Le maestre napoletane che prendono la circumvesuviana si aggiudicano l’oscar di superfrustrate.
Crocerossine, ditalcattoliche, oltremodo afone, urlano i loro successi al vagone tra una risata sguaiata e un luogo comune. Perché i ragazzi di oggi non sanno più giocare, sono viziati, le bambine sono lolite anoressiche e tutti i casi umani che hanno salvato e le imprese eroiche che hanno fatto (blow job al preside?). E basta. Basta con quei boccoli alle punte e quegli occhiali con gli swarovski. Basta.
Non mi fanno pena neppure quelle che piangono al latinorum perché le figlie vogliono più bene alla cameriera. Vi odio.
Uno due tre, stella.
Odio le commesse.
Ora anche Breshka ha i commessi come Louis Vitton. Tight nero, camicia bianca, abbronzati e palestrati con quei tipici sorrisi che trasudano sdegno.
Odio le commesse che dicono è favoloso, è fatto apposta per te, è il tuo colore, ora ti devi fermare.
Odio le commesse che dicono prego appena introduci l’alluce nel negozio. Quelle che ti si attaccano dietro come sanguisughe. I commessi di paese che spiano da dietro la tenda. I commessi di città che ti fanno fare la sfilata davanti allo specchio grande. I commessi gay che non fai neanche in tempo a vederla che hanno già piegato la magliettina.
Poi quando non compri fanno la faccia da chihuahua repressi.
Sei brutta, sei brutta, abbaiano i loro occhietti maligni da dietro al bancone mentre tu esci in punta di mignoli rimpiangendo la deregulation dei megastore. Sei brutta, sei indecisa, che cazzo mi hai fatto perdere tempo se ci dovevi pensare. Si, perchè ci devo pensare è l’unica cosa che ti viene da dire.
Uno due tre, stella.
Bastano poche ore per capire cosa ami.
Io e mia madre a nasconderci dietro la panchina e a ridere come due bambine. Per non farci vedere. Per non farci sentire…
E’ un po’ che ci penso. All’affollamento della blogsfera.
Blog come funghi, polposi e velenosi.
Blogtamagochi: da accudire, da curare, da sfamare.
E ora il link, ora la foto, mò la canzone di sottofondo e il post che è una vita che non aggiorno e fammi controllare i Pvt,che magari qualcuno scrive quanto sobbrava e poi shinystat, l’account su flickr e le categorie, per quando farò un sito. Ma questa sono io. Un caso disperato.
L’orticello virtuale è solo l’ultima delle dipendenze consolidate.
Le mie rote da web.
Odio parlare al cellulare ma non riesco a starne senza.
Dicesi nokiadipendenza.
Msn mi sfianca. Ma al callo dello scrittore aggiungo quello del polpastrello. Shatcallo.
Ho quattro caselle di posta. Una casella job anche se lavoro ma non guadagno dove ci sono tutti i progetti che diventeranno guadagni. Lo sento. Una casella young, a cui si accede solo per invito e che fa tanto figa col giornalista di turno e per le minchiate con gli amici. La casella suomy è ultimo baluardo di un Erasmus in Finlandia ela casella di Alice per la bolletta telefonica on line puntualmente me la dimentico.
Quindi in ordine casuale ogni giorno accendo cellulare entro in due mailbox e controllo di cambiare il pannolino a Parola di Merincontraria.
Tornando a quello che penso sull’ affollamento della blogsfera, penso che esistono blogger e blogger. Ci sono i caposcuola e ci sono i pacchi.
Pulsatilla è come la mela colta dall’albero. Un po’ aspra, ma vera. Generazionale e mai scontata, leggera come una piuma. Si legge bevendola. E si ride, di lei e di noi stessi.
Pornoromantica è come lo zabaglione alle sei del mattino. Stucca. Non basta fare un ossimoro e mettere le foto di due cazzi di gomma. Periodi troooppo lunghi, dritte sul sesso che mangiano le emozioni come Pac Man le palline.
Entrambe hanno pubblicato. Esempi di codici binari che diventano scrittura. Brave.
Ma nel mio sangue di blogaholic se circola qualcosa è la ballata delle prugne secche.
Se proprio dobbiamo parlare di romanticismo allora preferisco essere cinromantica. Pornoromantica no. Decisamente.
Prima leggevo quotidiani ora non guardo neanche più i telegiornali.
Prima scrivevo articoli ora scrivo sitcom. E ogni tanto anche articoli.
Prima giravo con la birra in mano e mi mettevo la fascia…Ora…
Prima non lavoravo, adesso neanche. Però so cosa è un team di lavoro.
Le notti come questa sempre.
In cui voglio fare tutto e sono nessuno e centomila.
Pignola e asistematica, brutalmente romantica.
Penso ai viaggi, volo a Tokyo e a Berlino, che mi stancherò presto del mare, che dovrei curare la mia ovaia pigra, mangiare meno junkee, farmi un cd per l’auto, stampare un milione di foto digitali, farmi ricrescere i capelli, imparare l’html, tenere la camera in ordine perché questa casa non è un albergo, dicono.
Mi piacerebbe un po’ di freddo secco e un po’ di silenzio.
Perché c’è troppo movimento dentro e fuori.
Idee, telefonate, mail, messaggi, appuntamenti, strategie, posti in macchina nell’attesa di quagliare. Ma poi perché. Sono così belle le rose, le spremute d’ arancia, i sogni sotto alle coperte, gli slanci senza regole. Slanci…Ne sono ancora capace? Mi vedo piuttosto allegramente automatizzata. Qualcuno diceva cuore qualcosa. Ah si, era una canzone di un neomelodico: cuore zippato.
Da ieri ho 25 anni e la mia prima festa a sorpresa. Quella in cui venti amici urlano “Sorpresaaaaa”, quella.
C’è dentro tutta la mia vita in questo quarto di secolo.
C’è la colazione progressive col caffè al ginseng che mi sveglia e mi disgusta.
Ci sono le ballerine a pois abbinate alla collana rossa di finte perle.
Ci sono le bolle d’acqua ai piedi.
C’è il solito giro a Forcella, in religiosa contemplazione di un degrado che mi manda in estasi. Le due vecchie del contrabbando, i panieri dai balconi, i bambini che lanciano le scorze delle arance.
E io che non ho capito niente, che mi aggiro tra vicoli bui e distribuisco cornetti ai ragazzi del master pensando a una serata in vineria. Magari. Per festeggiare. Per festeggiare le mie feste che non mi piacciono mai come quelle degli altri.
C’è il sole il 27 Aprile del 2007.
Il treno vola sfogliando un giornale gratuito e pensando che per il mio compleanno hanno fatto proprio un buon numero. E bravi.
Ci sono gli specchi. E il tentativo di un look nuovo con chignon e trucco marcato.
Ci sono gli auguri internazionali che fanno davvero buon compleanno anche se il tuo inglese sa sempre più di napoletano. E’ impastato, pesante come la riccia e la frolla.
C’è un po’ di routine familiare, io e mia madre in palestra, io che aggiusto un articolo.
E poi sempre io al volante a gustarmi il miracolo. Della mia pessima guida. E sempre io che tento di non incazzarmi quando pare che tutti fanno ritardo e nessuno mi caca. Neanche quello che mi aveva detto “ non te ne incaricare, prenoto tutto io e io gli avevo risposto grazie si n’ omm”.
E invece eccolo lì in mezzo agli altri ad urlare “Sorpresaaaa”. Ecco un terrazzo, le candele, le rose sherrybrandy, i petali sul tavolo, il rumeppera, le tartine e le tortillas, le fragole meringate, le amiche che cucinano e le amiche che le guardano e io che guardo tutto e tutti. Quello che si ubriaca, quello che fa la vedetta, quello che sta triste, quella che si fa il culo tanto, quella che mi abbraccia, quella che deve dire sempre qualcosa. Quello che ci scordiamo di andare a prendere a casa. E sento.
Ci sono giorni in cui il passato si ferma al tavolino di un bar, davanti ai caffè e agli aperitivi. Di questi giorni mi godo la sensazione di arrivare allenata, come se per anni avessi corso una lunga maratona mentale. Ho macinato chilometri di domande. E ho corso così tanto che ora delle risposte non me ne frega più niente.
Ci sono notti in cui te ne vai. In cui esci in accappatoio e infradito con le macchine che sfrecciano in mezzo al bosco. A piedi nudi cerchi una pozza d’acqua calda arrancando nel buio delle rocce. Afferri il piede di uno sconosciuto e immaginidietro ai vaporiscenari turpi e riti tribali. Vorresti che le pietre ti tagliassero la pelle per capire che è tutto vero. Distesa ai piedi di una cascata intravedi forme di solitudini mascherate da innocenti divertimenti allo zolfo. L’acqua che cade sulle caviglie calma gli istinti di sopraffazione animale. Ti vesti in auto a ritmo di musica. Uh, un capriolo.
Merincontraria non usa foto nel blog. Preferisce le parole che creano immagini che sanno di pietra e di carta. Ma per questo video, che penetra il senso della scrittura digitale, Merincontraria decide di fare un’eccezione. Per la scrittura d’aria, metallica.
Se le aziende di telecomunicazione sono lo specchio di un paese, allora gli uomini italiani:o se scazzano o ce provano.
Questa teoria scaturisce da un’indagine condotta su due operatori di call center osservati nell’approccio alla cliente donna (io) a distanza di qualche minuto. I fatti.
Telefono al servizio assistenza di Telecom Italia per sapere come mai i miei computer hanno le mestruazioni lo stesso giorno e non si connettono. Entrambi.
Digito i soliti settantuno codici, ascolto il jingle scassacranio, resto in attesa dieci minuti in compagnia della voce femminile che ha registrato a botta di anfetamine e antidepressivi. Che culo.
Mi comporto da cliente ideale immolandomi al rituale identificativo che ha come unico obiettivo far guadagnare tempo all’imbecille che scava nel database in cerca di un problema simile al tuo. Attacco la mia pippa: mi chiamo Alda F., ho l’abbonamento flat, no non è intestato a me, si i modem li ho presi alla Telecom, si si sono attaccati bene, eccetera, bla.
Operatore 1: annoiato, sbadiglia mentre parlo, a tratti si spegne mentre lo immagino con le dita nel naso a fare il solitario di carte francesi. Non mi ascolta e non fa che ripetermi attenda un secondo, facendo finta di battere sui tasti. Responso: i modem sono taroccati, per questo non funzionano. Reazione della donna rifiutata. Gli dico che lui lì viene pagato, che me ne sbatto che è domenica e lui ha mangiato pesante, che io il pc lo uso per lavoro e mi serve subito e che preferisco essere trattata come una ritardata a cui spiegare l’abc delle periferiche di connessione e delle usb anziché farmi sentire un peso sociale nonché discriminata perché sono di Napoli. Nessuna risposta. Allora io: Davide avrai una bella nota negativa espressamente indirizzata al tuo team leader o supervisor o come cavolo si chiamano quelli sopra di te e la tua carriera da oggi è finita.
Operatore 2: squillante, divertito, parla in dizione, piacione. Mentre mi chiede le generalità e invia impulsi elettrici al mio modem ( fantascienza?!) ironizza sulla telefonata precedente di cui il collega lo ha già informato ( fantascienza?!). Vuole sapere se le lucine del modem che lui chiama con una parola inglese difficilissima sono rosse, verdi o gialle, se lampeggiano o sono ferme e mi sorridono. Nel bel mezzo del gioco del semaforo che mi stava divertendo così tanto mi chiede anche il numero di telefono, così, se ci dovessero essere eventuali comunicazioni dall’azienda, non si sa mai. Reazione della donna cacata: riaggancio. Dopo avergli ricordato che il numero ce l’ha già. Di casa.