Le cose che non sapete

Sciuscina, blogger estimada como el corazon espinado, dice che non mi posso sottrarre.
Dice che certi blogger scelti da lei, tra cui io, devono scrivere “ le cose che non sapete di me”.
E io non mi sottraggo.
Allora.
Le cose che non sapete di me.
Le cose che non sapete di me sono meno di quelle che io non so di me stessa.
 
Sono un dalmata: Se fossi stato un personaggio della Carica dei 101 a passeggio con il suo cane nel parco, con me ci sarebbe stato un dalmata. Siamo praticamente identici, come si vuole che lo siano un cane e il suo padrone. Abbiamo un milione di macchie per tutto il corpo anche se siamo nati monocromatici. Io rosa, lui bianco. Poi a me sono spuntati migliaia di nei e lentiggini, a lui le macchie. Io e il mio cane immaginario siamo come l’orzoro che non si squaglia perché il latte non è abbastanza caldo. A pois. Al neo-n. Imperfetti. Lui non può sbattersi troppo perché cade malato, io giro con lo schermo totale in borsa. Una chicca per i perversi: abbiamo entrambi una macchiolina proprio lì.
Adoro Emilio Fede: Si, adoro Fede. Il suo essere così palesemente arrapato. La sua somiglianza con Smith, il serpente di Robin Hood della Disney. Il suo fondotinta, la postura rigida e il Tg con piano all’americana. Il suo telegiornale mi fa impazzire, è il miglior prodotto di infotainment della Tv italiana. Bevo alla fonte dei commenti in cui sguazza, dei lunghi sguardi alla camera, delle finte pause, dei lanci alla strafiga del meteo. Fuori dalle riprese lo immagino nudo con scettro e mantello, attorniato da drag queen lucidissime che lo fustigano sulla scrivania con foglie di betulla.
Tendo a legare con gli scoppiati: Dopo aver stretto col femminiello bello che batte a Villa dei Misteri che mi ha conquistata con un “ Nennè, fatt allà chist nun è post pè te (Fanciulla spostati, ci rovini la piazza) attualmente sono la migliore amica del padre del barista di Soccavo che mi racconta davanti alla cassa del suo passato di conducente d’ autobus. Il pazzo del paese mi chiama Sara Sei. E una delle persone che stimo al master da piccola non beveva CocaCola alle feste perché “ l’Aranciata resta sola e si dispiace.”
Raggiungo orgasmi multipli nel pariare su Melissa P. Per questo mi firmo Alda F.
Mi piacciono queste iniziative tra blogger. E con questo sono arrivata anche io a cinque cose che non sapete.
 
 
 

Io e te 3 Mdp

Tu, uno su quindicimila.
Altro che tre metri sopra al cielo.
Quindicimila banchetti del Monte dei Paschi per cinquanta scienziati della com. Quindicimila speranze di un posto per quattro anni. La-vo-ro. Busta paga, tredicesima, occhiali da vista spesati perché se schiatti davanti a un computer per le agognate ottore mammazienda ti protegge. Ammèn. Con la giacchetta. Col punto luce che ti hanno regalato alla laurea o ai diciottanni. Con le unghie sempre curate e le cartelline plastificate in mano.
Quindicimila seggiole traballanti alla Mostra d’Oltremare. Femmine che sognano di andare ogni venerdì dal parrucchiere per trasformare i boccoli depressi in un frangettone piastrato. Maschi che indossano il vestito della comunione anche se non è un colloquio. Che si sono fatti la barba pure se hanno dato solo tre esami al nuovo ordinamento. E piove pure.
Con l’ombrello sottobraccio, attraverso una lunga distesa di ticcaioli, ballerini di Sant’Antonio, calabresi, calabroni e potentini claudicanti. File alle toilette, messaggini di in bocca al lupo, pizze e cornetti. Lo speaker senese mi ricorda col suo accento un simpatico prof. dell’università. La sua voce asettica mi trascina lontano.
Eccolo l’odore di LysoForm della banca, la scrivania in rovere con il mio portafotografie optical, i colleghi che mi portano il caffè.
Chiudi gli occhi, Merincontraria. Potresti essere tu.
Cerco di dimenticare derelitti, vrenzole e secchioni con gli alpha test sottobraccio. Respingo la loro negatività e i loro sogni che si accavallano al mio. Trentamila sogni tutti uguali divisi in due turni da quindicimila.
Magnatavell’ n’emozione guagliù. Il tempo scorre.
Per fortuna che quando la mia caveza rinviene dal foglio e dai cubi logici, ci sono wlemetafore, simonab e piccolasophie. Ridono. Ah Ah.
Rido. Felice di aver partecipato, triste per la morte di Baudrillard. Perché se oggi era l’altro ieri, che giorno sarà  dopodomani?  
Alda F.

sverginata surrealista

Mi piace poter essere laconica. E allora scelgo poche idee da svuotare scaricando tutto il resto nel tubo del non detto. Flush. Nella mia scala di valori di venerdì  Pippo Baudo batte David Lynch. Meglio Elisa in versione circense circondata da un gruppetto di bambini scodinzolanti che la ricotta che esce dallo stomaco del feto/mostro di Erasehead. Meglio l’accondiscendenza da un milione di euro della Hunziker del pollo che caccia sangue nel piatto. Meglio le tette strizzate di Penelope Cruz che i vermipeli sotto il termosifone. Per non parlare delle guance di gesso della donna/paradiso, peggio del tatuaggio nazional popolare di Michelle. Peggio, addirittura. Nella mia scala di valori venerdì sera è stato più salutare di venerdì mattina. I lustrini di un’Italia cattolica sguainata in abito da sera hanno vinto sulle seghe visionarie di un grande, grandissimo cineasta con cui ho avuto la mia prima volta. Ora non sono più Lynchillibata. Sono una sverginata surrealista Peccato durante l’atto ho messo i neuroni a mollo. E nel momento refrattario, avevo il festivàl.
Alda F.

post it

Ballare davanti allo specchio fino ad avere il fiatone. Pensare sotto la doccia che se x muore non ci hai parlato abbastanza. E se la morte ti fa bella, la felicità di più. Avere paura che quello che oggi senti al telegiornale domani succeda a te. Comprare Anna perché ha la copertina patinata ma costa solo un euro. Ascoltare quella canzone pensando che quella frase non era dedicata a te.  Lasciare il computer acceso e trovare sullo screen una foto di San Pietroburgo che avevi dimenticato, altri sorrisi, un’altra te, quanti anni fa. Pochi, tanti. E poi quella malinconia euforica, che si attacca addosso come un acaro, che dorme sottopelle mentre il governo è in crisi e la gente d’Italia si attorciglia su se stessa. E quel sole di mezzogiorno quando ti sembra di stare in piedi da dodici ore ma sei contenta di esserti alzata dal letto anche se non ce la facevi. E svegliarsi e riaddormentarsi, combattendo con la narcolessia e l’ansia del giorno dopo. E camminare con la faccia della cinese nella testa che si caga sotto nel cesso pubblico di Villa dei Misteri e tu la sorprendi mentre si pulisce. Notando l’imbarazzo di Ambra Angiolini che si sfrega le mani mentre Cocaventura intervista gli altri ospiti di Rai due.
Alda F.

Single party

Ogni fine settimana Merincontraria frequenta un corso di socializzazione da strada. Il titolo dell’ultimo modulo era: come cavarsela in una festa per single in cui sei capitato a tradimento. Numero di crediti:6.
Una festa per single è un raduno di egocentrati che combattono la depressione da weekend con la caccia istituzionalizzata dell’anima gemella.
Perchè il rituale funzioni sono necessari:
a)      un locale sperduto dell’ hinterland con bancone all’americana  
b)      musica latina intermezzata karaoke ( nella variante di k. cumulativo con abbraccio e foto di gruppo da caricare sul sito del locale)
I single si incontrano su una colonna sonora che un dee-bar coi boccoli d’oro ( primate nato dall’accoppiamento tra un dee- jay e una cantante di piano bar) pensa possa metterli a loro agio. Al ritmo di “Brasil” e “ A e i o u ipsilon” , una Pr col frangettone e una cravatta di finti swaroski, si lancia nelle presentazioni trascinando da un capo all’altro della sala i soggetti più timidi.
Sai, la sua ex ragazza, abitava nel tuo paese.
Lui sta scendendo da Firenze apposta per la festa.
Mi hanno dato la conferma in 100 per la serata.
Vi siete già incontrati?Hai visto com’è piccolo il mondo?
Queste e altre conversazioni standard sono interrotte dal single incallito che dispensa alle sue prede il cocktail dell’amore: vodka alla fragola e prosecco.
La pr incrocia le maestranze accompagnata da una valletta tuttofare delusa per l’impossibilità logistica di allestire una messaggeria con gli scatoloni che si trascina da inizio serata.
Intanto il single incallito tormenta le prede di cui sopra con facendo sparire i loro bracciali e fermagli e improvvisando altri giochi di prestigio.
Le regine della festa sono comunque la ragazza con capello frisè e la ragazza col collo di pelliccia imporpato di Tesori d’oriente alla mirra.
Sono loro che tessono le relazioni più fruttuose gustando un tortino al torrone mentre le prede che hanno sviluppato nel frattempo la fobia del single incallito si rifugiano sotto il bancone finendo nella lista nera della festa.
Col karaoke si raggiunge la vetta . Sulle note di “come saprei” e “fammi godere” i partecipanti superano con soli 15€ di mangiaebevi la loro depressione. Non solo possono limonare una ragazza col frisè ma hanno anche un gruppo di amici felici con cui dividere il microfono.
Il dee-bar boccoli d’oro si unisce al gruppo arruolando coriste incomprese per il prossimo disco prodotto da mammà e papà.
La festa finisce con le coppie ormai consolidate che si scambiano la fedina a ritmo di Pampa, repitelo, Pampa e  Tipitipitero.
Alda F.
 
 
 

immunità infantile

Tu ti trovi un attimo in treno, no? E il treno in quell’ attimo brucia. Sale il fumo, la gente scappa, già si pensa ad un attentato terroristico. E’ solo un freno bruciato. Peccato che non te ne accorgi. Sei talmente presa dalle puttanate che dici che neanche la senti, la puzza. A te te ne fotte solo delle emozioni. Se fossero commestibili mangeresti solo quelle. Gnam Gnam. Hei ragazzina, spaventati, qui c’è gente che  si tappa il naso e piange. Mi dispiace, mi dispiace, non è colpa mia. Il mio problema è stato leggere a nove anni  "Volevo i pantaloni" di Lara Cardella, spiego. E’ stata l’iniziazione al romanzo, dopo la Pimpa sul Corriere dei Piccoli. Sapete che  letteratura significa trauma infantile? Non ditemi che non vi piace Lara Cardella. Dopo Lara Cardella io sono invulnerabile, ho sviluppato l’immunità,  non come voi che frignate per un pò di fumo. E smettetela di spingere, perpiacere. Tanto il treno riparte.   

Alda F.

vite parallele

Si dice “ ci vorrebbero due vite”…

Io due vite ce le ho. E non vanno d’accordo.

 

Vita A: è la vita del lunedì, martedì e giovedì (a volte). In questa vita mi sveglio relativamente tardi (7.30) e uso il collutorio. Riesco a truccarmi senza il fondotinta, arricchire il mio look monocromatico con gadget kitsch e finanche spazzolare i capelli a testa allingiù.

Nelle due ore che mi separano dall’ ingresso in Soccavolandia leggo La Repubblica, Lo scherzo di Kundera o tutti e due. Se ho dormito otto ore scambio anche due chiacchiere con il mio amico progressive ma non dò mai confidenza agli sconosciuti.

Il lungo viaggio che passa per circum, metro e cumana e il giornale sottobraccio mi fanno sentire donna in carriera in diritto di lamentarsi. I miei compagni di corso fanno finta di assecondarmi nella parte della Giovanna d’Arco dei pendolari. In questa vita sono un aspirante addetto stampa dello spettacolo specializzata nel settore teatro. Sono circondata da musicisti, attori, filosofi, giornalisti. I posti sono fissi come in classe al liceo e puoi chiamare il tuo prof Igor, Annamaria, Alfredo. Si pranza tutti insieme con i termos e i panini avvolti nella carta stagnola circondati da pc sintonizzati su Youtube. Si torna a casa alle diciotto con l’autostima della prima della classe. Professionale e sociale. E’ la vita che preferisco.

 

Vita B: è la vita del mercoledì, venerdì e giovedì (a volte). In questa vita mi sveglio che è ancora notte, ho freddo e sono di pessimo umore già dalla sera prima in cui mi chiudo in casa a fare la molla di mutanda. A stento mi lavo faccia e denti, ascelle e bidet quando capita. Riciclo i panni del giorno prima o faccio abbinamenti casual, cioè casuali. I capelli depressi in boccoli uniformi alla Shirley Temple sono una costante di questa vita. Alle 7.31 sono in stazione, ultimo vagone, con gli occhiali da sole e l’i- pod che pompa le canzoni di Mina. Ogni 15 minuti, scambio una parola con wlemetafore, se proprio non  siamo riuscite a evitarci.

Arrivo al master dopo aver attraversato il mercato del pesce e graffiato gli stivali nuovi sui sampietrini del centro storico, con il classico motorino che finisce nella pozzanghera e ti schizza quando tu avresti preferito essere investita direttamente. Per i miei colleghi sono una diversa perché non conosco Wim Wenders, David Lynch e non so quanti peli Hitchcock aveva sulla palla sinistra. In questa vita sono un aspirante addetto stampa che fa un master in scrittura per gli audiovisivi perché non si paga e vuole prendersi il titolo di masterizzata. Ma non faccio mai i compiti e i prof. non mi considerano perché non intervengo. A pranzo mangio una pizza con altri tre o quattro reietti come me o con quelli che mi vedono “esotica”. Torno a casa alle diciannove e quindici con l’autostima sotto le scarpe. Litigo con mia madre e guardando i punti neri allo specchio penso che sono in attesa di una terza vita.

 

Alda F.

 

  

volere volare

Volevo, volevo. Volevo dire che.
Volevo dire che volevo nascere uomo.
Non li conosco gli uomini in fondo, ma mi piacciono le loro voci gravi, le fragranze maschili, la solidarietà di gruppo, la linearità del non detto, quella masturbazione da cui, alla bisogna, esce qualcosa invece di entrare.  Non come  per noi donne. Non come per le più fortunate tra  noi che le sanno farle, le donne.
Volevo dire che  la storia della lettera della moglie di Berlusconi non mi va giù. Non passa che La Repubblica la pubblichi in apertura. Mi spiazza pensare che io avrei fatto lo stesso per vendere. Però poi  penso, cazzo Alda F., almeno ci avresti montato un caso. Almeno accanto alla lettera avresti scritto un corsivo provando a motivarla, questa baggianata. Avresti avuto il coraggio di dire che la  storia della dignità femminile ferita è una gran cazzata? Avresti scritto che credi ad un’altra storia, quella del monopolio dell’informazione? Chissà cosa avresti fatto, Alda F. al posto di Michele Serra. 
Complimenti comunque a Veronica Lario, al secolo Miriam Raffaella Bartolini, per il riposizionamento del suo personaggio. Discesa in parabola da moglie assente a moglie ferita. Moglie di Berlusconi, comunque. Tra lei, lui e il loro amore un bell’ufficio stampa. In grado di trasformare la battutina al Telegatto in un polpettone mediatico per riscaldare gli animi  e far salire lo share. Perché tanto c’è la replica del giorno dopo. E quando le scuse arrivano si serve agli italiani  l’icona della  coppia che si ama, un ex premier devoto che senza rinunciare alla sua mascolinità si prodiga per tener su la  famiglia del Mulino Bianco. Dimenticando che gli italiani non sono fessi. O almeno non tutti.
Volevo dire che sarebbe patologico trascorrere il sabato sera a guardare “ La signora della porta accanto” di Truffaut se non avessi avuto un susamiello e un rococò avanzati da Natale che hanno reso il momento davvero indimenticabile. Un grazie speciale alle scaglie di mandorla cadute tra le lenzuola che mi hanno tenuto compagnia tutta la notte.
Volevo dire che chi trova un amico trova un tesoro. Ma questa è una banalità. Anche se bambina prodigio se la merita proprio tutta. La banalità intendo.
Volevo dire che questa fase della mia vita si chiama capitolo napoletano, un capitolo frizzante, bellagente, sorvolando la condizione da pendolare con le scarpe rotte e la valigia con lo spago.
Volevo…ma è meglio non volere più nulla. Almeno per stasera. Stasera che volevo volare.
Alda F. 

mattacchioni d' amore

Niente fatti personali era la premessa ( cfr. post benvenuto autogeno). Ma questo lo devo proprio scrivere.

E’ venerdì sera, piove. Esco da una vineria mezza alticcia e con trucco al secondo strato, riciclato dalla mattina. Col sennodipoi, l’unica cosa che avrebbe potuto attrarre un uomo era il mio cappello a righe che mi dà un’aria da pittrice francese decaduta. Comunque. Sulla porta mi sento chiamare. Alda, Alda. E’ un ragazzo. Carino. Molto carino. Simpatico. Mettendolo a fuoco con la sola lentina dell’occhio sinistro mi ricordo che ci ha già presentato un’amica nel passato remoto. Forse l’estate scorsa. Facendo un’eccezione alle regole d’oro della ragazza retrò, gli dò il mio numero incoraggiata dal suo portamento tra il metrosexual e il gay. Ma il ragazzo si rivela aggressivo fin dal saluto. Stretta di vita e di maniglia dell’amore a cui segue risoluto sms notturno. Non mi dispiace, anzi, mi addormento felice e contenta in attesa di una telefonata che secondo i miei calcoli sarebbe arrivata domenica. E domenica fu. Sembra una telefonata divertente, sono sul punto di pensare " ci esco, che me frega", che il ragazzo carino e simpatico si scopre motociclista sfegatato. E’ vabbè. Passiamo sul racconto di lui che galvanizza la sua ex alla moto fin quando lei dice " perchè non te ne compri una più potente". E vabbè. Passiamo su lui che mi dà lezioni su come trascorrere la domenica  a scorrazzare nei campi invece di stare davanti al pc. Passiamo sulla domanda " ma tu sei laureata". Ma quando, all’ennesima battuta lui si scompiscia dal ridere e dice:

" Sei proprio una MATTACCHIONA, una tipa PARIATIVA", bè qui proprio non passo. 

(divertirsi uguale pariare in napoletano. Pariativo.. lo interpreto come una sorta di gerundivo, ma si accettano suggerimenti)

Il resto è io che applico le regole d’oro della ragazza retrò non rispondendo agli sms e facendo squillare il telefono a vuoto. Ma al ragazzo bello e simpatico, spintosi oltre il messaggio " la vuoi finire di fare la tipa BIT" ( non era beat?!), che nella storia dei miei corteggiamenti segna il punto di non ritorno, almeno la notorietà di un post.

tvb xkè 6 fantastiko…io&te 3MSC, la tua mattacchiona.

Alda F.

bollo in pentola

E tutto intorno è silenzio.

Un silenzio che non è  in dizione e che non fa notizia. Un silenzio che è silenzio e basta. Tu, sola in cucina, mentre butti la pasta, persa. Persa nello shhhhhh che fa il sale sull’acqua bollente. La schiuma si increspa e tu, sola in cucina mentre butti la pasta, ti tuffi nel bianco grumoso al posto della pennetta.Eccoti,  a dondolarti nella  pentola calda, con i capelli che si afflosciano come spaghetti e la schiuma che entra nelle orecchie.  Eccoti, nel glu glu cavernoso di bolle che si infrangono contro la schiena e ti rassodano i fianchi. Riesci persino a girarti a pancia in giù aggrappandoti ai manici d’acciaio. Immergi la faccia nell’aqua densa e salata, acqua panna, argilla, sei contro corrente, ma non c’è vento. In questo mondo liquido non hai più bisogno di respirare tutti i nomi che non ricordi.  Affoghi sul fondo  i registi che non conosci, i libri che non hai letto, il partito democratico, la sigla del Tg, i tanti rumori della tua vita. Ti rigiri, ti arrampichi su una grandebolla, stai in equilibrio liquido. Schizzi acqua fuori dalla pentolavasca irrigando i fornelli con goccioloni bollenti. 10, 100, 1000 te volteggiano in una tempesta i bolle e, in quel momento lì, senti che è davvero bello sgocciolare guardando il panorama all’ombra di un’opacità bagnata.

Alda F.