Bella e d'annata

9788860521033gSi chiamerà Bella e d’annata – ma il suo nome di battesimo è Januaria Piromallo-, la nuova Barbie per le signorine “anta” cresciute nei tempi moderni.
L’epoca della pornololita Skipper e della casa di campagna (simbolo del way of life Mulino Bianco) è tramontata con la permanente di Ambra Angiolini. C’è bisogno di una nuova bambola con le tette generose e qualche rughetta d’espressione che faccia da testimonial alle ragazze cresciute.
Barbie d’annata indosserà un vestito al ginocchio color prugna da cui spuntano leggins ricamati in pandan. Le scarpe saranno in vernice a punta tonda come detta il must autunno-inverno. Simbolo della vera donna e scrigni di un bon ton tardoromantico, il segreto delle belle e d’annata sono i tacchi cento e le collane di pietre dure sbrilluccicose, accessori di seduzione irrinunciabili. Sulla lunga chioma di barbie che tutte, da bambine, ci siamo divertite a tagliuzzare generando creste punk e zelle asimmetriche, avremo un cappellino con la visiera in tweed, simbolo dell’ironia con cui si guarda al tempo che passa. Single o maritata, scoppiata o nubile, col botox o con la cremavenus, ma sempre e comunque d’annata, si tratterà di una bambola parlante con accento francese che su richiesta reciterà anche un estratto del rosso e il nero di Stendhal improvvisando una danza dell’omonima sindrome.
Acerrime nemiche delle velone alla  Lecciso (d’annate perchè brutte e stupide), le Barbie d’ annata saranno vendute nella consueta confezione di cartone rosa shocking. Magia del marketing, in accompagnamento alla Barbie e alle sue amiche con i capelli rossi o con la carnagione marron glacè, ci sarà al posto della lingerie sexy e delle crucce traforate, un corso di sopravvivenza vero per ragazze socialmente scorrette (mamme, zie , nonne, ragazze previdenti non ancora “anta”) scritto da un’autrice altissima bellissima antissima. Un libro per chi pensa che la bellezza è come il provolone del Monaco. Con gli anni può solo migliorare.
Nell’attesa che passino questi quindici anni di miglioramento, comunico alla Mattel la mia idea geniale partorita insiema alla mia socia in una capanna di libri e un sottofondo jazz mentre fuori piove.
                                                                          

Ai lof scioppinc

shopLe regole dello shopping sono antiche come il mondo.
Mai contravvenire.
Invia queste regole a sette persone a cui vuoi bene. Non interrompere questa catena. All’ora ventuordici del secolo decimonono Mondial Casa farà esplodere GiorgioMastrota durante una televendita.
 
Numerouno: si va a fare shopping sempre ben vestite. L’autostima va ossigenata lentamente e lasciata decantare nel tratto che separa lo specchio di casa da quello del negozio. Intimo scoordinato, calza sfilata, calzino di spugna, doppia ricrescita, assorbente con le ali, vanno assolutamente bannati. Le commesse sono più cattive degli uomini dell’Alabama e la tenda dello spogliatoio non è uno scudo sufficiente contro la color alterigia (neanche la stoffa lo è).
 
Numerodue: inspirare lentamente alla domanda “Posso aiutarla?”. Trascorsi quattro secondi  sputare il rospo. Inutile rispondere: stavo solo dando un’occhiata se l’obiettivo è trovare il leggins leopardato dell’ultimo Vogue. Se invece siete andate al negozio per un brainstorming oculare che si riverserà in una battuta creativa al mercatino del sabato, la commessa va fatta comunque sbattere. Piega e rispiega. E’ divertente.
 
Numerotre: non mostrarsi interessate, perlomeno al sud del mondo. Al Sud Italia, in particolare, il prezzo triplica. Ma scusi, non costava 18 euro? No, no, gliel’avevo detto, 38.
 
Numeroquattro: la migliore amica dello shopping è sempre la mamma a meno che non sia una nostalgica degli anni ’90 e dei vestiti di velluto lunghi modello Non è la Rai. La solitudine può essere una valida alternativa perché nessuno sa essere più spietate di noi stesse quando lo vogliamo. Da evitare comunque le amiche ricche, le cugine invidiose, le amiche che non vanno mai a fare shopping peggio di voi e quindi dedicherebbero il vostro tempo a fare l’affare della loro vita.
Dimenticavo, le amiche più magre, ma sono comunque da preferire alle amiche ricche.
 
Numerocinque: lo sconto. Ci sono due scuole di pensiero: chiederlo sempre, non chiederlo mai. Questa regola non è univoca ma perpendicolare alla faccia di cazzo. Anche quando funziona ricordate che è un’illusione ottica: il ricarico medio su ogni capo di abbigliamento è del 500%.
 
Numerosei: non fate shopping. Usate giralamoda e il telaio di Barbie per confezionare i vostri abiti sul sottofondo della Pastorale di Beethoven.
 
Numerosette: shopping compulsivo. Mandate in rosso qualunque carta di credito vi capiti sottomano. E se non ce l’avete, usate la tessera punti Q8. Colonna sonora: Money dei Pink Floyd.
 
Numerotto: per le ninfoshopping la cura alla dipendenza è una notte di sesso radiofonico con Giorgio Mastrota. Il rehab è lo studio televisivo di Mondial Casa.
 
Numeronove: se girate il post a 20 persone avrete anche Wilma e la sua poltrona in omaggio.
 
Numeroaccaso: la cleptomania è reato. Cfr. Winona Ryder.
 
Numero dieci: uomo e shopping sono nemici. Vetlina essele nemica pule di cane maschio. Non dimenticale.
                                                                                
 Parola di MerinKinsella
 
 

La zuppiera

Vivere in un paese significa molte cose.
Molte cose tra cui se un maschio si fa più di trenta chilometri per accompagnarti a casa e non ti vuole trombare, per te i conti non tornano. Grazie A., so che ti dà fastidio che ti ringrazio, ma grazie –  scrivi nell’sms di buonanotte. Piacere di stare in tua compagnia? Amicizia? Condividere una bella serata a teatro?
Si, sapere che queste cose disinteressate esistono ti fa scaldare il cuore.
Vivere in un paese significa convivere con i paesani.
Dicesi paesani persone che non oltrepasseranno mai le colonne di ercole del paese o persone che pur muovendosi il paese lo tengono scritto nel dna. E il dna, cara Meredith, non mente.
Fai le commissioni senz’auto, respiri aria elettropulita, hai un balcone sulle onde che si infrangono nel vesuvio e cancelli con la gommina di Adobe Photoshop le case abusive arroccate.
– Che panorama.
– Già, che panorama. Sai che anche a Helsinki c’è il mare?
– No – o, che freddo.
Hai il pub dell’adolescenza con gli amori che furono, il bar dell’errore, il localino dove scendevi solo tu il venerdì sera, la pizzeria dove ti chiamano dottoressa, il giornalaio che per un periodo faceva il giornalista nel tuo stesso giornale.
Vivi in una zuppiera del riciclo sociale che quando gli stranieri ti vengono a trovare fai le belle figure perché ad ogni passo c’è qualcuno che ti saluta.
La giornalista, l’attrice, la figliadimario, la sorella dei gemelli. L’ex di, ma l’hai lasciato tu o ti ha lasciato lui? L’ etichetta.
– Si sono io.
– Ma stai fuori?
– In che senso?
Ma si, forse sto fuori. Fuori dai gruppi solo maschi, fuori dai gruppi solo coppie, fuori dallo sposiamoci presto e vogliamoci bene e mangiamo nello stesso piatto e sputiamoci dietro che si porta qua.
Ci sono le file assegnate pure al turno di aerobica. Io seconda fila sulla destra. Però se vai al turno di step con il pantalone cinese skin danza nessuno ti dice niente.
E poi il paese è bello d’estate, con la tua famigliola di amici motorizzati che ti porta a fare il bagno nei posti sperduti di qua.
E poi il paese ti svezza al richiamo della vita che pulsa.
E alla nevrosi del viaggio.
Questo significa.

Se

Quando sei veramente felice e quando sei veramente triste, perchè queste due cose succedono sempre insieme, c’è sempre un neon. Conta poco se hai mangiato ottimi funghi trifolati e hai la bocca impastata di vino paesano. Pieno e vuoto, ti senti. Felice, triste, infelice, allegro. Dura un anno luce: la distanza percorsa dalla radiazione elettromagnetica nel vuoto per arrivare al Sè.
Psp. Post scriptum post-umo: Questo post fa davvero cagare. Lo lascio, perchè vorrebbe spacciarsi per una cosa intelligente e profonda, che al momento che mi è venuta in mente lo era pure, ma mai fidarsi delle sensazioni che ti vengono sul water dopo aver mangiato in un ristornate che si chiama il Fungo Velenoso. Eh eh, scherzi di colon. Valga come monito per il futuro. Via però la foto, che si, è vero, sono leggermente iconoclasta. O iconocasta? Ci sono blog migliori per questo.
Ultima correzione di bozza: un amico è colui che al momento opportuno sa mettersi da parte. Segnatela sul diario. Secondo me vale quanto  "tirare le cuoia" e "brodo di giuggiole".

Chiamatemi Jones

… Perché mi sento molto Bridget.

 

Fotogramma 1. Baia Domizia.

Meri Jones, molare del giudizio incuneato, si ritrova dopo due ore d’auto a Baia Domizia, landa del casertano dimenticata da dio. A farle compagnia, lunghi canneti tra caseifici di bufala, africani che spaccano pietre al sole e il tenero babbo. Tra le ville blindate di questo paese che fece fortuna negli anni 70 come stazione balneare di camorristi e  napoletani arriccuti, oggi deserto, spunta un essere umano. Il contadino del litorale domizio.

“ Cerco il centro di produzione televisiva di Baia”- faccio.

“ Non c’è”- lui.

“ Come non c’è, il programma televisivo di Gaetano Cerr…”- insisto.

“ Aaaaah, Aitan’ (ndr. Dialetto per Gaetano)… Al semaforo a destra.”

 

Fotogramma 2. Centro di produzione.

Lo studio televisivo è  un ex ristorante in pompa magna. Tappeto rosso per gli ospiti, girasoli, puttini, pareti salmone e poltrone in vimini per le interviste. Su tutte le pareti c’è lui: Gaetano C., il Presentatore, che ha costruito una piccola Mecca fotografica immortalandosi insieme a soubrette grassottelle e politici sudati. Mi accoglie con una stretta di mano calda, una dentiera sull’orlo del precipizio, calvizie tinta su una cravatta a bandierine gialle. La sua assistente ha i camperos coi brillantini. Voglio andare via.

Fotogramma 3. Colloquio.

500 euro da lunedì a sabato e alloggio da condividere eventualmente con una collega (quella dei brillantini?!?). Co.co. pro per 4 mesi, eventualmente rinnovabile. Poi ci sono le pubblicità…

Mansioni: giornalista, redattrice, pr, assistenza agli ospiti e  pure una mano a rifarsi la tintura prima di andare in onda. Eventualmente.

Sorriso finto e freddezza.

"Puoi restare due ore a lavorare così vediamo se c’è feeling tra noi?"- lui

"Si..No".- io. (Che dobbiamo trombare?)

"Poi sai, mi serve qualcuno che sappia parlare davanti alla telecamera… Qualcuno spigliato come te" – lui.

Sorriso finto e freddezza 2.

"Proviamo, dai, guarda in camera e fammi un’intervista" – lui.

 

Fotogramma 4.The end. 

La storia finisce che Meri Jones, guardando in una finta camera e simulando un finto microfono, chiede a un presentatore che si sbatte come se la camera ci fosse veramente e che cinque minuti prima le ha detto che ha l’autista da quando aveva 25 anni, quali sono i rapporti con gli enti locali.

Primissimo piano sugli occhi sbarrati di Meri Jones. Dissolvenza e titoli di coda.

 

Na' votata

Ho una tammorra.
La tammorra è il tamburello con cui si balla la tammurriata.
Ma non è proprio corretto.
Ho una tammorra e ballo la tammurriata quattro volte al mese.
Piccoli passi, occhi negli occhi e ti ricongiungi con i tuoi ciakra bassi.
Ho avuto anche una chitarra, posata a Losing my Religion dei Rem.
La maggiore, mi maggiore. Stop.
Fondamentalmente non era cosa mia. Troppo mentale.
Mentale e cerebrale insieme non ci stanno, come i fagioli sugli spaghetti.
Poi un mio amico chitarrista mandolinista tammorrista batterista e aspirante neomelodico dice che con la chitarra non si acchiappa.
Invece con la tammurriata si.
E’ ipnotica. E’ trance pura al ritmo del tamburo.
Si crea un intesa col tuo partner indipendentemente dal sesso e dall’età che non mi meraviglio che nelle feste popolari si finisca tutti a trombare. Ma non è questo il punto.
Il punto è la cultura contadina, anche se mò ci vanno tutti i radical chic con la sciarpa a righe colorate. Io sono la prima, ho la divisa da tammurriata: gonna marrone a balze di Zara, infradito, fusciacca in vita e castagnette originali della Compagnia di Canto Popolare. Le ho trovate dopo un concerto: chiaro segno che nelle mie stelle è iscritto un futuro da zingarella.
Mi piace sentire le storie che si tirano i vecchi su un pretesto che loro chiamano la fronna di limone. Botta e risposta tra il vecchio sdentato e il suonatore di tamburo. A braccio. A rima. Non si capisce quasi niente, però giuro che è bello. Poi magari quando imparo meglio, lo spiego pure meglio.
Na votata e ci stai pure tu in mezzo.
Basta seguire gli occhi, i piedi volano.
Tra loro si conoscono quasi tutti, suonatori e ballerini. Alcuni si incontrano solo alle feste e mai più.
Il potere è dell’uomo. Si aspetta sempre che lui ti scelga, ti inviti a ballare e detti le regole del gioco.
Aaah, finalmente un po’ di sana sottomissione.
Era proprio quello che mi ci voleva.

 

Che google sei?

 

Test:Che google sei?

Dimmi cosa scrivi nei motori di ricerca e ti dirò chi sei.

Da quando il gioco della felicità di Pollyanna non mi funziona più, riflettevo sulle chiavi di ricerca.

Le mie ricerche di oggi:

lavorare in Giappone

Cavalli per h&m

che cosa è la depressione

bradipo

 

Profilo: Venticinquenne insoddisfatta, cerca evasione nella cultura orientale. Aspira a  diventare una gigolò a Kabuki Cho o un’attrice affermata col desiderio inconscio che tutti i nipponici si  innamorino dei suoi occhi all’occidentale e delle sue tette quarta misura.Pur nell’assenza di stimoli derivante da una lieve depressione stagionale e dall’incombenza del baratro della disoccupazione, persiste un certo animo da fashion victim che si paga nella contemplazione del low cost scandinavo.

La scelta del bradipo è motivata dal fatto che vivere sugli alberi e guardare il cielo a testa in giù è il suo sogno fin da quando ha letto il Barone Rampante. Ma a quell’epoca Pollyanna funzionava ancora e lei convinceva le amichette  di scuola che non stavano mangiando la pasta con la salsa della mensa, ma pane e nutella.

Poi per colpa di Grecia Colmenares e delle soap latinamericane l’epoca di Pollyanna è tramontata e l’insoddisfatta va a cercare se stessa nel tempio di Google.

 

Poscriptum: Il mio profilo è di gran lunga migliore di chi arriva sul mio blog cercando “Scrub peli incarniti collo”, “segretaria scema” “scopata con la suocera” “ divisione in sillabe lenticchie”, “animali virtuali da accudire”. Questi si che sono geni del male.

 

 

 

Sabat

Ogni giorno quando penso al sabato mi dico che finalmente posso fare tutte le cose che non ho tempo di fare durante la settimana.
Limarmi le unghie e mettermi lo smalto trasparante. Avviare un paio di download seri. Selezionarmi le foto da stampare. Farmi il cambio di stagione. Appuntare su un cuscino di velluto la mia collezione di spille. Fare ordine ne’abitacolo dell’auto. Guidare l’auto. Fare un cd per l’auto. Lavare l’auto. Per esempio. Ma mi è venuto in mente anche di farmi una rassegna stampa personale. Andare a trovare mia nonna. Comprarmi gli stivali di camoscio beige. Svuotare i negozi di intimo per smetterla con le mutande a pallini. Farmi uno scrub preventivo per i peli incarniti. Darmi allo jogging. Cercare la teglia per i muffin. Guardare su internet come si fa a fumare il narghilé che mio fratello mi ha regalato. E invece? Batto sulla tastiera con le dita unte di Pringles a pizza e brindo con un’enterogermina e un temporale. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie? Nah.
Si sta come il cantuccio in attesa del Vin Santo. Attesa di parole. Attesa di emozioni. At -te.