, non ho mai apprezzato. Riposi in pace, lontano dallo sciacallaggio di giornalisti e medici, neverland in mors tua vita mea I love so much money and competition.

Pare, appare, parare, sparare. De gastriche lavande.

Potremmo dirlo di Saviano, di Napoli,  tris di notizie nei tg nazionali porque nosostros somos in Buenos Aires and the winner is  Noemi Letizia, una vrenzola a cui le menti malate di questi anni hanno dato fama e credito. Credito e fama a una vrenzola di Castelvolturno. Who’s Papi? No perché cioè il mio sogno nel cassetto è non avere sogni.

Ci tenevamo Vanna Marchi  ci tenevamo. Lei si che lo sapeva alzare…il morale.

Pare, appare, apparire, sparire.

Per la prima tv sulle opere dei Pupi  non c’è bisogno di sintonizzarsi su Sky Tg 24. Basta zappare nell’orticello del quotidiano sventando l’ira del collega detronizzato, le avances dell’amante insicuro,  i fiumi di parole dell’intellettuale pippaiolo e soprattutto   l’insormontabile alterigia dell’ominide che deve sempre attaccare per difendersi. E basta. La noia e la barba la lasciamo a Kierkegard e a Raimondo e Sandra.

Diceva Pirandello così è se vi pare e quando lo scrissi io nel tema di maturità dissero che era così vero che pareva che avevo copiato.

Wabi Sabi

 ventisette primavere nella stanza del tè

 

 

I 25 e i 26 scorrono tra feste a sorpresa e velleità mondane.

Dei 27 neanche una foto, anni vissuti come il criceto che gira nella ruota, ma vissuti, stappati, festeggiati, cucinati, applauditi, adornati di fiori e accompagnati da fave, come si fa da noi a Pasqua vicino al salame e alla ricotta salata.

I 27 sono turgidi, hanno il sapore dei pomodori sardi sgranocchiati come patatine in un pomeriggio così.

Giusto sciacquati prima di essere afferrati con la bocca e addentati dalle mani di qualcun altro.

Prima che te li possano portare via.

Prima che la ruota li travolga, prima che il criceto li rosicchi, prima che il tempo  velocissimo ti confonda: sono solo 27 o sono già 27?

Sono 10 in più dei 17. Clic.

Sono dieci in più di quando tenevi la capa gonfia di ricci e ti mettevi la fascia ed eri bella, ma troppo complessata per rendertene conto, come tutte le adolescenti sudate, innamorate e con gli occhi grondanti di  sogni.

 

Lo sai che il toro è il segno più sexy dello zodiaco?

 

Nei 27 ci entri sciolto, come entri in un post, fingendo con te stesso di essere leggero, diluendo il cambiamento come l’ammorbidente nel detersivo liquido quando lavi i panni di lana.

Ma sai, o almeno senti, quali sono i tuoi profumi, i tuoi colori, perché la nota di Beethoven fuori dalla doccia ti emoziona , perché fuggi su una casa in  colina, perché corri in una camera a gas, perché ti nutri di quell’adrenalina che un po’ ti accarezza e un po’ ti consuma, perché vai, perché resti, perché ritorni, perché ti compri la felicità in un biglietto a teatro.

I 27 vogliono il gesto lento e reiterato, il wabi sabi, lontano dall’odore inebriante del caos, che sempre ti ammalia, ti morde, ti risucchia, ti attanaglia, ma quella donna non sei tu, guardo le nuvole lassù.

 

Wabi sabi:disadorna semplicità, pace, silenzio, eleganza discreta soprattutto  e ancora bellezza antica, ma intrisa di malinconia(…).Ne consegue che la stanza della cerimonia del tè diviene una dimora dell’anima: al vuoto materiale deve corrispondere uno stato di assenza mentale.

 

 

 

O' Mobile

Al salone del mobile vedi tutto, ma proprio tutto, tranne il mobile.

Mangi gelati aggratìs in un bosco artificiale in compagnia di tipi parruccati che vogliono insegnarti la color dance. A te che hai finto una vita di far ballare la tarantella.

Tacco punta, tacco punta, cambio.

Noggrazie, la color dance non la ballo, mi mette l’ansia, prendo però un gelato al mango e le vostre parrucche sono davvero…fighe.

Al salone del mobile bevi birra in bottiglie di vino che si chiamano Audace o Intrigante servita tra lenzuola Marimekko e puff pirotecnici.

Al salone del mobile ti vendono catenine del cesso per bracciali pop e le sorprese delle patatine per anelli cool.

Al salone del mobile bombole ad elio pompano palloni neri e tu fai volare in cielo il tuo palloncino con una frase, una richiesta, un desiderio, cosa che sarebbe molto romantica se al palloncino non fosse attaccato un codice con il tuo indirizzo mail.

Tutto questo perché se il pallone non si schiatta qualche giovine travestito da designer indipendente col ciuffo laterale ti contatterà per esaudire la tua richiesta.

E se io avessi scritto “per le vittime del terremoto”?

Possibile che Berlusconi stanotte ha trovato il mio palloncino ad Arcore e ha pensato di accontentarmi con il G8 all’ Aquila perché risparmiamo 220 milioni?Paura.

Al salone del mobile tutto è gay friendly e il salone del mobile è gay su tutta la linea perché se non sbatti le chiappe non entri nei cocktail free a vedere le sedie di ciniglia.

Al salone del mobile si va essenzialmente per fare fuorisalone e rosicchiare visibilità, perché, come dice saggiamente mia nonna, la verità è che chillo è assaje bello…o’mobile.

Monoglobale

Intro infelice con metafora. Trovare casa a Milano è  come combattere i peli incarniti: un’ impresa  (quasi) impossibile. Poi a furia di scrub e bacheche, di esfolianti e “ci penso un attimo…” eccomi nella mia mansarda armata di cacciavite, una sfinge antisesso con le spalle di Mastro Lindo e la gambe di Renato Gattuso (eliminato il problema dei peli incarniti subentra quello della doppia ricrescita).

Al monolocale e alla sua sanguinolenta solitudo-solitudinis, si arriva dopo un rituale di step obbligati:

  1. lunga condivisione di letto matrimoniale
  2. altrettanto lunga permanenza in “sala”, il porto di mare, il soggiorno da cui tutti passano, su un divano che si apre di notte sprofondando nell’abisso dandy del neo- precariato

Ma soprattutto, al monolocale e alla sua fagocitante solitudo-solitudinis, si arriva dopo essersi imbattuti in un’allegra schiera di potenziali coinquilini, che, usciti dal serial "non varcare quella porta", hanno distrutto ogni speranza di condivisione con la stessa “cazzimma” del cugino che ti dice che Babbo Natale non esiste.

L’artista: gonna zebrata asimmetrica, la sua casa puzza di chiuso, trine e merletti. E’ un’accozzaglia di oggetti strani e polverosi in cui a malapena distingui una renna di peluche da un vassoio a decupage. Il letto dell’artista vintage è faraonico, a baldacchino, dorato e le pantofole sono con le piume, col tacco, Defonseca, di tutti i tipi. La casa dell’artista è decadente come la proprietaria, che dimostra settant’anni anche se ne ha 35.

La neo-separata: dolcissima, carinissima, issima. La neo separata ha una vera casa con una vera televisione a plasma e un vero tavolo di cristallo trasparente. Ha tutti gli elettrodomestici, piumoni nuovi di zecca non Ikea, lo spremiagrumi elettrico,  i pistacchi e il succo d’arancia come aperitivo. La casa della neo-separata è precisissima come la proprietaria, che ti sfila e rinfila il cappotto, ti offre un piatto caldo, pronta a dirottare sulla nuova arrivata tutte le coccole di geisha troncata.

L’alternativa: va in bici, non si capisce che lavoro fa, ha le Converse strappate e i capelli unti. Si dice vegetariana, ma pronta a lavare i tuoi piatti sporchi di carne. Ti offre pistacchi (ancora?) e un buon bicchiere di vino. In un minuto già ha programmato la vostra amicizia, le vostre cene insieme e non vede l’ora di presentarti il suo fidanzato che spera non essere un problema tra voi due. La casa dell’alternativa  porta nel posacenere tutti i segni delle notti brave.

L’incinta: (…).

Escluse queste e le soluzioni gay-friendly, i baratti, i sud-americani di Corso Buenos Aires, il quartiere Pasteur e i sette indiani, l’invisibilità del quartiere cinese, eccomi in un monolocale che sta stretto pure a se stesso, ma che è stato mio fin da subito, per il sogno comune di trasformarci da rottami vintage in monoglobali di successo.